Editions Programme - Edizioni Il Comunista - Ediciones Programa - Program Editions


 

 

Tesi di Roma

Edizione integrale: Tesi sulla tattica - Tesi agrarie - Tesi sindacali

( Opuscolo A4, 72 pagine, Aprile 2022, Prezzo: 5 €, 8 FS ) - pdf

 

 

 


Home - Ritorno al catalogo delle pubblicazioni - Ritorno biblioteca - Ritorno ai testi e tesi - Ritorno ai temi

 

 

INDICE DEI MATERIALI

 

 Premessa

○ I compiti del II Congresso del Partito Comunista

○ La discussione sulla tattica

○ Relazione sulla tattica

 Tesi sulla tattica

○ Introduzione

○ La tattica del Partito Comunista

 Tesi sulla questione agraria

 Tesi su il partito comunista e i sindacati

 Appendice: Tesi della frazione comunista astensionista del psi

 


 

Premessa

 

 

Marzo 1922. A poco più di un anno dalla costituzione del Partito Comunista d'Italia (sezione dell'Internazionale Comunista) si è tenuto il secondo congresso del partito.

Dopo un lungo periodo di battaglie in tutti i campi del marxismo - teoria, principi, programma, linea politica, linea tattica, organizzazione - la corrente della Sinistra comunista, sulla base delle tesi approvate nel secondo congresso dell'Internazionale Comunista del 1920 e in perfetta linea con le battaglie di classe che l'ha contraddistinta dal 1911 in avanti, al XVII congresso del PSI del gennaio 1921 a Livorno si scinde definitivamente dal Partito Socialista Italiano e costituisce il Partito Comunista d'Italia, sezione dell'Internazionale Comunista.

Fin dalla stessa definizione formale del partito la Sinistra comunista ha voluto sottolineare la piena condivisione non solo di tutte le tesi generali approvate al secondo congresso dell'I.C. del 1920, ma anche delle famose Condizioni di ammissione alle quali aveva contribuito, in particolare con la proposta di una 21esima condizione nella quale si afferma:

 

«Tutti i membri del partito che respingono fondamentalmente le condizioni e le norme poste dall'Internazionale comunista debbono essere espulsi dal partito stesso Lo stesso vale naturalmente per i delegati al congresso straordinario» (1).

 

Era infatti oltremodo necessario superare la prima fase di costituzione dell'Internazionale Comunista in cui, a parte il solido partito comunista bolscevico in Russia, nella maggioranza degli altri paesi esistevano soltanto tendenze e gruppi comunisti. In questa prima fase l'Internazionale Comunista aveva invitato tutti i partiti e le correnti di sinistra che si erano distinti per non aver aderito alla guerra imperialista ciascuno sotto le bandiere della propria borghesia nazionale. Il PSI, "forte" della sua posizione di non adesione alla guerra (sotto il famoso motto "né aderire né sabotare"), era stato tra i primi partiti ad aderire alla Terza Internazionale.

Nel periodo che va dal marzo 1919, in cui si era costituita la Terza Internazionale, al luglio-agosto del 1921, in cui si teneva il suo terzo congresso, si erano già costituiti formalmente in molti paesi i partiti comunisti, risultati da scissioni dai vecchi partiti socialisti legati a doppia mandata al riformismo classico. L'Internazionale Comunista, che ambiva essere il Partito Comunista Mondiale, considerava i partiti comunisti costituitisi in ogni paese come proprie sezioni nazionali alle quali veniva chiesta, e imposta, non un'adesione formale che avrebbe lasciato ad ognuno di loro la libertà di interpretazione e di manovra a livello nazionale, ma una reale condivisione delle tesi approvate dal congresso e un'attività da parte di ciascun partito, a livello nazionale, fermamente coerente con i dettami contenuti nelle tesi stesse.

Il secondo congresso dell'I.C. aveva formulato le tesi di principio, tesi dalle quali non era permesso derogare, tesi che dovevano essere accettate integralmente, senza eccezioni, da qualunque partito intendesse aderire all'I.C. Ed è sulla base di quelle tesi che le tendenze e i gruppi comunisti hanno dato battaglia all'interno dei partiti socialisti, fino alla scissione, per la costituzione dei partiti comunisti secondo i canoni fissati dall'Internazionale Comunista.

L'intransigenza politica di carattere generale che emergeva da tutte le tesi del secondo congresso dell'I.C., nel 1920, ribadita sulla gran parte degli aspetti politici, tattici e organizzativi nelle tesi del terzo congresso del 1921, lasciò purtroppo una porta aperta a possibili deviazioni dalla sicura rotta marxista rivoluzionaria.

Al secondo congresso dell'I.C., Amadeo Bordiga, quale rappresentante della  frazione comunista del PSI fu invitato direttamente da Lenin, insieme alla delegazione del Partito Socialista Italiano. Rispetto alla tattica del parlamentarismo «rivoluzionario» (vedi Tesi sui partiti comunisti e il parlamentarismo, 2 agosto 1920), Bordiga, portavoce della Frazione comunista astensionista del PSI, espresse una netta opposizione - per quanto riguarda i paesi occidentali di vecchia democrazia - sottolineando la neccessità, e l'opportunità, dei partiti dell'I.C. di dedicare le proprie forze alla preparazione rivoluzionaria sia di se stessi che del proletariato, distinguendosi nettamente dalla tradizione parlamentarista e democratica dei socialisti e dei socialdemocratici. L'antiparlamentarismo dei comunisti italiani si differenziava nettamente da quello degli anarchici, che, per principio, al parlamento e allo Stato borghesi, in quanto organismi del potere centralizzato della classe dominante, contrapponevano organismi autonomi e anticentralistici del proletariato. La Sinistra comunista d'Italia si batteva sia contro la democrazia borghese e le sue istituzioni, sia contro l'autonomismo e l'anti-centralismo degli anarchici, rivendicando fermamente la lotta rivoluzionaria che doveva sboccare nell'abbattimento dello Stato borghese e delle sue istituzioni e nell'instaurazione della dittatura proletaria esercitata dal partito comunista rivoluzionario. D'altra parte, avendo combattuto per anni contro la tattica riformista parlamentare, la Sinistra comunista si trovava perfettamente in linea con quanto le stesse tesi dell'I.C. affermavano:

 

«Nella situazione attuale di imperialismo sfrenato, il parlamento si è trasformato in uno strumento di menzogne, di inganni, di violenza, di chiacchiere snervanti. Di fronte alle devastazioni, ai saccheggi, alle violenze, alle ruberie e alle distruzioni dell'imperialismo, le riforme parlamentari, private di sistematicità, di continuità e di pianificazione, hanno perso qualsaisi importanza pratica per le masse lavoratrici. (...) Attualmente il parlamento non può essere in nessun caso per i comunisti il teatro della lotta per delle riforme, per il miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia, come lo era stato in determinati momenti dell'epoca che ci ha preceduto. Il centro di gravità della vita politica attualmente si è spostato in modo totale e definitivo oltre i confini del parlamento. (...)

 «E' perciò compito storico immediato della classe operaia strappare questo apparato dalle mani delle classi dominanti, distruggerelo e annientarlo, sostituendolo con nuovi organi proletari di potere. Ma nello stesso tempo il gruppo dirigente rivoluzionario della classe operaia è fortermenete interessato ad avere una propria pattuglia nelle istituzioni parlamentari della borghesia, che faciliti quel compito di distruzione. Da tutto ciò emerge con chiarezza la differenza di fondo tra la tattica del comunista che entra nel parlamento con scopi rivoluzionari e la tattica del parlamentare socialista. Quest'ultimo parte dalla premessa della relativa solidità, della durata indefinita del potere esistente. (...) Al posto del vecchio parlamentarismo opportunistico subentra il nuovo parlamentarismo che è uno degli strumenti di distruzione del parlamento» (2).

 

Da queste poche frasi si capisce bene che l'obiettivo dell'I.C. era la distruzione del parlamento borghese, non il suo rafforzamento, non il suo utilizzo come strumento della rivoluzione proletaria. In un certo senso, avrebbe dovuto avere la stessa funzione della tattica del disfattismo rivoluzionario - applicato sia all'interno dell'esercito sia dall'esterno - rispetto al militarismo borghese e imperialista: scardinare  e distruggere il parlamento dal suo interno con la tattica del parlamentarismo rivoluzionario, dimostrando alle masse proletarie che ancora credevano nei mezzi della democrazia parlamentare che il parlamento borghese non era che un covo di inganni e di traditori della causa proletaria.

La Sinistra comunista d'Italia, sulla base dell'esperienza della lotta contro la democrazia borghese che nei paesi europei occidentali aveva una storia molto più lunga di quanto non potesse avere nella Russia zarista, e che era stata ed era ancora il veicolo principale dell'opportunismo e del revisionismo socialdemocratico, era diventata necessariamente astensionista. La posizione astensionista della sinistra comunista, come detto, non derivava da un principio intangibile, o astratto, come per gli anarchici, ma dal bilancio storico-politico della lotta antidemocratica.

Come scritto in un articolo pubblicato ne «Il Soviet» dell'agosto 1920, dunque dopo la conclusione del secondo congresso dell'I.C., l'astensionismo mira a diffondere il più largamente possibile la convinzione della necessità dell'abbattimento violento degli organi dello Stato borghese, nell'atto di battersi per

 

«costituire nel seno della massa lavoratrice un'avanguardia attiva e combattiva, che agisca sotto l'impulso e la direzione della massima forza motrice rivoluzionaria, costituita dal Partito comunista (...). La forza nuova, sviluppata dal Partito comunista e da questa avanguardia proletaria, non sarà un prodotto della reazione nelle masse dell'astensionismo, che libera le energie che ora si impiegano nella lotta elettorale, ma si va formando ed enucleando nel seno della grande massa lavoratrice in virtù dei conflitti sociali, e l'astensionismo serve solo a non esaurirla in funzioni non sue» (3).

 

All'astensionismo in quanto tale non si attribuiscono dunque virtù miracolistiche; è uno strumento di supporto - come sottolineato nella «Storia della Sinistra comunista» - alla ben più decisiva opera della preparazione di un'avanguardia attiva e combattiva ai compiti politici della rivoluzione e della dittatura proletarie (4).

Non per nulla i riformisti, i falsi rivoluzionari, i falsi comunisti non sostennero mai tra i loro obiettivi la distruzione del parlamento borghese, come d'altra parte non sostennero mai la distruzione dello Stato borghese. Essi credevano di poter piegare parlamento e Stato borghesi alle esigenze dell'emancipazione sociale della classe lavoratrice attraverso le elezioni democratiche e la forte pressione che la classe operaia avrebbe esercitato con la sua lotta.

L'opportunismo dei Turati, dei Longuet e compagnia aborriva l'uso della forza, l'uso della violenza; era per principio pacifista, nazionalista e tendenzialmente neutralista, ma allo stesso tempo propagandista accalorato della «difesa della patria», della patria borghese e imperialista, e perciò «guerragiustista» nei confronti degli Stati «aggressori». Il caso particolare della posizione neutrale che il PSI assunse di fronte allo scoppio della prima guerra imperialista mondiale, evitando di cadere nella vergognosa adesione alla guerra di tutti gli altri partiti socialisti della Seconda Internazionale, votando i famosi crediti di guerra contro cui si battè vigorosamente nel parlamento tedesco Liebknecht, è una posizione dovuta non certo ai destri Turati e ai Treves, ma alla forte pressione dei sinistri che esprimevano nello stesso tempo un atteggiamento antimilitarista molto diffuso nel proletariato italiano, tanto da provocare il fenomeno della fraternizzazione tra i soldati nelle trincee contrapposte sul fronte austriaco e una forma di disfattismo spontaneo e immediato nello stesso fronte di guerra, la diserzione di massa che si innestò nella disfatta di Caporetto.    

La Sinistra comunista d'Italia, al secondo congresso dell'I.C., criticò la tattica del parlamentarismo rivoluzionario come una tattica con cui ci si illudeva, e si illudevano i proletari, che il parlamento potesse essere ancora uno strumento utile alla lotta rivoluzionaria, quando la storia stessa del parlamentarismo democratico e dell'opportunismo dimostrava che questo strumento poteva essere utile soltanto alla classe borghese dominante. Il partito comunista, data la situazione generata dalla guerra, e sull'onda della vittoriosa rivoluzione proletaria in Russia, doveva utilizzare tutte le sue forze, tutte le sue energie nella preparazione rivoluzionaria sia del partito che del proletariato; il parlamentarismo avrebbe assorbito forze ed energie in una lotta che avrebbe in realtà confuso le masse proletarie che seguivano i comunisti e che si erano finalmente staccate dall'influenza degli opportunisti dei partiti socialisti e socialdemocratici, gli stessi partiti che avevano per la maggior parte aderito alla guerra imperialista a difesa della propria nazione.

In verità, le tesi sul parlamentarismo rivoluzionario, difese con grande forza da Lenin, da Trotsky, da Bucharin criticando l'estremismo infantile caratteristico degli anarchici, al quale veniva abbinato, sbagliando, anche l'estremismo espresso allora dai comunisti italiani, furono approvate al congresso da una larga maggioranza.

Fino alla costituzione formale del PCd'I, la Frazione comunista continuò la sua battaglia antidemocratica e antiparlamentare anche sul piano tattico. Ma, sulla base della disciplina centralista che il PCd'I rivendicava e difendeva anche in seno all'Internazionale (come la 21esima condizione di ammissione voluta proprio dalla Sinistra comunista d'Italia), esso applicò la tattica del parlamentarismo rivoluzionario dando il massimo peso all'aggettivo rivoluzionario e non al soggetto parlamentarismo.

La realtà storica ha mostrato, da un lato, che i comunisti italiani, pur essendo sempre stati convinti dell'errore tattico dell'Internazionale, furono gli unici ad applicare nei paesi occidentali la tattica del parlamentarismo rivoluzionario secondo l'impostazione data dal congresso dell'I.C.; dall'altro lato, che i partiti comunisti occidentali, facilmente influenzabili ancora dalle cattive abitudini parlamentariste dei partiti socialisti e socialdemocratici da cui si erano scissi ma contro le quali non avevano svolto una profonda e decisa lotta antiparlamentarista, lasciarono una porta socchiusa dalla quale sarebbe rientrato il virus della democrazia elezionista, trasformando il parlamentarismo «rivoluzionario» in parlamentarismo tout court. E quella porta socchiusa divenne, purtroppo, un portone spalancato per deviazioni ben più gravi.  

L'Internazionale Comunista rappresentava, in ogni caso, una grande conquista per il movimento rivoluzionario mondiale. Le sue tesi di principio costituivano la base indispensabile per i partiti comunisti di ogni paese, uniformandoli con una omogeneità e una fermezza assolutamente necessarie per un'organizzazione che intendeva guidare la rivoluzione proletaria internazionale. Da quelle tesi di principio dovevano discendere coerenti linee politico-tattiche e organizzative; quindi, il passo successivo era per l'appunto quello di stabilire con grande intelligenza e altrettanta fermezza una tattica che permettesse a tutti i partiti dell'I.C. di applicare nei paesi di competenza, con la stessa coerenza e disciplina, i dettami delle linee tattiche che venivano deliberate dai congressi mondiali.

Ogni partito comunista, in quanto sezione nazionale dell'Internazionale Comunista, era tenuto ad apportarvi i propri contributi sulla base delle proprie esperienze dirette, delle proprie battaglie di classe, della propria preprazione teorica. La Sinistra comunista d'Italia, nel periodo precedente la scissione dal PSI e nel periodo successivo, caratterizzato dalla costituzione e dalla guida del Partito Comunista d'Italia, non mancò mai a questo compito. Dalle Tesi della Frazione Comunista Astensionista del PSI del 1920 al Programma del Partito Comunista d'Italia 1921, dalle Tesi sulla tattica, agrarie e sindacali di Roma 1922 alla Tattica dell'I.C. nel progetto di Tesi presentato dal PCd'I al IV congresso mondiale del 1922, alle Tesi della Sinistra presentate al 3° congresso del PCd'I a Lione 1926; dalle sue battaglie sul terreno sindacale per l'unificazione del proletariato alle battaglie contro l'opportunismo riformista e centrista e contro il fascismo, la Sinistra comunista d'Italia ha continuato a definire i criteri dell'attività del partito in un quadro costantemente mondiale, secondo una valutazione della situazione generale dalla quale far dipendere le eventuali particolarità nazionali senza mai concedere a queste particolarità un peso determinante sulle linee politiche, tattiche e organizzative che dovevano invece essere omogenee e applicate da tutte le sezioni dell'Internazionale Comunista nell'osservanza di un centralismo che per la Sinistra avrebbe dovuto essere organico e non democratico.

La questione del parlamentarismo era stata «risolta» dall'I.C. con le Tesi di Lenin-Bucharin. Per la Sinistra comunista d'Italia, accettare la loro applicazione era una questione di disciplina centralistica, politica e non semplicemente formale. Ma lo spirito con cui veniva accolta la tattica del parlamentarismo rivoluzionario, basato in ogni caso sulla necessità di applicare quella tattica nel modo più coerente e disciplinato con il dettato delle tesi approvate dal congresso dell'Internazionale, era quello descritto, ad esempio, da Tarsia nell'articolo La disciplina nell'Internazionale (5):

 

«La disciplina comunista non è una meccanica e forzata esecuzione di volontà non propria, ma intima fusione e compenetrazione di spiriti, tale che la uniformità funzionale diventi un fenomeno spontaneo. Questo non contrasta, anzi si forgia sulla libera, continua, vigile disamina individuale che vale ad apprestare e preparare i nuovi elementi di miglioramento, di perfezionamento, di trasformazione, di innovazione a cui tutti debbono contribuire in modo che l'azione non sia il prodotto del pensiero di pochi capi sia pure grandissimi, ma l'opera fattiva di una massa sempre crescente e sempre più omogenea. Ciò ha inteso la Frazione astensionista quando ha stabilito di eseguire senza alcuna riserva i deliberati dell'Internazionale, verso cui la frazione, nel dare la sua adesione nello scorso anno, aveva inteso non di fare una affermazione verbale ma di assumere un impegno rigoroso programmatico e disciplinare».

 

Un impegno non formalistico, ma di sostanza e che non nascondeva la situazione reale in cui, dopo il fallimento della Seconda Internazionale, si era costituita  la Terza Internazionale che non per nulla si definì Internazionale Comunista. L'organo che, sulla storica spinta della rivoluzione proletaria vittoriosa in Russia, si era dato il compito di guida della rivoluzione mondiale del proletariato, era di fatto appena nato. Poteva contare dell'esperienza quindicennale del partito bolscevico di Lenin e sull'opera di restaurazione della dottrina marxista da parte di Lenin, ma nasceva in un periodo in cui in tutti gli altri paesi europei  (l'Europa allora era al centro del mondo) non si erano rese mature le premesse teorico-programmatiche per la costituzione di reali partiti rivoluzionari. Come detto in precedenza, esistevano tendenze e gruppi comunisti, ma non partiti saldamente radicati su battaglie di classe come lo era il partito bolscevico. Ecco, quindi, il grande compito che si poneva la nuova Internazionale proletaria: fissare in tesi vincolanti per tutti gli aderenti le basi teorico-programmatiche, politiche, tattiche e organizzative prodotte dall'esperienza reale e storica delle battaglie di classe condotte e dai bilanci delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni, tesi improntate alle finalità rivoluzionarie che dovevano orientare tutti i partiti aderenti.

Perciò, una volta compresa la necessità di ricostituire l'Internazionale proletaria sulle basi del marxismo e in relazione all'indispensabile bilancio dell'ondata opportunista che portò, di fronte alla guerra imperialista, la grandissima parte dei partiti socialisti della Seconda Internazionale a tradire i principi e il programma su cui questa si era costituita, i primi passi della nuova Internazionale potevano sì contare sulla restaurazione dottrinaria marxista, sui principi e sul programma che da essa discendono, ma doveva necessariamente basarsi all'inizio quasi esclusivamente sul bilancio della rivoluzione russa dell'Ottobre 1917, sulle formidabili lezioni che il bolscevismo aveva tratto dalle correnti controrivoluzionarie del socialsciovinismo kautskiano e dall'esperienza concreta fatta dalla dittatura bolscevica in un grande paese ma particolarmente arretrato dal punto di vista economico e sociale; una dittatura proletaria contro cui l'intero mondo borghese e imperialista si era scatenato per affossarla, una dittatura sorta nel primo bastione della rivoluzione proletaria mondiale e che aveva estremo bisogno dell'apporto concreto del movimento rivoluzionario europeo.

Il partito bolscevico di Lenin, alla direzione non solo della dittatura proletaria in Russia, ma anche dell'Internazionale Comunista - e non poteva che essere così - sapeva benissimo di aver bisogno del sostegno dei partiti comunisti del mondo e, in particolare, dell'Europa occidentale, sia per la difesa del primo bastione della rivoluzione proletaria conquistato in Russia, sia per definire com maggior precisione, efficacia e coerenza marxiste le tesi e le direttive di quello che doveva diventare l'unico Partito Comunista Mondiale. Ma conosceva molto bene le debolezze e le deficienze teoriche dei comunisti europei, soprattutto di Germania e di Francia. Data quindi questa situazione, se, da un lato, i bolscevichi si erano assunti il compito di gettare le basi programmatiche, politiche, tattiche e organizzative dell'Internazionale Comunista, nel tentativo di instradare con grande fermezza i partiti aderenti sotto un unico orientamento, un'unica strategia, un'unica direzione, dall'altro contavano molto sulla genuina spinta rivoluzionaria delle grandi masse proletarie europee, galvanizzate dalla vittoria rivoluzionaria in Russia, grazie alla quale spinta i partiti comunisti di recentissima formazione avrebbero potuto costituire, sotto l'attenta guida del partito bolscevico, una reale forza direttiva del movimento rivoluzionario in ciascun paese. Era questo il tipo di aiuto di cui i bolscevichi avevano urgente bisogno, tanto più che da quando avevano preso il potere era scoppiata la guerra civile contro le guardie bianche sostenute e foraggiate soprattutto dall'imperialismo inglese, francese, tedesco. Era questo tipo di aiuto di cui aveva bisogno la rivoluzione proletaria internazionale e che avrebbe potuto trasformare una speranza (espressa da Lenin) in una realtà: la vittoria rivoluzionaria in Germania in particolare (ricordate le due metà spaiate del socialismo, il potere politico in Russia, l'economia capitalistica avanzata in Germania?) che aveva un proletariato organizzato e che aveva dimostrato durante e dopo la guerra imperialista una eccezionale combattività. Come sostenne Lenin, l'Internazionale Comunista avrebbe così trasferito la propria direzione da Mosca a Berlino perché da qui sarebbe stata diretta con molta più forza la rivoluzione proletaria in tutta Europa e, quindi, nel mondo.

I partiti comunisti aderenti all'Internazionale Comunista erano quindi chiamati non solo ad accettare le sue tesi costitutive, ma anche a dare l'apporto sul piano teorico-politico e su quello dell'esperienza reale delle battaglie di classe in vista, appunto, di una volontà collettiva dalla quale tutti i comunisti non potevano sottrarsi.

Questo impegno era particolarmente sentito dalla Sinistra comunista d'Italia, perciò, lungi da una accettazione formale delle tesi che la nuova Internazionale avrebbe deliberato nei suoi congressi, come scritto nell'articolo di Tarsia sopra citato, essa si poneva interamente sul piano di una collaborazione piena e centralistica che non nascondeva l'apporto critico derivante dalle proprie battaglie di classe:

 

«Le deliberazioni del II Congresso della III Internazionale non sono in ogni questione l'ultima parola, esse sono al contrario la prima parola positiva; molte altre verranno in seguito, le quali sanzioneranno, modificheranno, annuleranno quelle già dette a seconda delle vicende della guerra, il cui bilancio varierà prima della vittoria finale, in relazione al successo delle varie campagne che dovranno essere combattute. (...) Non portare il proprio contributo alla elaborazione della volontà collettiva è per i comunisti colpevole, così com'è colpevole frapporre ostacolo e difficiltà nell'ora dell'esecuzione».

 

E' esattamente con questo spirito internazionalista che la Sinistra comunista d'Italia ha lavorato sia per la costituzione del Partito comunista in Italia, sulla base delle Tesi 1920 dell'Internazionale Comunista, sia perché l'Internazionale avesse da parte di ogni corrente o partito comunista esistente il contributo inteso a rafforzare la volontà collettiva di cui si parla in quell'articolo; un contributo come risultato di reali battaglie di classe condotte nei diversi paesi imperialisti e coloniali ma con lo stesso inquadramento teorico-politico marxista.

Un contributo che, ad esempio, nonostante l'ovvia censura borghese in tempo di guerra, si può riscontrare anche da un articolo di Bordiga pubblicato nel maggio del 1918 ne «L'Avanguardia» (6), quindi prima della costituzione formale dell'Internazionale Comunista, in cui, dopo aver descritto senza equivoci la posizione comunista contro ogni forma di blocchismo e di socialnazionalismo, e rivendicato la conquista violenta del potere e la dittatura del proletariato, si legge:

 

«Il postulato fondamentale della conquista del potere non va confuso con la sopravalutazione dell'azione parlamentare. Anzi, dovranno essere nettamente condannati i concetti secondo cui il proletariato può giungere ad impadronirsi del potere attraverso la maggioranza degli attuali istituti rappresentativi, che [censura] sopprimerà per dar luogo ad organi rappresentanti la sola classe proletaria e non tutto il popolo nelle diverse classi che lo compongono, destinate a sparire gradualmente. I fondamenti positivi sui quali dovrà basarsi la nuova Internazionale, in sintesi conclusiva, così ci proviamo a riassumerli:

«dottrina: interpretazione marxista della storia e della società;

«programma: conquista [violenta] del potere ed esercizio di esso per attuare la socializzazione dei mezzi di produzione;

«metodo: azione politica intransigente di classe con disciplina collettiva».

 

Purtroppo, i contributi che vennero dai partiti comunisti più importanti dell'Occidente imperialistico, i partiti tedesco e  francese in particolare, non furono all'altezza della situazione rivoluzionaria che era maturata durante e subito dopo la guerra imperialista.

 

*    *    *

 

Nella formazione del Partito Comunista d'Italia, sulla base di una dura lotta contro il riformismo e il centrismo che caratterizzavano la grande maggioranza del PSI, e sulla base delle Tesi dei primi due congressi dell'I.C., 1919 e 1920, la Sinistra Comunista ebbe il totale appoggio del Comitato Centrale dell'Internazionale Comunista che riconobbe il PCd'I come unica sezione italiana dell'Internazionale, escludendo perciò il PSI che era stato nel 1919 tra i primi partiti occidentali ad aderirvi.

Nel giugno 1921si tenne il 3° congresso dell'Internazionale Comunista, al quale ovviamente partecipò il Partito comunista d'Italia come sua unica sezione italiana riconosciuta dall'I.C. Nella relazione di Zinoviev a nome del Comitato Esecutivo dell'I.C., per quanto riguarda l'Italia, vi è infatti una chiara condanna del massimalismo di Serrati - allora alla direzione del PSI - e la dichiarazione che la scissione dei comunisti al congresso di Livorno era inevitabile. Naturalmente, dato che il PSI era memebro dell'I.C. fin dal suo 1° congresso, la situazione anche formale andava risolta poiché il solo riferimento alle Condizioni di ammissione (con le quali si accettavano esclusivamente i partiti che rompevano con le correnti opportuniste) non era sufficiente.

D'altra parte, al congresso di Livorno, dopo la scissione, il PSI approvava la seguente decisione:

 

«Nel confermare ancora una volta la propria adesione all'Internazionale comunista, il congresso sottopone la divergenza al prossimo congresso dell'Internazionale comunista e così facendo si impegna a rispettarne e metterne in atto le decisioni» (7).

 

La questione, quindi, era rimasta aperta.

Zinoviev, nella dichiarazione richiamata sopra, affermerà:

 

«In risposta all'appello del congresso di Livorno al terzo congresso mondiale, il terzo congresso mondiale dichiara, a mo' di ultimatum: Finché il Partito socialista italiano non espelle quanti hanno preso parte alla conferenza riformista di Reggio Emilia ed i loro seguaci, il PSI non può appartenere all'IC. Se questa condizione viene soddisfatta, il terzo congresso mondiale dà istruzioni all'Esecutivo perché provveda a che vengano fatti i passi necessari per fondere il PSI, epurato degli elementi riformisti e centristi, con il PCd'I in una sezione unificata dell'Internazionale comunista».

 

Alla fin fine, l'I.C. credeva che, grazie alla «pressione da parte dei lavoratori rivoluzionari» il PSI fosse ancora in grado di epurarsi degli elementi riformisti, cosa che non aveva fatto solo qualche mese prima al congresso di Livorno, nel quale la corrente comunista aveva posto esattamente anche questa condizione come una priorità per applicare le direttive dell'I.C. L'I.C., quindi, poggiando la propria autorevolezza sulla vittoria rivoluzionaria in Russia e sul fatto che le masse proletarie europee e del mondo guardavano ad essa come una forza in grado di portare la rivoluzione nel mondo, sperava in questo modo di accelerare la disintegrazione delle correnti riformiste ancora alla direzione di molti partiti, e certamente del PSI, e nello stesso tempo rafforzare la presa dei partiti comunisti sulle masse proletarie nei diversi paesi.

Le dure critiche che i comunisti del Soviet e dell'Ordine Nuovo avevano fatto ai riformisti, negli anni della guerra imperialista e del dopoguerra, e le posizioni intransigenti sostenute in una battaglia politica decisiva rispetto alle potenzialità rivoluzionarie presenti in Italia, evidentemente non avevano convinto l'Esecutivo dell'Internazionale che, poggiandosi soprattutto sul partito bolscevico, in quegli stessi anni era alle prese, in Russia, con una situazione economica e militare particolarmente grave, data anche la lunga guerra controrivoluzionaria condotta dalle guardie bianche dello zarismo e dalle potenze imperialiste europee. L'urgenza della rivoluzione in Europa si faceva, così, sempre più pressante, tanto più che le masse proletarie stavano ancora lottando sul terreno potenzialmente rivoluzionario. Quel che i bolscevichi constatavano, in verità, era l'estrema debolezza dei comunisti in Germania e in Francia, i due più importanti paesi europei nei quali la rivoluzione vittoriosa - soprattutto in Germania - avrebbe cambiato completamente i rapporti di forza tra il proletariato rivoluzionario e la borghesia imperialista.

Ma, confrontati con tutta la situazione storica creatasi con la guerra imperialista e il suo dopoguerra, i partiti comunisti tedesco e francese dimostrarono di non essere all'altezza dei compiti rivoluzionari che la storia aveva posto con grande urgenza.

 

«Il pc tedesco con le sue oscillazioni teoriche e politiche influenzò in modo determinante le direttive dell'Internazionale, soprattutto dal 1923 in poi; il pc francese rappresentò un vero e proprio aborto storico, preda come fu sempre delle seduzioni democratico-radicali della "Grande Rivoluzione francese", ergendosi a baluardo del comunismo democratico; il pc d'Italia rappresentò la linea più intransigente e più coerentemente "bolscevica" nell'occidente democratico»,

 

così sintetizzavamo nella recensione al III volume della Storia della Sinistra comunista, uscito dopo la crisi esplosiva del nostro partito nel 1986 ad opera del nuovo «programma comunista» (8).

Per avere un'idea un po' più dettagliata del lavoro di partito fatto per il III volume della Storia della Sinistra comunista, riprendiamo il resoconto sommario della riunione generale di partito svoltasi a Milano il 28-29 maggio 1977 (9):

 

«L'enorme materiale già raccolto in vista della compilazione del III volume della Storia della Sinistra Comunista, che abbraccerà il periodo fra il secondo e il terzo Congresso dell'Internazionale e si sforzerà di allargare l'orizzonte della trattazione seguendo le vicissitudini non solo della fondazione e del primo mezzo anno di vita del PCd'I, ma quelle dei maggiori partiti almeno europei, è stato utilizaato nel corso della riunione di Milano per dare un quadro d'insieme del processo attraverso il quale si formarono le giovani sezioni del Comintern in Germania e in Francia, e che si ripeté in altre forme ma con gli stessi contenuti in Spagna, in Cecoslovacchia, nei Balcani e nei Paesi scandinavi, oltre che in Inghilterra e in America. mentre seguì un corso ben diverso in Italia.

«Come già si era iniziato a fare negli ultimi capitoli del II volume della Storia, si è insistito soprattutto su tre punti, ampiamente documentati pur nei ristretti limiti di tempo:

 

«1) La situazione in cui si trovarono i dirigenti bolscevichi di fronte a Partiti che avevano già dato la loro adesione alla III Internazionale (come il PSI), ma non intendevano spezzare il cordone ombelicale che li teneva uniti alla II, o che, pur volendo costituirsi sulla base delle 21 condizioni fissate dal II Congresso mondiale, sollevavano nei loro riguardi riserve d'ordine tutt'altro che secondario (come il Partito francese), alle quale d'altra parte "ale sinistre" eterogenee e malsicure opponevano solo deboli resistenze o che, infine, avevano già aderito al Comintern, come il PC tedesco, ma non davano serie garanzie di muoversi sul terreno chiaramente definito dalle tesi votate a Mosca nell'agosto 1920.

«Questa situazione condizionò i dirigenti dell'Internazionale accentuando la tendenza, di cui la nostra corrente non aveva mancato di rilevare con gravi preoccupazioni i primi sintomi, ad allentare le maglie del rigore programmatico e organizzativo, transigendo con frazioni spurie dei vecchi partiti che si sperava di poter inquadrare solidamente nella disciplina internazionale del Comintern, riplasmate al fuoco di un ciclo storico concordemente ritenuto prerivoluzionario. Nessuno, a Mosca, si faceva illusioni sulla serietà dell'adesione al comunismo della maggioranza del PS francese; mancava tuttavia, in quello che avrebbe dovuto essere il nucleo costitutivo di un vero partito comunista (il Comité pour la III Internationale), un chiaro orientamento teorico su punti fondamentali come il rapporto fra Partito di classe e sindacati ela nozione stessa di dittatura proletaria; se nel gruppo Cachin-Frossard sopravviveva l'antico filone centrista (nella migliore delle ipotesi), nella "sinistra" sopravviveva tenace quello anarco-sindacalista, mentre alla sinistra estrema - fautrice dell'adesione senza condizioni e discussioni - perdurava l'equivoco del "sovietismo", inteso come federazione sia nel regime interno del Partito, sia nell'esercizio della dittatura proletaria. 

«Non diversamente, nessuno a Mosca si nascondeva i pericoli di una fusione fra il KPD spartachista e l'ala cosiddetta sinistra degli Indipendenti, ma il primo, sotto la direzione Levi, aveva già dato prove non brillanti di accademismo, di aristocratico orrore dei moti di classe violenti, identificati con puri e semplici putsch del proletariato straccione, e di tendenziale idealismo nell'inseguire il miraggio di una rivoluzione insieme "politica" e "cosciente". Quanto al KAPD, nulla più del suo immediatismo e sponteneismo era lontano da Lenin e Trotsky, ma essi non potevano ignorare la straordinaria combattività della sua base operaia, d'altronde non di rado spinta su posizioni di "estremismo" infantile per reazione al "senile" legalitarismo del Partito comunista ufficiale. Mettere insieme queste forze di matrice eterogenea, cercando di compensare con gli elementi positivi di ciascuna i troppi elementi negativi che tutte si trascinavano dietro dal passato, era una fatica di Sisifo alla quale non ci si poteva sottrarre anche quando se ne intravvedevano i pericoli. I tempi erano di ferro e di fuoco nella realtà sociale, ma questa stessa realtà aveva generato in Occidente e nell'Europa centrale frazioni e gruppi soggettivamente immaturi ai compiti grandiosi della preparazione rivoluzionaria: in ciò risiedeva il dramma comune.

«Da parte nostra, già al II Congresso avevamo insistito per il massimo rigore nella selezioni dei Partiti aderenti: non ignoravamo però che questo rigore si sarebbe scontrato in limiti obiettivi e che, se questi potevano e dovevano essere circoscritti, non potevano tuttavia, in assoluto, essere ignorati.

«Resta il fatto che il processo di formazione dei Partiti comunisti nella cruciale area europea si svolse in condizioni insoddisfacenti o addirittura francamente negative, il cui peso non pogeva non farsi sentire negli anni che seguirono - anni, per giunta, non più di avanzata proletaria e classista, ma di riflusso.

«Nel corso della riunione si sono potuti documentare sinteticamente le tappe di questa evoluzione, soprattutto per la Francia e, in parte, per la Germania, ma la documentazione scritta si estenderà pure ad altre aree, dando un contributo che riteniamo essenziale alla comprensione non solo del periodo agosto 1920-luglio 1921, ma anche della fase successiva.

«I congressi di Halle e di Berlino nell'autunno, quello di Tours in dicembre, le mozioni presentate dalle diverse correnti, i discorsi dei principali "leader", i commenti del nostro Soviet o del Comunista (Organo della Frazione di Imola), gettano infatti una luce decisiva sul complicato intreccio di fattori che determinarono insieme  "le grandezze e le miserie" della III Internazionale e che, d'altra parte, giustificarono e giustificano per noi la rivendicazione di quella che era e rimane la più alta conquista del movimento rivoluzionario comunista nel primo dopoguerra.

«2) Il secondo punto è la completa sintonia nelle posizioni di coloro - si chiamassero riformisti o centristi - che, nei diversi paesi, rivendicavano di fronte alla III Internazionale un margine di autonomia giustificato (così pretendevano) dalle "particolari condizioni" dell'ambito nazionale in cui lavoravano. In realtà, la "diversità" di tali condizioni serviva - come sempre è avvenuto - di argomento a favore di una completa unità nel mantenere l'equivoco della coesistenza di proclamazioni rivoluzionarie e di atteggiamenti opportunistici, di frazioni di destra e di frazioni sedicentemente di sinistra, di attaccamento al passato e di indistinte aspirazioni all'avvenire: comuni a tutti erano il rifiuto aperto o seminascosto della centralizzazione, della disciplina internazionale, della combinazione del lavoro legale e clandestino, della scissione irrevocabile dei partiti della II Internazionale, la nostalgia dell'unità a tutti i costi; la renitenza a propagandare la rivoluzione violenta e la dittatura e il terrore rossi, come via obbligata al socialismo; un falso estremismo nelle questioni nazionale-coloniale e agraria a copertura  di un fondamentale opportunismo in tutto il resto; infine, un distacco altezzoso nei confronti del... "comunismo asiatico" che la "barbara Russia" pretendeva di contrabbandare nell'Occidente "colto" e progredito.

«E il guaio è che, in forme meno visibili, certo, ma non per questo meno morbose, da tutto ciò non erano immuni (se si eccettua la Sinistra in Italia) le frazioni, le correnti e i partiti che si proclamavano comunisti.

«3) Si è infine mostrato come in Italia il processo si sia potuto svolgere in tutt'altre condizioni proprio per la presenza di ciò che mancava altrove, cioè di una frazione organizzata che non aveva atteso "la moda" 1920 per schierarsi sullo stesso fronte dei bolscevichi e si battè in tutto il periodo che va fino al Congresso di Livorno per una rigorosa selezione teorica, programmatica, organizzativa basata sull'adesione senza riserve alle tesi del II Congresso, anche là dove sul piano tattico queste sembravano - se riferite all'Occidente capitalisticamente stramaturo e ultrademocratico - non abbastanza nette e rigide (rigidità che gli "astensionisti" invocavano non per ragioni di "purezza", o per "settarismo", ma per motivi di efficienza pratica reale), non arretrando di fronte alla prospettiva di una scissione "di minoranza" nella chiara e precisa convinzione che - se doveva verificarsi - essa sarebbe stata foriera non di debolezza, ma di forza.

«Fu questa corrente, la Frazione comunista (ex astensionista) del PSI, a preparare il terreno alla scissione di Livorno, a fissarne i cardini di base ai deliberati dell'Internazionale, a redigerne il programma; fu per la sua decisione e per la sua intransigenza che nel nuovo Partito poterono integrarsi correnti e militanti singoli, come gli ordinovisti, di formazione ed origine diversa, ma fusi e riplasmati da una direzione politica ferma, da un orientamento sicuro sul piano teorico e pratico, da una disciplina senza riserve, e il giovane Partito potè affrontare le dure prove del biennio successivo non solo con grande energia e combattività, ma con una compattezza di cui nessun altro Partito fratello diede prova (né poteva darla).

«Sono tre punti che per noi non hanno un valore meramente "storiografico"; essi appartengono agli insegnamenti della storia vivente, o meglio delle grandi conferme dei principi della dottrina marxista al banco di prova della realtà. Perciò è vitale rifarsi a quegli anni e alle loro lezioni imperiture; perciò bisogna attingervi il "filo rosso" che solo permetterà alle generazioni presenti e future del movimento operaio e comunista di riprendere il cammino su una via più dritta e più sicura, la via della vittoria».

 

Ed è esattemente in questo spirito che il partito comunista internazionale, dal 1952, ha proseguito la sua attività, su tutti i piani, per l'appunto, sul piano teorico, programmatico, politico, tattico e organizzativo. Naturalmente, gli interessati ad approfondire le vicende di quegli anni possono riferisi alla Storia della Sinistra Comunista, in particolare al suo III volume che tratta il processo di formazione delle sezioni nazionali dell'Internazionale Comunista - soprattutto di Germania e Francia - fino alla scissione di Livorno e alla formazione del Partito Comunista d'Italia. Oltre alla numerosissima quantità di articoli della corrente della Sinistra comunista pubblicati ne Il Soviet, dal 1919 al 1920, e nell'Avanti!, L'Avanguardia, l'Ordine Nuovo e, infine ne Il Comunista e nella Rassegna Comunista come organi del Partito Comunista d'Italia, il filo rosso che ha caratterizzato l'attività della Sinistra comunista in quegli anni, sia in ambito nazionale che internazionale, è segnato dalla continuità teorica, programmatica, politica, tattica e organizzativa che partiva, come detto sopra, dalle Tesi della Frazione Comunista astensionista del PSI della primavera del 1920 al Progetto di Tesi della Sinistra per il III congresso del PCd'I a Lione nel gennaio 1926, passando naturalmente per le Tesi di Roma del 1922 (10).

I cinque anni abbondanti che vanno dall'Ottobre 1917, con la vittoriosa rivoluzione proletaria in Russia, fino al 1923 tedesco, sono stati gli anni cruciali in cui si sono decise le sorti della rivoluzione proletaria in Europa e nel mondo. La guerra imperialista, alla quale le potenze europee si stavano preparando da tempo, ha sconvolto completamente l'ordine mondiale esistente. Le grandi potenze capitaliste occidentali, Regno Unito e Francia, alleatesi con la Russia zarista, con il Belgio e con l'Impero giapponese, mossero guerra contro l'Impero austro-ungarico e la Germania, ai quali si aggiunse l'Impero Ottomano e, nel 1915, la Bulgaria. La guerra che l'Austria-Ungheria dichiarò alla Serbia il 28 luglio 1914, dopo l'uccisione a Saraievo dell'erede al trono Francesco Ferdinando d'Asburgo, fu in realtà il pretesto per l'inizio della guerra in Europa che divenne immediatamente mondiale. Vi furono coinvolti non solo le potenze imperialiste europee, ma anche i paesi che con queste potenze avevano sottoscritto trattati e alleanze, come appunto il Giappone e, successivamente, gli Stati Uniti; trattati e alleanze che, a seconda degli interessi più profondi dei vari capitalismi nazionali, potevano essere stracciati, come nel caso del Regno d'Italia che, nel 1915, entrava in guerra contro l'Austria-Ungheria nonostante facesse parte della Triplice Alleanza, o della stessa Russia che, dopo la rottura dell'intesa diplomatica che la legava alla Germania di Bismark, cambiò tavolo e dal 1894 si alleò con la Francia.

La dissoluzione degli Imperi centrali (tedesco, austro-ungarico, russo e ottomano) fece nascere nuovi Stati in Europa e diede il via alla spartizione dell'Impero ottomano e delle colonie tedesche tra le potenze vincitrici. Quella che la propaganda asburgica e guglielmina disegnava come una guerra breve che sarebbe terminata entro Natale 1914 o, al massimo, entro Pasqua del 1915, si rivelò il più tremendo massacro della storia umana fino a quell'epoca (tra militari e civili, circa 17 milioni di morti accertati e 20 milioni di  feriti e mutilati).

Unica forza che poteva opporsi a questa ecatombe era il proletariato mondiale. Ma il tradimento della maggior parte dei partiti membri della Seconda Internazionale, col loro voto ai crediti di guerra e il sostegno di ciascuno di loro al nazionalismo e al militarismo del proprio paese, aprì una ferita che si rivelò, alla fin fine, mortale. La classe proletaria dimostrò, da parte sua, una formidabile combattività e una spontanea spinta alla lotta rivoluzionaria, soprattutto in Germania, in Russia, in Serbia, in Ungheria, in Italia. Ed è sull'onda della lotta rivoluzionaria del proletariato russo e sulla solida e coerente guida comunista del partito bolscevico di Lenin che la rivoluzione proletaria, a cui i proletari coscienti di tutto il mondo aspiravano fin dal 1848, vide la luce e la vittoria a Pietrogrado e a Mosca. Come sosteneva Lenin, soltanto la rivoluzione proletaria può fermare la guerra imperialista, e la può fermare soltanto se guidata dall'intelligenza e dall'esperienza di un partito comunista solido dal punto di vista teorico e programmatico, deciso a perseguire i fini storici dell'emancipazione del proletariato, con una visione internazionalista e con la volontà di perseguire quei fini con una ferrea disciplina. In Russia erano giunti a maturazione tutti i fattori favorevoli alla rivoluzione, anzi, eccezione storica, a due rivoluzioni: borghese e proletaria. Il capitalismo che aveva già messo radici economiche in Russia doveva abbattere tutti i vincoli e i limiti del regime feudale e zarista, e per questo compito il numerosissimo contadiname rappresentava la forza d'urto principale. Il capitalismo, però, aveva anche creato un proletariato concentrato nelle grandi fabbriche, nei cantieri, nelle grandi città; un proletariato che aveva già dato prova di una straordinaria combattività nel 1905, in seguito alla guerra russo-giapponese, e che aveva creato nuovi organismi immediati di carattere politico - i soviet - che in Occidente sono stati chiamati Consigli, nei quali si riunivano operai e contadini poveri e, con la guerra, anche i soldati, ossia le masse che oggettivamente avevano l'interesse comune di farla finita con lo zarismo e con la sua guerra.

Il partito comunista bolscevico aveva quindi il compito di stabilire dei rapporti ben precisi con questi nuovi organismi di massa che, proprio per la loro caratteristica, erano ben diversi dagli organismi operai sindacali poiché questi ultimi organizzano i propri membri per la loro specifica collocazione nella produzione, per la loro professione. Ma, come i sindacati, anche i soviet non nascevano già con una precisa impronta proletaria di classe; il fatto che i loro membri provenivano da due classi distinte, proletari e contadini, li esponeva oggettivamente all'influenza della democratizia borghese che, per la specifica fase storica che stava attraversando la Russia in cui all'ordine del giorno era sicuramente la rivoluzione borghese, rappresentava un notevole balzo sociale e politico in avanti. Ma il fatto che il movimento rivoluzionario in Russia vedeva, anche se minoritario, un proletariato molto attivo e organizzato, dava a quest'ultimo la possibilità di mettersi alla testa del movimento rivoluzionario prendendosi sulle spalle, oltre i compiti della sua rivoluzione di classe, anche i compiti della rivoluzione borghese. Ma per questo duplice compito era necessaria la presenza e la decisiva influenza del partito di classe proletario. A differenza della situazione creatasi in Germania nel 1848, quando il partito di classe proletario, il partito comunista, esisteva sì ma soltanto nella sua accezione storica, in Russia il partito di classe esisteva anche dal punto di vista formale (11), come dimostrato dal partito bolscevico di Lenin. 

La situazione in cui si trovava la Russia dell'epoca, dal punto di vista dell'arretratezza dello sviluppo economico, sociale e politico, poneva al partito di classe i problemi che si poneva il partito di classe nella Germania del 1848, ossia i problemi della rivoluzione multipla. Il successo che il partito bolscevico di Lenin ebbe nella rivoluzione russa del 1917 si deve ad una combinazione positiva dei fattori oggettivi e soggettivi rivoluzionari principali: situazione economico-sociale matura per l'eliminazione del modo di produzione precapitalistico, masse contadine e proletarie permeabili agli indirizzi politici rivoluzionari e sperimentate nella lotta contro l'ordine costituito, organizzazioni di massa esistenti, partiti politici rivoluzionari attivi e influenti sulle masse e, in particolare, presenza e influenza decisiva del partito di classe, di un partito che meritava al tempo stesso la qualifica di partito storico e di partito formale, il partito bolscevico di Lenin.

Lo sviluppo del capitalismo nei vari paesi e continenti, se da un lato accelera la trasformazione del modo di produzione da quello precapitalistico a quello capitalistico più avanzato - e tale sviluppo è iniziato inevitabilmente nei paesi in cui lo sviluppo delle forze produttive locali è avvenuto prima che in altri, come in Inghilterra e in Francia -, dall'altro lato tende a frenare la progressione dello sviluppo per ragioni economiche e politiche inerenti il potere borghese già instaurato e la sua spinta a dominare gli altri paesi più arretrati in quanto mercati di sbocco delle proprie merci e dei propri capitali, in quanto bacini di considerevoli riserve energetiche, minerarie e agricole e come bacini di forza lavoro sulla quale imporre una schiavitù salariale ancora più dura che «in patria», creando una enorme massa di forza lavoro a bassissimo costo, e imponendo il proprio dominio su intere popolazioni.

Ma, aldilà della «volontà» dei governanti borghesi del tale o tal altro paese capitalista avanzato, resta il fatto che la borghesia non controlla lo sviluppo delle forze produttive perché le contraddizioni materiali insite nel  modo di produzione capitalistico sono molto più forti della «volontà» dei governanti borghesi. Infatti, avessero la possibilità di prevenire ed eliminare le crisi in cui l'economia capitalistica fa precipitare l'intera società e a cicli sempre più corti, i governanti borghesi l'avrebbero già messa in opera da quel dì. In realtà è l'economia capitalistica, con tutte le sue contraddizioni, che domina la società e che, sebbene in tempi molto lunghi, erode sempre più la struttura economica e sociale della società.

Di tale erosione soffriva in particolare la struttura economica e sociale della Russia zarista a tal punto da mettere oggettivamente in moto le forze sociali che rappresentavano il capitalismo - la borghesia e il proletariato - e che premevano sulle forme dei rapporti sociali della vecchia società; pressione che già nel 1905, con la guerra russo-giapponese, si era alzata a tal punto da scatenare la lotta insurrezionale sia nelle città, sia nelle campagne, ma che non era bastata per scardinare una volta per tutte - alla «rivoluzione francese» - il vecchio e putrefatto potere zarista. Quest'ultimo poteva ancora contare sull'immaturità della classe borghese e dei contadini e sulle potenze dell'imperialismo occidentale che avevano tutto l'interesse nell'utilizzare la sua pressione reazionaria contro il proletariato russo ed europeo in funzione controrivoluzionaria, soprattutto dopo la Comune di Parigi con la quale non solo la borghesia francese, ma tutta la borghesia europea aveva compreso quanto poteva essere pericoloso il proletariato rivoluzionario per il suo potere.

La stessa situazione poteva ripresentarsi con la guerra imperialista mondiale, rispetto alla guerra franco-prussiana del 1870-71. La guerra imperialista ingigantiva le turbolenze sociali e gli effetti della guerra borghese in proporzione alla sua ampiezza e al coinvolgimento dei proletariati di tutti i paesi capitalistici avanzati. La grande e decisiva differenza tra la rivoluzione d'Ottobre e la Comune di Parigi è stata la presenza, l'attività e la fermezza del partito bolscevico che ebbe la possibilità e la capacità di influenzare e dirigere non solo il proletariato russo, ma anche le grandi masse contadine russe, in una rivoluzione per la quale le vicende storiche avevano fatto maturare tutti i fattori favorevoli non solo alla rivoluzione borghese, ma anche alla rivoluzione proletaria.

La differenza tra i fattori rivoluzionari di tipo borghese e i fattori rivoluzionari di tipo proletario non è soltanto riferita alle classi sociali che fanno la rivoluzione e alla classe sociale che ne prende la guida, dunque per quali obiettivi storici le classi rivoluzionarie agiscono e lottano, ma anche alla presenza, o meno, del partito proletario rivoluzionario e all'influenza reale, o meno, che il partito di classe proletario ha sulla massa proletaria e, quindi, sulla sua capacità, o meno, di dirigerla in tutto il processo storico rivoluzionario, dalla lotta per la conquista del potere politico all'instaurazione della dittatura proletaria - quindi della costituzione del proletariato in classe dominante, come dichiarato fin dal 1848 nel Manifesto di Marx-Engels -, dall'attuazione del programma rivoluzionario immediato sul piano politico ed economico alla difesa militare del potere conquistato rispetto ai tentativi di restaurazione borghese, dall'estensione del moto rivoluzionario del proletariato in tutti i paesi capitalisti in cui vige ancora il regime borghese all'organizzazione del proletariato mondiale in un unico esercito diretto da un unico partito di classe internazionale.

La fase in cui il capitalismo si è sviluppato nella sua ultima fase storica, l'imperialismo, si è imposta con la prima guerra imperialista mondiale; questa era, nello stesso tempo, una fase in cui le potenze imperialiste miravano a spartirsi il mondo in un ordine del tutto diverso dalle spartizioni precedenti e una fase in cui il proletariato dei grandi paesi capitalisti e le masse popolari delle colonie e dei paesi capitalisti più arretrati muovevano la loro lotta contro l'ordine costituito. La lotta per l'indipendenza nazionale da tempo si presentava in tutto il mondo con le caratteristiche sia della lotta antifeudale e anti-dispotismo asiatico, sia della lotta anti-coloniale, e quindi antimperialista. Gli esempi più caratteristici: la Russia, a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, la Cina nello stesso periodo e l'insurrezione in Irlanda, durante la stessa guerra imperialista, nel cuore dell'imperialismo britannico, nell'aprile 1916. Queste lotte, questi tentativi rivoluzionari, oggettivamente scuotevano nelle fondamenta l'ordine imperialistico esistente, ma, a differenza degli obiettivi borghesi di nuovi paesi da opprimere, i partiti proletari riuniti nella Seconda Internazionale avevano proclamato la loro decisa opposizione alla guerra imperialista e si erano impegnati a rispondere alla guerra imperialista con la rivoluzione proletaria. La Seconda Internazionale fallì miseramente perché, come sappiamo, la stragrande maggioranza dei partiti aderenti, al momento decisivo tradirono il programma rivoluzionario che li univa a livello mondiale.

La situazione generale, che aveva prodotto la crisi mondiale tramutatasi in guerra mondiale, era oggettivamente rivoluzionaria, e ciò era evidente sia ai partiti proletari, e in particolare alle correnti autenticamente marxiste, sia ai poteri e ai partiti borghesi; ed era evidente anche a tutte le correnti opportuniste (riformiste, centriste e, infine, massimaliste) che albergavano da tempo nei partiti socialisti e socialdemocratici, e che si dimostreranno molto più insidiose e resistenti di quanto gli stessi bolscevichi si aspettavano e si auguravano.

Contro il tradimento socialista e socialdemocratico le correnti marxiste esistenti (che già a Zimmerwald e a Kiental si erano riconosciute) posero da subito la questione della formazione di una nuova Internazionale nella consapevolezza  - perché il proletariato europeo potesse esprimere fino in fondo la sua lotta e la sua combattività sul terreno rivoluzionario - che la situazione generale sarebbe stata anche soggettivamente favorevole alla rivoluzione proletaria mondiale solo se si fosse ricostituita sulle fondamenta marxiste una nuova Internazionale proletaria, la III, nella quale riunire tutti i partiti e le correnti comuniste rivoluzionarie che dimostravano con i fatti di escludere ogni riformismo e opportunismo dal proprio interno. Il processo di costituzione della nuova Internazionale non poteva essere così rapido come la situazione generale avrebbe richiesto: la guerra mondiale era ormai scoppiata, i proletariati di tutti i paesi belligeranti erano stati mobilitati per la guerra e, nella gran parte dei paesi, era assente la presenza organizzata di partiti proletari rivoluzionari, i soli che avrebbero potuto svolgere un'attività e una propaganda antiborghese e rivoluzionaria nelle file del proletariato. Come detto, esistevano delle correnti marxiste (in Germania, in Italia, in Francia, in Olanda), ma solo in Russia esisteva un partito proletario rivoluzionario saldamente impiantato sulle basi del comunismo rivoluzionario, il partito bolscevico di Lenin. Questo partito si era preparato da lungo tempo alla rivoluzione, sia nell'attività legale che in quella illegale, e che ha guidato non solo la rivoluzione proletaria in Russia, ma il movimento rivoluzionario mondiale attraverso la costituzione dell'Internazionale Comunista. Di fatto era l'unico partito comunista che poteva prendersi questo compito e non soltanto perché dal punto di vista teorico-programmatico e da quello politico-organizzativo era il più saldo e il più disciplinato, ma perché poteva contare su un proletariato realmente preparato per la rivoluzione e per la dittatura proletaria e non così intossicato dall'opportunismo rifomista e socialsciovinista come invece era, in generale, il proletariato europeo.

Lo sviluppo ineguale del capitalismo, in una certa misura, condizionava anche lo sviluppo delle rivoluzioni borghesi anti-feudali e delle rivoluzioni proletarie, rendendole «ineguali» a seconda dello sviluppo economico-sociale e dello sviluppo delle lotta di classe nei diversi paesi.

Sull'onda della rivoluzione russa vittoriosa e una volta costituita l'Internazionale Comunista, il proletariato mondiale poteva contare su una guida internazionale della rivoluzione; poteva convogliare il suo formidabile movimento di classe in un'unica direzione, sotto la guida di un unico Partito mondiale - quello che aspirava a diventare l'Internazionale Comunista -, e poteva essere il polo d'attrazione di tutte le lotte dei popoli coloniali e dei paesi capitalistici arretrati. Lenin, i bolscevichi e tutti i comunisti rivoluzionari più coerenti, erano pienamente coscienti di questo grande compito, ma non erano utopisti, e tanto meno dei disegnatori di un'astratta realtà da realizzare. 

Lenin disse che i comunisti, in forza della teoria del comunismo rivoluzionario, istruiscono la rivoluzione, ma la stessa rivoluzione istruisce. E' un altro modo di dire, applicandolo alla situazione storica concreta, che il comunismo «non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi», ma «il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente» (12).

La ripresa del movimento comunista mondiale, dopo il fallimento della Seconda Internazionale, era affidata oggettivamente al partito bolscevico di Lenin che aveva accumulato esperienze concrete nel condurre la rivoluzione proletaria, nel contrastare non solo le forze dell'imperialismo che miravano ad abbattere il potere proletario instaurato in Russia, ma anche le forze di restaurazione zarista interne in una lunga e vittoriosa guerra civile, e nel formulare con grande coerenza e nettezza le direttive di base a cui ogni partito proletario rivoluzionario al mondo doveva obbedire.

Su questa linea, la Sinistra comunista d'Italia non ebbe alcuna difficoltà a porsi, né teorica, né programmatica, né politica, né tanto meno tattica e organizzativa, semplicemente perché riconosceva in essa esattamente le stesse basi delle sue battaglie di classe. Semmai, come è dimostrato dal suo intervento al secondo congresso dell'I.C. del 1920, rivendicava una intransigenza tattica e organizzativa più forte di quanto non proponessero i bolscevichi, proprio sulla base di un'esperienza di lunga data di battaglie condotte in ambiente democratico e contro l'opera del riformismo di destra e di sinistra radicatisi da lungo tempo nel corpo sociale proletario. Come giustamente rivendicato dagli stessi bolscevichi, i partiti comunisti europei avevano il compito di apportare all'Internazionale i contributi delle loro battaglie di classe, delle loro azioni, della loro preparazione rivoluzionaria. Ed è esattamente questo compito che la Sinistra comunista d'Italia, prima e dopo la costituzione del Partito Comunista d'Italia, ha cercato di adempiere attraverso la sua azione, i suoi interventi, i suoi articoli, le sue tesi. Le Tesi della Frazione Comunista Astensionista del PSI della primavera 1920 (13), anticipano di pochi mesi il secondo congresso dell'I.C. - il vero congresso costitutivo dell'I.C. - e collimano perfettamente con il contenuto delle successive Tesi dell'Internazionale.

Sulla stessa linea è stata condotta la battaglia per la scissione dei comunisti dal PSI e per la costituzione del Partito Comunista d'Italia, come da direttiva specifica dell'I.C. Tutta l'attività del Partito Comunista d'Italia, sotto la direzione della Sinistra comunista, non è stata che l'applicazione delle Tesi e delle direttive emanate dal Congresso dell'I.C. del 1920; e sulla scorta di questa esperienza, compresa l'applicazione del parlamentarismo rivoluzionario sostenuto da Lenin, Bucharin e Trotsky e approvato dal secondo congresso dell'I.C. - a dimostrazione che l'astensionismo per la Sinistra comunista non era una questione «di principio», ma un'indicazione tattica risultante da tutte le battaglie di classe condotte contro la democrazia e il riformismo e per la preparazione rivoluzionaria conseguente (14). Il delicato punto della tattica è sempre stato problema arduo, proprio perché le norme tattiche di cui il partito si deve dotare non escono automaticamente o meccanicamente dall'impostazione generale della politica del partito. E non è un caso che le più grandi battaglie di classe condotte dalle correnti della sinistra comunista si siano svolte proprio sulle questioni tattiche.

Fa parte della lunga opera di restaurazione teorica  e di ricollegamento con il patrimonio di battaglie di classe del movimento comunista internazionale svolta dal nostro partito di ieri, nella prima quindicina d'anni dopo la seconda guerra mondiale, la Struttura economica e sociale della Russia d'oggi (15), risultato di un approfondito studio e bilancio degli avvenimenti di Russia e del movimento comunista internazionale, nel quale si era reso necessario riprecisare che cosa la Sinistra marxista, quindi non solo la sinistra comunista d'Italia, intendesse per tattica. Tornare ai grandi dibattiti sulle questioni tattiche che interessarono il movimento comunista internazionale negli anni dal 1920 al 1926, e precisare bene le nostre posizioni su questo arduo problema era infatti

 

«indispensabile per ogni ritorno, auspicabile ancne se non previsto troppo vicino, ai periodi in cui è di primo piano il settore dell'azione e della lotta rispetto a quello non offuscabile e sempre decisivo della dottrina di partito.

«Indubbiamente la nostra lotta è per l'affermazione, nella attività del partito, di norme di azione "obbligatorie" del movimento, le quali devono non solo vincolare il siongolo e i gruppi periferici, ma lo stesso centro del partito, al quale in tanto si deve la totale disciplina esecutiva, in quanto è strettamente legato (senza diritto a improvvisare, per scoperta di nuove situazioni, di ciarlataneschi apertisi "corsi nuovi") all'insieme di precise norme che il partito si è dato per guida dell'azione.

«Tuttavia non si deve fraintendere sulla universalità di tali norme, che non sono norme originarie immutabili, ma norme derivate. I principi stabili, da cui il movimento non si può svincolare, perché sorti - secondo la nostra tesi della formazione di getto del programma rivoluzionario - a dati e rari svolti della storia, non sono le regole tattiche, ma leggi di interpretazione della storia che formano il bagaglio della nostra dottrina. Questi principi conducono nel loro sviluppo a riconoscere, in vasti campi e in periodi storici calcolabili a decenni e decenni, il grande corso su sui il partito cammina e da cui non può discostarsi, perché ciò non accompagnerebbe che il crollo e la liquidazione storica di esso. Le norme tattiche, che nessuno ha il diritto di lasciare in bianco né di revisionare secondo congiunture immediate, sono norme derivate da quella teorizzazione dei grandi cammini, dei grandi sviluppi, e sono norme praticamente ferme ma teoricamente mobili, perché sono norme derivate dalle leggi dei grandi corsi, e con esse, alla scala storica e non a quella della manovra e dell'intrigo, dichiaratamente transitorie».

 

I concetti qui espressi sono stati gli stessi che la Sinistra comunista espresse nel 1920, nel 1922, nel 1926 e in tutti i dibattiti dell'Internazionale Comunista, in una continuità perfetta sia dal punto di vista della dottrina marxista, sia dal punto di vista del programma politico e della tattica, e che ha dato

 

«la possibilità, non diremo il diritto, ai gruppi che derivano dalla lotta della Sinistra italiana contro la degenerazione di Mosca, di intendere meglio di ogni altro per quale strada il partito vero, attivo, e quindi formale, possa rimanere in tutta aderenza ai caratteri del partito storico rivoluzionario, che in linea potenziale esiste per lo meno dal 1847 [quando Marx-Engels scrissero il Manifesto del partito comunista per la Prima Internazionale, NdR], mentre in linea di prassi si è affermato a grandi squarci storici attraverso la serie tragica delle sconfitte della rivoluzione» (16).

 

E' in ragione di quanto detto finora che il compito dei comunisti rivoluzionari in questo lungo periodo controrivoluzionario, caratterizzato dalla tragica sconfitta della rivoluzione proletaria in Russia e della rivoluzione proletaria internazionale, è un compito che non può essere sospeso in attesa di superuomini o di Messia, e tanto meno delegato a metodi democratoidi, pacifisti, autonomisti o libertari.

 

«Senza rompere col principio della disciplina mondiale centralizzata - continuano le Considerazioni... ora citate -, la Sinistra tentò storicamente di dare la battaglia rivoluzionaria anche difensiva tenendo il proletariato di avanguardia indenne dalla collusione coi ceti intermedi, i loro partiti e le loro ideologie votate alla disfatta. Mancata anche questa alea storica di salvare se non la rivoluzione almeno il nerbo del suo partito storico, oggi si è ricominciato in una situazione oggettiva torpida e sorda, in mezzo ad un proletariato infetto di democratismo piccolo borghese fino alle midolla; ma il nascente organismo [l'embrione di partito formatosi nel secondo dopoguerra, NdR], utilizzando tutta la tradizione dottrinale e di prassi ribadita dalla verifica storica di tempestive previsioni, la applica anche alla sua quotidiana azione, perseguendo la ripresa di un contatto sempre più ampio con le masse sfruttate».

 

 Ecco, dunque, la ragione sempre valida di riprendere lo studio e l'assimilazione delle tesi della Sinistra comunista alla luce della restaurazione della dottrina marxista e indirizzando l'attività del partito, ancora in una situazione del tutto sfavorevole, sulla linea ribadita costantemente in tutta la nostra stampa, nel «Distingue il nostro partito»:

 

«la linea da Marx-Engels a Lenin, alla fondazione dell'Internazionale Comunista e del Partito Comunista d'Italia; alle battaglie di classe della Sinistra Comunista contro la degenerazione dell'Internazionale Comunista e dei Partiti ad essa aderenti; alla lotta contro la teoria del socialismo in un paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; alla lotta contro il principio democratico e la sua prassi, contro l'intermedismo e il collaborazionismo interclassista politico e sindacale, contro ogni forma di opportunismo e di nazionalismo. La dura opera del restauro della dottrina marxista e dell'organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, a contatto con la classe operaia e la sua lotta di resistenza quotidiana alla pressione e all'oppressione capitalistiche e borghesi, fuori del politicantismo personale ed elettoralesco, fuori di ogni forma di indifferentismo, di codismo, di movimentismo o di avventurismo lottarmatista. Il sostegno di ogni lotta proletaria che rompa la pace sociale e la disciplina del collaborazionismo interclassista; il sostegno di ogni sforzo di riorganizzazione classista del proletariato sul terreno dell'associazionismo economico nella prospettiva della ripresa su vasta scala della lotta di classe, dell'internazionalismo proletario e della lotta rivoluzionaria anticapitalistica».

 

Marzo 2022

 


 

(1) Cfr. A. Agosti, La Terza Internazionale, Storia documentaria, vol. 1, Editori Riuniti, Roma 1974.

(2) Cfr. Tesi sui partiti comunisti e il parlamentarismo, Internazionale Comunista, II congresso, 2 agosto 1920, L'epoca nuova e il nuovo parlamentarismo, in A. Agosti, La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 1*, Editori Riuniti, Roma 1974, pp 252-254.

(3) Cfr. La III Internazionale e il parlamentarismo, di L. Tarsia, Il Soviet, 22 agosto 1920.

(4) Cfr Storia della Sinistra comunista, vol. III, edizioni il programma comunista, 1986, p. 139.

(5) Cfr. La disciplina nell'Internazionale, di L. Tarsia, «Il Soviet», 31 ottobre 1920.

(6) Cfr. Le direttive marxiste della nuova Internazionale, di A. Bordiga, «L'Avanguardia», a. XII, n. 537, 26 maggio 1918. In A. Bordiga, Scritti 1911-1926, vol. 2, Graphos, Genova 1998.

(7) Cfr. LStoria dell'Internazionale comunista,attraverso i documenti ufficiali, Jane Degras, I, 1919-1922, Feltrinelli, Milano 1975, p. 247.

(8) Cfr. "il comunista", a. IV, n. 2-3, aprile/giugno 1986; consultabile in www.pcint.org. In questa recensione mettevamo in evidenza che anche il contenuto di questo terzo volume, come per i due volumi precedenti, è stato il risultato di un lavoro collettivo di partito al quale hanno contribuito i compagni malgrado la loro rotta successiva - di ripiegamento personale o di linee del tutto antitetiche - come dimostrato dalle vicende successive dei diversi gruppi che si sono formati dopo l'eclatement del 1982-84.

(9) Cfr. "il programma comunista", n. 12, 18 giugno 1977

(10) Le Tesi qui ricordate sono state pubblicate nel volumetto di partito intitolato  "In difesa della continuità del programma comunista",  Firenze 1970; vi sono contenute, nella seconda parte di questo volumetto, anche le Tesi di partito dal 1945 al 1966.

(11)  Che cosa intendiamo per partito storico e partito formale? In uno dei testi fondamentali del partito - «Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione grenerale è storicamente sfavorevole», 1965 - questi concetti, al punto 12, sono chiariti nel modo seguente: «Marx dice: partito nella sua accezione storica, nel senso storico, e partito formale od effimero. Nel primo concetto è la continuità, e da esso abbiamo derivata la nostra tesi caratteristica della invarianza della dottrina da quando Marx la formulò non come una invenzione di genio, ma come scoperta di un risultato della evoluzione umana. Ma i due concetti non sono in opposizione metafisica, e sarebbe sciocco esprimerli con la dottrinetta: volgo le spalle al partito formale e vado verso quello storico. Quando dalla invariante dottrina facciamo sorgere la conclusione che la vittoria rivoluzionaria della classe lavoratrice non può ottenersi che con il partito di classe e la dittatura di esso, e sulla scorta di parole di Marx affermiano che prima del partito rivoluzionario e comunista il proletariato è una classe, forse per la scienza borghese, ma non per Marx e per noi; la conclusione da dedurne è che per la vittoria sarà necessario avere un partito che meriti al tempo stesso la qualifica di partito storico e di partito formale, ossia che si sia risolta nella realtà dell'azione e della storia la contraddizione apparente - e che ha dominato un lungo e difficile passato - tra partito storico, dunque quanto al contenuto (programma storico, invariante), e partito contingente, dunque quanto alla forma, che agisce come forza e prassi fisica di una parte decisiva del proletariato in lotta» (Cfr. In difesa della continuità del programma comunista, ediz. il programma comunista, Firenze, giugno 1970)

(12) Cfr. Marx-Engels L'ideologia tedesca,1845-46,   Opere complete, vol. V, Editori Riuniti,  Roma 1972, p. 34.

(13) Redatte nella primavera del 1920, furono approvate dalla Conferenza nazionale della Frazione del maggio successivo e pubblicate nei nn. 16 e 17 del 6 e 7 giugno de Il Soviet. La nostra corrente si organizzò in Frazione Comunista Astensionista nel luglio 1919 e proveniva già da una sua organizzazione intorno al settimanale Il Soviet fin dalla fine del 1918. L'aggettivo "astensionista" non esprimeva un principio irrevocabile, ma fu conservato essenzialmente per distinguersi dalla  frazione di Serrati, anch'essa proclamatasi "comunista". In Appendice pubblichiamo le Tesi del 1920.

(14) Al punto 7 della parte III delle Tesi della Frazione Comunista Astensionista del PSI, si legge: «La partecipazione alle elezioni per gli organismi rappresentativi della democrazia borghese e l'attività parlamentare, pur presentando in ogni tempo continui pericoli di deviazione, potevano essere utilizzati per la propaganda e la formazione del movimento nel periodo in cui, non delineandosi ancora la possibilità di abbattere il dominio borghese, il compito del partito si limitava alla critica ed alla opposizione. Nell'attuale periodo aperto dalla fine della guerra mondiale, dalle prime rivoluzioni comuniste [in Russia, in Ungheria, NdR] e dal sorgere della Terza Internazionale, i comunisti pongono come obiettivo diretto dell'azione politica del proletariato di tutti i paesi la conquista rivoluzionaria del potere, alla quale tutte le forze e tutta l'opera di preparazione devono essere dedicate. In questo periodo è inammissibile ogni partecipazione a quegli organismi che appaiono come un potente mezzo difensivo borghese destinato ad agire tra le file stesse del proletariato, e in antitesi alla struttura e alla funzione dei quali i comunisti sostengono il sistema dei consigli operai e la dittatura proletaria. Per la grande importanza che praticamente assume l'azione elettorale, non è possibile conciliarla con l'affermazione che essa non è il mezzo per giungere allo scopo principale dell'azione del partito: la conquista del potere; né è possibile evitare che essa assorba tutta l'attività del movimento distogliendolo dalla preparazione rivoluzionaria». Le motivazioni addotte per escludere dall'attività del partito quella elettorale e parlamentare non furono accettate dall'Internazionale che approvò la tattica del parlamentarismo rivoluzionario sottolineando che con tale tattica non si escludeva, anzi, si richiedeva una più decisa attività di preparazione rivoluzionaria al di fuori e contro il parlamento borghese; l'obiettivo restava sempre quello di distruggere, come ogni altra istituzione locale borghese, il parlamento dimostrando, dal di dentro, che era un inganno per il proletariato. Gli avvenimento successivi non diedero ragione alla tattica del parlamentarismo rivoluzionario, che si ridusse sempre più al semplice parlamentarismo - come paventato dalla Sinistra -, deviando per l'ennesima volta l'attività del partito proletario sul terreno più vantaggioso per la conservazione del dominio borghese sulla società.

(15) Cfr. Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, resoconto esteso dei rapporti tenuti nelle riunioni generali di partito di Napoli e Genova dell'aprile e agosto 1955, nei nn. 10-14 e 17-23 del 1955, nei nn. 2-4, 11. 15-18, 20-26 del 1956 e nn. 1-2, 5-12 del 1957 de "il programma comunista". Raccolto poi in volume a sé stante dallo stesso titolo insieme ad altri due rapporti strettamente collegati, Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia (1955) e La Russia nella grande rivoluzione e nella società contemporanea (1956). La citazione è alle pp 54-55 del volume.

(16) Cfr. Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole, cit. p. 169.

 

Top

 


 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Home

Ritorno al catalogo delle pubblicazioni

Ritorno biblioteca

Ritorno ai testi e tesi

Ritorno ai temi

 

Top