Le
prospettive del dopoguerra in relazione alla Piattaforma del Partito
( «Prometeo», N° 3, 1946 )
Sommario:
·
Le prospettive del dopoguerra in
relazione alla Piattaforma del Partito
·
Prospettive del terzo ciclo
dell'opportunismo collaborazionista
·
La possibile guerra futura come
falsa crociata anti-capitalistica
·
La guerra futura come crociata
anti-totalitaria
·
L'opposizione marxista al futuro
opportunismo di guerra
·
L'Italia e la situazione internazionale
PREFAZIONE DELL'EDIZIONE ORIGINALE
I gruppi della Sinistra del Partito
Comunista d'Italia che oggi costituiscono non una tendenza ma le sole forze,
tra quelle che a Livorno nel 1921 formarono il partito, rimaste sul terreno del
marxismo rivoluzionario e della Internazionale di Lenin, nell'intento di dare
ordine sistematico alle loro direttive politiche, concentrando su di esse l'organizzazione
del nuovo partito, hanno, nel succedersi degli eventi, apprestato diversi
testi, la cui elaborazione continua, ed è uno dei fini precipui di questa
rivista.
Una piattaforma fu preparata dai
compagni del sud d'Italia all'inizio del 1945, quando ancora un fronte di
guerra li divideva dal Nord, ma ben rispecchiando il lavoro politico e le
direttive anche al Nord seguite dal Partito Comunista Internazionalista.
Tale Piattaforma contiene il riesame,
dopo gli eventi che condussero alla seconda guerra mondiale, di tutte le
questioni del marxismo: ciclo storico del mondo capitalistico, e in
corrispondenza del movimento operaio, questione russa, questione agraria,
questione della tattica, ciclo storico italiano della classe dominante e del
movimento proletario.
La Piattaforma si conclude con un
programma politico per l'azione del partito in Italia già pubblicato e noto a
tutti i compagni mentre sono capitoli di essa quello sulla Russia pubblicato
nel N. 1 di «Prometeo» e quello sulla Formazione dello stato borghese in Italia
pubblicato nel N. 2.
Successivamente gli eventi storici
condussero alla riunione delle due parti dell'Italia e più oltre alla finale
sconfitta della Germania e del Giappone.
Il testo che qui pubblichiamo, in tutta
continuità con la piattaforma, fu predisposto verso la fine del 1945 dopo che
la collaborazione tra tutti i gruppi del nord e del sud d'Italia era stata
attuata per il semplice fatto dell'avvenuto collegamento.
Esso ha lo scopo di dare la valutazione
degli ulteriori eventi e di stabilire le linee dell'azione del partito nei vari
probabili sviluppi che le situazioni degli anni avvenire potranno presentare.
Dopo la piattaforma di guerra, è una direttiva per l'azione nel periodo di
«pace» borghese.
Carattere del tutto centrale e
distintivo del nostro indirizzo, contrapposto in una lotta di decenni a quelli
di tutti gli opportunisti e disertori della lotta di classe, è quello di
stabilire in linee chiarissime le direttive di azione del partito dinanzi alle
prevedibili svolte più impressionanti della vita storica del mondo
capitalistico che noi combattiamo.
Deve essere totalmente escluso per il
partito e, se questo è all'altezza del suo compito, anche per la classe che
esso impersona, che allo scoppio di eventi anche grandissimi e di cataclismi
storici, centri dirigenti e gruppi organizzati abbiano a scoprire che il
travolgere degli eventi indichi la scelta di vie e l'accettazione di parole di
azione in contrasto con quelle dal movimento saldamente stabilite e seguite.
Tale è la condizione perché un
movimento rivoluzionario possa non solo risorgere ma evitare di sommergersi
nelle crisi come quelle del social-nazionalismo del 1914 e del
nazional-comunismo imposto da Mosca nella fase storica della seconda guerra.
Le prospettive del
dopoguerra in relazione alla Piattaforma del Partito
Durante tutto lo svolgimento della seconda guerra mondiale la quasi
totalità del movimento proletario - sarebbe inutile tentare di non riconoscerlo
- ha subito influenze opportunistiche, ed ha deviato su direttive che
costituiscono un palese asservimento agli interessi della conservazione
capitalistica.
L'aspetto più importante di questo asservimento consiste nella politica
svolta dai partiti della ex Internazionale di Mosca, passati in pieno sul
terreno della collaborazione di classe, dell'Unione Sacra Nazionale, delle
rivendicazioni democratiche, in tutto il periodo in cui lo Stato Russo è stato
alleato militare delle grandi potenze capitalistiche d'Inghilterra e d'America.
Poiché durante tutta questa fase storica nessuna voce avente echi mondiali
ha potuto ristabilire i valori e le posizioni della critica, della dottrina e
dell'azione marxista e rivoluzionaria, il Partito considera come fondamentale
per la ricostruzione dell'energia di classe in Italia e nel mondo la
«piattaforma» critica e politica che caratterizzava la giusta direttiva
rivoluzionaria, purtroppo tradita da socialisti e comunisti «ufficiali» durante
la guerra che di recente si è chiusa.
Oggi che la vittoria completa sul piano militare del blocco dei «Tre
Grandi» ha segnato l'annientamento delle opposte macchine statali tedesca e
giapponese, la situazione si apre a nuove prospettive, che, con continuità e
coerenza completa a tutte le precedenti valutazioni storiche, vanno analizzate
e vagliate per trarne con assoluta chiarezza le direttive di azione futura.
L'essenza del compito pratico del Partito e della sua possibilità di
influire sui rapporti delle forze agenti e sul succedersi degli eventi sta
appunto, non nella improvvisazione ed escogitazione di abili risorse e manovre
mano a mano che le nuove situazioni maturano, ma nella stretta continuità fra
le sue posizioni critiche e le sue parole di propaganda e di battaglia in tutto
il succedersi ed il contrapporsi delle diverse fasi del divenire storico.
Così le conclusioni a cui una critica marxista libera da influenze e
degenerazioni opportunistiche poteva giungere fin dai primi albori del
conflitto oggi cessato, sulla vacuità e la inconsistenza del materiale di agitazione
usato dalle democrazie borghesi e dal falso Stato proletario Russo, e con essi
da tutti i movimenti che ne prendevano ispirazione e sostegno, appaiono oggi
facili e banali dopo la tremenda delusione subita dalle masse che in larga
misura avevano creduto in quelle parole. La tesi che la guerra contro gli Stati
fascisti e la vittoria dei loro avversari non avrebbe ricondotto in vita i
sorpassati e infecondi idilli del liberalismo e della democrazia borghese, ma
avrebbe segnato l'affermarsi mondiale del moderno modo di essere del
capitalismo, che è monopolistico, imperialistico, totalitario e dittatoriale,
tale tesi è oggi accessibile a chiunque; ma cinque o sei anni addietro avrebbe
potuto essere enunciata e difesa solo dai gruppi di avanguardia rivoluzionaria
rimasti strettamente fedeli alle linee storiche del metodo di Marx e di Lenin.
La forza del Partito politico di classe del proletariato deve sorgere dalla
efficacia di queste anticipazioni che sono allo stesso tempo di critica e di
combattimento, dalla conferma che esse traggono nello svolgersi dei fatti, e
non dal gioco dei compromessi, degli accordi, dei blocchi, e degli sblocchi di
cui vive la politica parlamentare e borghese.
Il nuovo Partito di classe Internazionale sorgerà con vera efficienza
storica, ed offrirà alle masse proletarie la possibilità di una riscossa, solo
se saprà impegnare tutti i suoi atteggiamenti futuri su una ferrea linea di
coerenza ai precedenti delle battaglie classiste e rivoluzionarie.
Pur attribuendo quindi la massima importanza alla critica delle falsissime
impostazioni che i partiti cosiddetti socialisti e comunisti hanno dato,
durante la guerra, alla loro interpretazione degli avvenimenti, alla loro
propaganda, ed al loro comportamento tattico, e rivendicando quella che avrebbe
dovuto essere la restaurazione di una visione politica classista nel periodo di
guerra, il Partito deve oggi tracciare anche le linee interpretative e tattiche
corrispondenti alla situazione di cosiddetta pace, succeduta alla cessazione
delle ostilità.
Prospettive
del terzo ciclo dell'opportunismo collaborazionista
Mentre dopo la prima guerra mondiale per un lungo tempo non sembrò che
l'accordo tra i vincitori potesse essere revocato in dubbio, oggi invece, a pochi
mesi dalla fine della guerra e della cessazione delle clamorose propagande che
presentavano come un blocco granitico quello degli Stati nemici della Germania
e del Giappone, già si sente la stessa stampa ufficiale parlare dell'addensarsi
di nubi, del presentarsi di gravi contrasti, e perfino della minaccia di non
lontani conflitti armati tra gli alleati di ieri.
Ne segue che gruppi e Partiti, che fino ad ieri echeggiavano in coro i
luoghi comuni della macchinosa campagna anti-nazista ed anti-fascista, cominciano
ad entrare in crisi, a rivedere le loro posizioni, a preparare piano piano i
loro seguaci alla possibilità di mutamenti di rotta e di clamorose svolte
politiche. Tali riflessi interessano soprattutto i cosiddetti Partiti
proletari, socialista e comunista, che per molti anni non hanno più saputo
parlare di altri scopi e di altre conquiste che non fossero l'annientamento del
pericolo fascista e la instaurazione di una indistinta democrazia comune alle
opposte classi sociali, avallando le promesse programmatiche che andavano
enunciando i capi degli Stati alleati. Questi Partiti non hanno avuto il tempo
di assaporare il loro ritorno sulla scena politica ed il banchetto elettorale
da celebrare con la parola dell'abbattuto pericolo reazionario, che già si
vedono, nella eventualità di una frattura nel fronte dei «Tre Grandi»,
obbligati a scegliere tra posizioni clamorosamente contrastanti in teoria ed in
pratica.
L'avanguardia rivoluzionaria del proletariato intende chiaramente che alla
situazione di guerra è succeduta, per ora, una situazione di dittatura mondiale
della classe capitalistica, assicurata da un organismo di collegamento dei
grandissimi Stati che hanno ormai privato di ogni autonomia e di ogni sovranità
gli Stati minori ed anche molti di quelli che venivano prima annoverati fra le
«grandi potenze». Questa grande forza politica mondiale esprime il tentativo di
organizzare su di un piano unitario l'inesorabile dittatura della borghesia,
mascherandola sotto la formula di «consiglio delle Nazioni Unite», di
«Organizzazione della sicurezza». Essa equivale, qualora riesca nel suo scopo,
al maggiore trionfo delle direttive che andavano sotto il nome di fascismo
e che, secondo la dialettica reale della storia, i vinti hanno lasciato in
eredità ai vincitori.
La possibilità di questa prospettiva più o meno lunga, di governo
internazionale totalitario del capitale, è in relazione alle opportunità
economiche che si presentano alle impalcature pressoché intatte dei vincitori -
primissima quella americana - di attuare per lunghi anni proficui investimenti
della accumulazione capitalistica follemente progressiva nei deserti creati
dalla guerra e nei paesi che le distruzioni di essa hanno ripiombato dai più
alti gradi dello sviluppo capitalista ad un livello coloniale.
La prospettiva fondamentale dei marxisti rivoluzionari è che questo piano
unitario di organizzazione borghese non può riuscire ad avere vita definitiva,
perché lo stesso ritmo vertiginoso che esso imprimerà alla amministrazione di
tutte le risorse e attività umane, con lo spietato asservimento delle masse
produttrici, ricondurrà a nuovi contrasti e a nuove crisi, agli urti fra le
opposte classi sociali, e, nel seno della sfera dittatoriale borghese, a nuovi
urti imperialistici tra i grandi colossi statali. Non può tuttavia prevedersi
che, finita ormai la guerra, tale complesso ciclo possa svolgersi in modo
acceleratissimo; e se anche l'attualità politica degli ultimi tempi parla di
fallimento dei congressi di pace e di insuperabili contrasti, e fa prevedere
che al posto del nuovo organismo mondiale o «super-stato» tendano a risorgere
le sfere di influenza o i grandi blocchi di stati alleati nel loro pericoloso
equilibrio, per il momento è da presumere che la stessa vastità delle ferite di
guerra da risanare e il vasto campo di lavoro che ciò offre alla tipica
organizzazione capitalistica consentiranno il trionfo del compromesso.
Se le grandi reti di propaganda ammaestrata, nella loro sapiente regia,
lasciano trapelare l'orribile eventualità che i colossi vincitori si gettino
l'uno contro l'altro in un nuovo spaventoso cataclisma mondiale con i nuovi
mezzi di offesa aumentati qualitativamente e quantitativamente nel loro
potenziale, ciò probabilmente accade per l'esigenza di meglio terrorizzare i
vassalli della nuova super-dittatura, che saranno condotti a preferire ad una
eventualità così tremenda qualunque forma di supino servaggio verso le ferree
disposizioni che il supremo sinedrio mondiale vorrà dettare concorde in materia
economica, sociale, politica, territoriale, per riordinare il mondo secondo gli
interessi supremi del grande capitale.
Tuttavia il contrasto, la frattura, la frizione che si è già delineata, può
e deve essere presa dal Partito proletario di classe come un'anticipazione di
situazioni future, seppure lontane, a cui bisogna prepararsi maturamente fin da
ora per evitare la dispersione e lo smarrimento che segue nelle file delle
classi proletarie, come cento esempi storici ci avvertono, quando i loro
partiti oppongono alle svolte della situazione mondiale incomposte e inattese
reazioni dell'ultima ora.
Motivi non lievi di contrasto esistono tra il capitalismo inglese, primo
finora sulla scena del mondo, e depositario supremo delle forze della
controrivoluzione, ed il capitalismo americano, più giovane storicamente, ma
che ne appare il successore di gran lunga più possente. I riflessi di questo
contrasto e le prospettive di una lotta tra continenti meritano lo studio e
l'esame più attento dell'avanguardia marxista rivoluzionaria e costituiscono un
compito del partito che la rappresenta.
Ma le conclusioni più immediate e perspicue per l'orientamento tattico
della classe operaia mondiale devono trarsi dall'altra prospettiva, sia pure
remota, della frattura del fronte capitalistico mondiale, che ponga il blocco
anglo-americano come avversario militare contro la Russia.
Le manifestazioni di tale contrasto potranno essere accelerate dal fatto
che, essendo la borghesia inglese compressa dall'imporsi della dittatura
mondiale americana a retrocedere dalla posizione di potenza oceanica a quella
di potenza europea, e tra l'altro mediterranea, essa avrà pressante interesse a
conservare ed estendere il controllo di zone, di posizioni e di vie europee
contendendolo alla espansione verso occidente dello Stato Russo, che svolge
ormai (in coerenza alla valutazione del suo carattere sociale ampiamente
esposta nelle tesi che costituiscono la piattaforma del nostro partito) una
politica di espansione imperiale. Analoghi rapporti sorgono nel mondo asiatico.
Ammesso che tale conflitto si svolga gradualmente dal terreno del contrasto
diplomatico a quello dell'urto militare, dovrà vedersi parallelamente da una
parte e dall'altra, sotto l'influenza delle oligarchie sociali che hanno in
pugno i due Stati, ripetersi il tentativo di presentare al mondo e alle masse
la causa che risponde al proprio materiale interesse sotto l'aspetto di tesi
generali, di ideali sociali, di crociate per il bene dell'umanità.
La possibile terza guerra mondiale, non diversamente dalle altre che si
sono già svolte, sarà vantata da una parte e dall'altra del fronte come una
campagna per la difesa di valori e per la conquista di posizioni che
interessano il bene e l'avvenire di tutte le popolazioni.
Per tal modo ancora una volta le minoranze dominanti tenteranno di spostare
a proprio favore l'influenza e l'efficienza delle forze sociali e politiche,
che sono in campo tanto nel loro territorio che in quello del nemico.
La
possibile guerra futura come falsa crociata anti-capitalistica
La posizione opportunistica dei partiti socialisti e comunisti dei paesi in
guerra con la Germania negli ultimi anni del conflitto è stata sostanzialmente
identica; identiche sono state le loro parole e la loro politica, tutta basata
sull'affasciamento delle forze anti-fasciste ed anti-tedesche, tanto che sono
giunti perfino sulla soglia della unità organizzativa.
Però, in una situazione precedente e non certo remota, le posizioni di tali
partiti contrastavano in modo stridente. Prima dello scoppio quasi inatteso
dell'ostilità tra Germania e Russia, i Partiti comunisti in Francia, in
Inghilterra, in America, non solo non erano entrati nei blocchi nazionali per
la distruzione del nazismo, non solo tennero un atteggiamento di opposizione
politica, ma giunsero in alcuni casi fino all'aperto disfattismo e al
sabotaggio della guerra, sulla base di una propaganda filo-tedesca
(specialmente in Francia). Il cambiamento della situazione internazionale
rovesciò questi partiti di colpo nella politica collaborazionista e nei fronti
nazionali. Il loro linguaggio e la loro propaganda, dopo la audacissima svolta
tradizionale, presentano come cosa impensabile e rinviata per intere
generazioni il passaggio ad una intransigenza politica di classe, all'azione
rivoluzionaria, alla guerra civile, la cui possibilità sia prospettata tanto in
tempo di pace che in tempo di guerra tra gli Stati.
Ma basterà che lo Stato Russo abbia a trovarsi in guerra con i suoi alleati
di oggi perché i partiti comunisti in tutti i paesi nemici della Russia abbiano
a denunziare di colpo i fronti nazionali, ad uscire dai governi di coalizione,
ad iniziare una politica di opposizione, ad esperire i metodi dell'azione
illegale e della insurrezione, ed a propugnare, alle spalle del fronte, la costituzione
di formazioni partigiane che lottino a favore della Russia, come la si
propugnava prima alle spalle del fronte tedesco.
È anche verosimile che questi partiti presentino e giustifichino questa
nuova strategia politica con le parole della lotta di classe, della guerra
sociale, della necessità che i proletari improvvisamente spostino l'obbiettivo
storico del loro sforzo dalla democrazia progressiva alla integrale rivoluzione
classista.
Questa agitazione sarà imperniata sulla presentazione del nuovo conflitto
non già quale manifestazione della insanabile crisi capitalistica, ma come
lotta fra due forme sociali, due mondi, due epoche contrapposte, gli Stati
borghesi d'Europa e d'America da un lato, la Russia proletaria comunista
dall'altro.
È anche possibile che le tesi critiche di Marx e di Lenin contro gli
inganni della democrazia borghese, oggi tenute nel dimenticatoio, vengano
riesumate e sbandierate a fine di propaganda bellica.
Nei paesi però che, per essere sotto l'influenza dello Stato Russo a seguito
della vittoria militare, ne saranno gli alleati, si può, con altrettanta
probabilità, prevedere che saranno realizzati Fronti Nazionali, sostenendo che
tutte le classi sociali (borghesi, contadini, operai) debbano lottare unite per
i finì di indipendenza e di libertà nazionale.
Una tale politica non incontrerà l'avallo, l'approvazione e la solidarietà
dei marxisti rivoluzionari di sinistra, poiché falsa ed opportunistica in tutto
il suo svolgimento, nella sua valutazione critica, nelle sue parole di propaganda,
nei suoi atteggiamenti tattici, e, per conseguenza di tutto ciò, nei suoi
effetti sul potenziale rivoluzionario del proletariato mondiale.
Lo Stato Russo, per le ragioni ampiamente svolte in altre dichiarazioni del
nostro movimento, non è più uno stato del proletariato. Il potere in esso non è
tenuto più dalla classe operaia ma è passato nelle mani di una gerarchia
oligarchica, esponente degli interessi della rinascente borghesia interna e del
capitalismo internazionale. Soltanto perché non è uno Stato proletario la
Russia ha potuto nell'ultima guerra non solo allearsi con le potenze più
stabili e salde del Capitalismo, salvandole dal disastro col sacrificio di
milioni di proletari russi, ma ha potuto organizzare e propugnare in tutti i
paesi la pratica della collaborazione di classe ed il rinnegamento della
preparazione proletaria all'abbattimento della borghesia ed alla conquista del
potere.
Se quindi questo Stato non proletario farà appello ad un'insurrezione
partigiana alle spalle dell'esercito nemico, lo farà non per la mobilitazione
del proletariato sul piano di una guerra di classe, ma allo stesso titolo a cui
lo hanno fatto Stati borghesi conservatori e contro-rivoluzionari, per ottenere
un ausilio militare, pronti però e preparati a ricondurre ovunque dopo la
vittoria l'ordine borghese ed il dominio di classe.
La capacità di un movimento politico di inquadramento del proletariato a
lottare per le finalità rivoluzionarie si ottiene in conseguenza di un
comportamento classista coerente e continuo in tutte le situazioni, e quei
Partiti che già si sono dimostrati capaci di ordinare il disarmo dell'azione di
classe e dell'insurrezione ad una svolta della situazione mondiale, non possono
in nessuna successiva fase e attitudine tattica essere accettati come alleati
da un movimento rivoluzionario che tende all'abbattimento del potere della
borghesia in tutti i paesi.
Anche quindi questa suggestiva propaganda di esaltazione della guerra
Russa, basata sulla utilizzazione delle tradizioni della Rivoluzione Leninista,
dovrà essere considerata come una delle tante formo storiche della
mobilitazione opportunistica del proletariato, non potendosi valutarla
separatamente dalla precedente analoga campagna svolta con gli stessi mezzi per
convincere le masse a farsi uccidere per la vittoria del capitalismo americano
ed inglese su quello tedesco.
I Partiti che hanno chiamato i proletari a combattere a favore degli Stati
borghesi inglese e americano non meriteranno alcun ascolto quando li
chiameranno a combattere contro di quelli.
La corrente marxista rivoluzionaria deve tenerli inchiodati alla loro
responsabilità di collaboratori delle forze capitalistiche, di apologisti della
democrazia borghese, di servitori ministeriali del vincitore anglo-americano.
La caratteristica delle loro gerarchie di essere disfattiste della
rivoluzione dovrà considerarsi confermata dalla nuova clamorosa svolta che la
loro politica dovrà subire se la nuova situazione di guerra si verrà a
determinare.
La
guerra futura come crociata anti-totalitaria
Dall'altro lato del possibile scontro mondiale armato, le oligarchie
borghesi di Inghilterra e d'America, a loro volta, non rinunceranno al
tentativo di trascinare nel proprio campo le correnti proletarie, non solo nei
propri paesi ed in quelli alleati e vassalli, ma altresì nei paesi nemici.
Se è prevedibile che la propaganda di guerra, in quanto diretta ai
ristretti ceti abbienti, sfrutterà ancora il motivo della minaccia
rivoluzionaria e sanguinaria del bolscevismo che invaderebbe il mondo
espropriando e massacrando i ricchi sulle orme delle armate Russe (motivo che
non ha portato nessuna fortuna alle borghesie naziste e fasciste di Germania e
d'Italia) è da cercarsi però altrove il fulcro della futura campagna antirussa
da parte delle potenti organizzazioni propagandistiche anglosassoni, che hanno
dimostrato una perfezione tecnica insuperabile.
Sebbene le democrazie occidentali evolvano progressivamente verso le forme
totalitarie e farciste, esse potranno per un complesso di ragioni inerenti alla
loro base sociale ed alla loro posizione nel mondo (specialmente per l'America)
recitare ancora per lungo tempo la commedia della difesa di tutte le libertà.
Come già si delinea negli atteggiamenti e negli indirizzi di varie correnti
borghesi, e come affiora nelle prime polemiche tra ex alleati, si comincia dai
borghesi d'occidente ad attaccare il regime Russo come dittatoriale totalitario
e fascista.
Che in Russia non vi sia nulla di democrazia formale (la sostanziale è ovunque
chimera) e di sistema rappresentativo a tipo liberale, è stato sempre risaputo,
ma ha fatto comodo per molti anni alla propaganda anti-hitleriana fingere di
credere alla democratizzazione del regime Russo.
Vediamo e vedremo, a grado a grado, trasformare questa tesi in quella
opposta, e rinfacciare all'apparato russo di governo il carattere oligarchico
ed oppressivo e i metodi prepotenti e crudeli finora rinfacciati alle belve
naziste dagli agnelli delle democrazie parlamentari.
Già sarebbe stato accusato il rappresentante sovietico Molotov di
atteggiamenti che ricordano quelli di Hitler; i nomi non sono che un indice
banale della posizione delle forze storiche; ma in ogni caso lo sbaglio
importante di valutazione non è quello di considerare Molotov meno brutale di
Hitler, ma quello originato dal farsi gabellare il laburista britannico Bevin
come espressione di forze meno brigantesche e brutali di quelle rappresentate
dagli altri due. Comunque sarà largamente sfruttato il luogo comune della
campagna contro tutte le dittature, avvalorata dalla stupida complicità
dei traditori del marxismo, e la stampa borghese di occidente scoprirà che
Stalin è un dittatore ed il regime sovietico altro non è che fascismo, per
impiantare su questa asserzione la tesi che la libertà democratica trionferà in
un mondo pacificato soltanto dopo che una nuova guerra, vittoriosa come quella
che travolse i Mussolini gli Hitler e gli Hiro-Hito, avrà tolto dal potere
Stalin o il suo successore.
Anche qui si vorrà provare ai proletari che il regime della libertà
parlamentare è una conquista che li interessa, un patrimonio storico che
rischiano di perdere e che è minacciato, come ieri dall'imperialismo teutonico
o nipponico, domani da quello moscovita.
Dinanzi a questa propaganda ed alla invocazione del fronte unico di guerra
in nome della libertà, cui aderiranno, tra mille sfumature piccolo-borghesi, i
socialisti del tipo II Internazionale (che sotto la temporanea tregua
diverranno antirussi come lo furono per altri motivi al tempo di Lenin), molti
anarcoidi, i vari democratici sociali a fondo bigotto e confessionale che vanno
infestando tutti i paesi, il Partito proletario di classe risponderà con la più
risoluta opposizione alla guerra, con la denunzia dei suoi propagandisti, e,
ovunque potrà, con la lotta diretta di classe impostata su quella svolta
dall'avanguardia rivoluzionaria in ogni paese.
Ciò in coerenza alla sua specifica valutazione critica dello svolgersi
della presente fase storica secondo la quale, mentre il regime russo non
è un regime proletario, e lo Stato di Mosca è divenuto uno dei settori dell'imperialismo
capitalistico, tuttavia la sua forma centralizzata e totalitaria appare più
moderna di quella sorpassata e agonizzante della democrazia
parlamentare; e la anacronistica restaurazione della democrazia al posto
dei regimi totalitari entro i limiti del divenire capitalistico, non è un
postulato che il proletariato debba difendere.
Tale postulato d'altronde è contrario al cammino storico generale, e non è
realizzato nelle guerre imperialistiche dalla vittoria militare degli Stati che
se ne fanno assertori.
L'opposizione marxista al futuro opportunismo di guerra
L'attitudine preconizzata per il nostro movimento, nella possibile futura
terza guerra imperialistica, è quella dunque di rifiutare e respingere, in
entrambi i campi della grande lotta, ogni parola avente il carattere di
«difesismo» (termine già ben noto ed adoperato da Lenin nella battaglia critica
e politica contro l'opportunismo del primo ciclo 1914-18) e contro ogni
«intermedismo», termine col quale vogliamo intendere la pretesa di indicare
come obiettivo precipuo e pregiudiziale della forza e degli sforzi del
proletariato rivoluzionario non l'abbattimento dei suoi oppressori di classe,
ma la realizzazione di certe condizioni nei modi di organizzarsi della presente
società, che gli offrirebbero terreno più favorevole a conquiste ulteriori.
L'aspetto «difesista» dell'opportunismo consiste nell'asserire che la
classe operaia, nel presente ordinamento sociale, pure essendo quella che le
classi superiori dominano e sfruttano, corre in cento guise il pericolo di
veder peggiorare in modo generale le sue condizioni se certe caratteristiche
del presente ordinamento sociale vengono minacciate.
Così dieci e dieci volte abbiamo visto le gerarchie disfattiste del
proletariato chiamarlo ad abbandonare la lotta classista per accorrere,
coalizzato con altre forze sociali e politiche nel campo nazionale o in quello
mondiale, a difendere i più diversi postulati: la libertà, la democrazia, il
sistema rappresentativo, la patria, l'indipendenza nazionale, il pacifismo
unitario, ecc., ecc., facendo gettito delle tesi marxiste per cui il
proletariato, sola classe rivoluzionaria, considera tutte quelle forme del mondo
borghese come le migliori armature di cui a volta a volta si circonda il
privilegio capitalista, e sa che, nella lotta rivoluzionaria, nulla ha da
perdere oltre le proprie catene. Questo proletariato, trasformato in gestore di
patrimoni storici preziosi, in salvatore degli ideali falliti della politica
borghese, è quello che l'opportunismo «difesista» ha consegnato più misero e
schiavo di prima ai suoi nemici di classe nelle rovinose crisi svoltesi durante
la prima e seconda guerra imperialistica.
Sotto l'aspetto complementare dell'«intermedismo» la corruzione
opportunista si presenta non più soltanto col carattere negativo della tutela
di vantaggi di cui la classe operaia godeva e che potrebbe perdere, ma sotto
l'aspetto più suggestivo di conquiste preliminari che potrebbe realizzare -
s'intende col compiacente e generoso aiuto di una parte più moderna ed evoluta
della borghesia e dei suoi partiti - portandosi su posizioni da cui le sarà più
facile spiccare un balzo verso le sue massime conquiste. L'«intermedismo»
trionfò in mille forme, sempre sfociando però nel metodo della collaborazione
di classe, della guerra rivoluzionaria cui Mussolini chiamava i
socialisti italiani nel 1914, alla insurrezione partigiana ed alla democrazia
progressiva, che nella recente guerra i transfughi del comunismo della III
Internazionale hanno creato come surrogato della lotta rivoluzionaria e della
dittatura del proletariato, con l'aggravante di camuffare questo mercimonio di
principi come l'applicazione della tattica elastica che attribuiscono a
Lenin. Forme non diverse di questo metodo si hanno nelle parole poco
comprensibili e destituite di contenuto di «Europa proletaria» di «Stati Uniti
del Mondo» ed altri simili sostituti equivoci del postulato programmatico
centrale di Marx e di Lenin per la conquista armata di tutto il potere politico
da parte del proletariato.
In conclusione, nella prossima possibile frattura del fronte imperialistico
mondiale, il movimento politico rivoluzionario operaio potrà affermarsi,
resistere e ripartire per una storica riscossa solo se saprà spezzare le due
insidie dell'opportunismo «difesista» secondo cui dovrebbero essere bruciate
tutte le munizioni: da un lato del fronte per la salvezza della libertà
rappresentativa delle democrazie occidentali, dall'altro per la salvezza del
potere proletario e comunista russo. Parimenti sarà condizione per la ripresa
classista l'analoga repulsione di ogni «intermedismo» che voglia ingannare le
masse additando la via per la loro ulteriore redenzione rivoluzionaria, da una
parte del fronte nell'affermarsi del metodo di governo parlamentare contro il
totalitarismo moscovita, dall'altra nella estensione del regime
pseudo-sovietico ai paesi del capitalismo dell'Ovest.
A questa giusta impostazione della politica proletaria (purtroppo
rappresentata oggi da gruppi più esigui ed isolati che alla fine della prima-
guerra imperialistica) le possenti organizzazioni propagandistiche che
alimentano l'imbottimento opportunista dei crani al servizio dei grandi mostri
statali, risponderanno a preferenza con la congiura del silenzio o col moderno
monopolio dei mezzi di informazione e di organizzazione, e quando sia
necessario con la repressione e col terrore di classe. In quanto però il campo
della discussione polemica cosiddetta imparziale (ipotesi inaccettabile per
marxisti) possa ancora essere dischiuso, sarà certamente mossa alla
impostazione ora delineata (con analogia perfetta a quanto fecero nel primo
ciclo opportunista i mussolinisti, nel secondo i demo-comunisti progressivi)
l'accusa di dogmatico apriorismo, di cieco indifferentismo alle multiformi
possibilità di sviluppo della realtà storica.
Adottate talune formule fisse: «Lotta di classe», «Intransigenza»,
«Neutralità» i comunisti di sinistra, senza prendersi la briga di compiere
l'analisi delle situazioni e del tormentoso loro divenire, concluderebbero
sempre per una sterile e negativa indifferenza teorica e pratica tra le
strapotenti forze in conflitto.
È mai possibile a marxisti, ossia a sostenitori dell'analisi scientifica
più spregiudicata e libera da dogmi applicata ai fenomeni sociali e storici,
asserire che sia proprio indifferente, per tutto lo svolgersi del processo che
condurrà dal regime capitalistico a quello socialista, là vittoria o la
sconfitta, ieri degli Imperi Centrali, oggi del nazi-fascismo, domani della
plutocrazia americana o del totalitarismo pseudo-sovietico? con questa tesi
insinuante l'opportunismo ha sempre iniziate e finora vinte le sue battaglie.
Ora non è affatto vero che caratterizzi i comunisti della sinistra
l'ignoranza voluta di queste alternative ed il rifiuto della più sottile
analisi di quelle successive e complicate vicende e rapporti della crisi
capitalistica. Esse sono invece un compito incessante del movimento e della sua
opera di indagine critica e teorica, e nessuna accettazione di principi
immutabili ne pregiudica o limita insuperabilmente le conclusioni. Anzi, è
appunto una critica più profonda e più acuta, ma soprattutto più scevra
dell'accettazione, esplicita e assai più spesso implicita, di certi preconcetti
che traducono gli interessi delle forze a noi nemiche, che conduce il marxismo
rivoluzionario a confutare l'opportunismo disfattista sul terreno della
polemica; ma assai più importante sarà il confutarlo con le armi della guerra
di classe.
Noi affermiamo senz'altro che alle diverse soluzioni non solo delle grandi
guerre interessanti tutto il mondo, ma di qualunque guerra, anche più limitata,
hanno corrisposto e corrisponderanno diversissimi effetti sui rapporti delle
forze sociali in campi limitati e nel mondo intero, e sulle possibilità di
sviluppo della azione di classe. Di ciò hanno mostrato l'applicazione ai più
diversi momenti storici Marx, Engels e Lenin, e nella elaborazione della
Piattaforma del nostro movimento se ne deve dare continua applicazione e
dimostrazione.
In tutto questo svolgimento, la confutazione della tesi di partenza dei
social-traditori è risolta nella critica delle tre arbitrarie posizioni, che
nelle sue presentazioni innumeri essa sempre comprende.
1°) Non vi è guerra in cui da ciascuna parte del fronte non sia possibile
l'artata presentazione degli obiettivi di una delle parti come il preteso
trionfo di valori e ideali universali che corrispondono alle aspirazioni
dell'umanità e delle classi sacrificate. Ad esempio, la guerra franco-prussiana
del 1870 fu presentata come suscettibile di sviluppi sociali e rivoluzionari
tanto come effetto della possibile vittoria della Francia della Rivoluzione
sulla Prussia ancora feudale, quanto come ripercussione dell'abbattimento della
reazione bonapartista, ed entrambe le prospettive avevano marxisticamente un
certo contenuto esatto. Non se ne doveva però concludere che i comunisti
internazionali dovessero passare politicamente e militarmente sotto la bandiera
dello Hohenzollern o del Bonaparte. Notoria è l'analisi in tutte le situazioni
storiche posteriori (v. le tesi di Lenin del 1916).
2°) Una ipotesi arbitraria è che lo spostamento di rapporti prodotto dal
prevalere di una delle forze militari sull'altra determini una evoluzione
sociale generale nel senso del diffondersi nel mondo del tipo di organizzazione
e di regime propri degli Stati vincitori. Non solo le possibilità dei riflessi
sono molto più complicate, ma anzi il corso storico nel suo complesso ha piuttosto
mostrato un carattere dialetticamente inverso. Le invasioni barbariche
spezzarono la difesa militare dell'Impero Romano, ma tutta l'Europa fu condotta
a organizzarsi secondo il tipo sociale e le leggi Romane.
Le coalizioni contro la Francia rivoluzionaria pervennero alla sconfitta dì
Napoleone e ne distrussero senza appello la forza militare, ma l'Europa intera
andò organizzandosi secondo i principi borghesi e il codice napoleonico.
Due grandi guerre mondiali hanno assicurato la vittoria a quella parte che
sosteneva di rappresentare la democrazia (sebbene la Russia fosse, nella prima
guerra, assolutista e, nella seconda, totalitaria, priva in entrambe le fasi di
meccanismi parlamentari interni), ma appunto ad un'analisi libera da
preconcetti borghesi appare come il mondo moderno si svolga inesorabilmente
verro forme sempre più severe di controllo dall'alto, di complessità
burocratica, di intervento statale, d'impastoiamento e di soffocazione di ogni
iniziativa o autonomia periferica da parte di mostruosi centri monopolistici di
organizzazione (il che, bene inteso, non va constatato e giudicato dai marxisti
sub specie aeternitatis per gridare allo scandalo, ma appunto analizzato
come l'evolversi dei modi di essere del mondo capitalistico, e non tanto dei
rapporti tra borghesi e proletari, che furono e restano di spietata
oppressione, ma tra borghesi e borghesi).
3°) Quando anche le due soluzioni del conflitto siano apportatrici di
diverse possibilità, sicuramente prevedibili e calcolabili per il movimento, la
stessa utilizzazione di queste possibilità non può venire assicurata che
evitando di compromettere nella politica dell'infeudamento opportunista, le
energie principali di classe e le possibilità di azione del Partito.
Il Partito di avanguardia marxista, se ha per compito essenziale il
decifrare accuratamente lo sviluppo delle condizioni favorevoli all'azione
massima di classe, è quello che deve in tutto il corso storico dedicarsi a
svolgete e condurre vittoriosamente quell'azione, e non a costruirne le condizioni
intermedie. Ciò va inteso nel senso marxistico e dialettico che la
condizione centrale perché il socialismo vinca è il capitalismo stesso, mentre
il partito rivoluzionario, dal suo primo sorgere, lotta spietatamente contro di
lui, e secondo i rapporti delle forze materiali ascende la scala che va dalla
critica scientifica all'opposizione dl principio, alla polemica politica, alla
insurrezione armata; e appunto e soltanto per la continuità di questo
atteggiamento la sua funzione è uno degli aspetti del maturarsi di condizioni
rivoluzionarie che costituiscono il contenuto della crisi capitalista.
In conclusione, ammesso per un momento che le «Carte», i parlamenti, le
leggi liberali e simili armamentari, che nella fase modernissima della storia
appaiono vuote parole ormai non solo all'accorto marxista ma al più ingenuo
osservatore, possano per avventura in dati settori di tempo e spazio farci
comodo, lasceremo dialetticamente che altre forze ed altri partiti lottino per
esse, e ci dedicheremo incessantemente a svergognare e sabotare quelle finalità
ed i loro paladini.
L'Italia e la situazione internazionale
La valutazione del compito del partito nel paese in cui agisce non è punto
di partenza, ma punto di arrivo della politica internazionale proletaria. La
lotta proletaria è dunque la lotta nazionale nel senso che il proletariato deve
anzitutto sbarazzarsi della propria borghesia; dice il «Manifesto». Non,
dunque, in quanto prima di valutare la strategia degli schieramenti
internazionali delle opposte classi il proletariato debba domandarsi se non
abbia interessi, postulati rivendicazioni comuni alla borghesia del suo paese
da accampare nel giuoco mondiale.
Queste tesi furono sconvolte dalla marea opportunista della prima guerra,
ma questa urtò nella tremenda contro-ondata della Rivoluzione leninista. Oggi,
invece, alla fine della seconda guerra, pare non vi sia capo od esponente
proletario che non accetti come indiscusso evangelo l'assoluta necessità di una
solidarietà nazionale per difendere, ieri nella guerra, oggi nella pace, gli
interessi e la causa della patria, della nazione, dell'Italia, dello Stato
Italiano. Tutti questi termini, presupponenti l'obliterazione dei contrasti
interni di classe, sono sostenuti da pretesi marxisti che non si avvedono, o
vogliono celare, di muoversi direttamente nella scia tracciata dal metodo
politico fascista che in essi si perpetua e si perfeziona.
La classe dirigente italiana esperimentò con successo nella prima guerra
mondiale l'arte di scegliere il campo del finale vincitore, e ne trasse certi
benefizi, notevolmente limitati però dagli sfacciati appetiti dei nuclei più
forti del brigantaggio imperialista. Volle naturalmente rifarsene a spese delle
masse lavoratrici interne, ma queste, appunto perché avevano durante la guerra
evitato di cadere nella completa abdicazione alla lotta di classe, condussero
una politica di insolidarietà nazionale, di opposizione aperta e di tentativi
di assalto rivoluzionario. La borghesia rispose, in tutti i suoi partiti,
abbracciando subito la tesi che il peggiore nemico è quello entro frontiera,
vinse nella guerra di classe, tenne stretta nel pugno il potere dello Stato, e
navigò fra le tempeste della politica internazionale sperando di riuscire a
portarsi nel gruppo più potente e candidato alla vittoria.
All'uscita da questa seconda guerra, la situazione è ben diversa. Lo stato
borghese nazionale giace sotto il peso della sconfitta militare e la classe di
cui è lo strumento attende il suo destino dalla sorte che i vincitori le
riserveranno. Per realizzare conseguenze meno disastrose, essa tende, nella ben
diversa situazione, la stessa politica di allora e di sempre.
Nella piattaforma del nostro partito è bene dimostrata la continuità di
questa politica a cavallo delle famose date 28 Ottobre 1922 - 25 Luglio ed 8
Settembre 1943.
Dopo avere offerto in appalto alla borghesia di Germania gli interessi, le
braccia e il sangue delle masse italiane, la classe dominante (pur rivestendosi
di nuovi partiti per affermare che quella politica criminale aveva disperso,
stremato e stritolato ogni risorsa ed energia del popolo italiano) ha riofferto
lo stesso appalto al nemico di ieri, tentando una nuova edizione patriottica e
guerraiola, che, in relazione appunto alle precedenti rovine, se non fosse
stata una nuova volgare truffa, sarebbe risultata più criminale della prima.
Per ottenere dagli strapotenti Stati vincitori un nuovo mandato di dominio
e di sfruttamento parassitario, questa classe borghese idenificantesi, come nella
tendenza generale del mondo contemporaneo, nello strato oligarchico degli
affaristi e dai politicanti, offre nelle trattative internazionali al più vile
mercato ancora una volta il lavoro e la vita dei proletari italiani.
Il partito di classe del proletariato non può avere altra politica che di
respingere, non solo ogni collaborazione di governo, ma ogni solidarietà con le
richieste internazionali di questa borghesia anche quando sono ipocritamente
presentate come vantaggi per le classi più misere. Esso deve proclamare che la
classe dominante italiana va trattata da vinto, e che ogni diversa situazione
non maschererebbe ché un compromesso conducente al peggioramento delle
condizioni dei lavoratori italiani.
Quali particolari riflessi di questa criminale politica si hanno nella
prospettiva di una frattura nel fronte internazionale dei vincitori?
Gli elementi direttivi della società e dello Stato italiano sono ora
tormentati da un solo problema, che non è quello di assicurare il trattamento
migliore alle masse economicamente provate dai disastri di guerra ma è
piuttosto quest'altro: la direzione suprema mondiale resterà ad un unico centro
di compromesso tra Inglesi, Russi e Americani, o si spezzerà in due blocchi,
per ora dissenzienti e non guerreggianti? In tal caso lo Stato di Roma da quale
dei due prenderà gli ordini?
Nel primo caso l'attuale compromesso di governo continuerà vivere in forme
più o meno ibride attraverso le vuote vicende della questione costituzionale ed
istituzionale.
Per il partito rivoluzionario tale questione in linea di fatto e di reale
valutazione storica non si riconduce alla utopia di un'autodecisione del popolo
italiano. In ogni caso la deciderebbe un giro di schermaglie e di mercati
interni nella gerarchia oligarchica dominante, che manipolerebbe facilmente
nell'orgia elettorale (anelata esattamente come nell'altro dopo guerra)
assemblee, corpi ed istituti. Ma nemmeno questo agirà, perché statuti,
inquadrature, elezioni e decisioni le verranno - con ordini tutti fatti e
servilmente accolti - dalle gerarchie straniere.
Rompere questo ciclo con azione di massa non è compito nazionale, ma
europeo e mondiale, e non si realizzerebbe in campi e con mezzi legalitari,
unica parola, quindi del nostro Partito è, conforme alla recisa diagnosi marxista,
lo smascherare come ennesima atroce delusione del proletariato, dopo la vittoria,
l'antifascismo, l'armistizio, la fine della guerra in
Italia, la pace mondiale, anche la ricetta ciarlatanesca della Costituente
e della Repubblica.
Ed in vista dei diversi sviluppi, che l'altra ipotesi della frattura nella
suprema gerarchia internazionale proietterebbe sulla situazione di governo in
Italia, il partito deve fin da ora battere in breccia la prevedibile sconcia
manovra del passaggio di alcuni schieramenti politici dalla più servile
collaborazione a possibili atteggiamenti di opposizione.
Taluni gruppi resteranno comunque legati ad uno dei tre colossi stranieri:
i comunisti e parte dai socialisti alla Russia; le destre, i liberali, e forse
alcune sinistre alle potenze anglosassoni. Un centro di partiti e di gruppetti
opportunisti (ma non più degli altri) consulterà affannosamente l'oroscopo
sull'influenza che dominerà in Italia e forse domani sul vincitore presumibile
della terza guerra. Per oggi è compito urgente di chiarificazione
rivoluzionaria non già l'inseguire le passate dichiarazioni fasciste degli
anti-fascisti, ma ricordare spietatamente a quelli che polemizzano contro la
prepotenza americana le loro idiote e servili piaggerie di quel tipo di civiltà
e delle direttive di propaganda dei Roosevelt e dei Churchill; ed ai critici
della barbarie totalitaria staliniana le loro istrioniche esaltazioni degli
immani sacrifici sui campi di guerra di milioni di proletari Russi per la causa
di cui erano allora fautori. La doppia responsabilità deve condannare gli uni e
gli altri e squalificare la loro influenza sul proletariato italiano.
Nel conflitto mondiale di interessi, e soprattutto nel delimitarsi delle
sfere europee, le masse lavoratrici debbono riuscire a non commuoversi per
tutti gli interessamenti alla «causa italiana». L'Italia geograficamente e per
nostra disgrazia è una posizione chiave. Ogni gruppo ne proclama necessaria la
libertà per tenerla lontana dalle grinfie dell'altro, ma considera che la più
sicura garanzia, per questo fine, è il conservarne lo stabile controllo. Con
questo criterio va considerato il problema dei confini territoriali e va
denunziata la falsità di classe degli scontri politici interni sui problemi
delle frontiere, delle rivendicazioni irredentistiche. Ogni gruppo della
oligarchia politica dominante risolve tale problema secondo gli interessi dei
poteri stranieri ai quali è già aggiogato, o secondo le previsioni sul
probabile prevalere dell'uno o dell'altro potere straniero che convenga
servire.
In una possibile situazione di scontro bellico sul territorio italiano la
valutazione critica e la politica del partito dovranno essere quelle che
discendono dalle impostazioni di natura internazionale. Esso condannerà
apertamente ogni organizzazione nelle retrovie di formazioni armate che
dipendano direttamente da poteri stranieri i quali le alimentino con la
loro propaganda, il loro danaro e le loro armi, e perciò stesso siano arbitri
di mobilitarle e smobilitarle. La possibilità di agire con inquadramenti
combattenti va riservata alla condizione che la loro efficienza ed azione
dipendano soltanto da collegamenti internazionali rivoluzionari, non
subordinati alla situazione di guerra, di pace, di vittoria e di sconfitta
dell'uno o dell'altro gruppo di stati militari, autonomi dagli stati maggiori e
dalle polizie di Stato di entrambi.
Parola di azione semplice e chiara: né un
uomo né una cartuccia per nessuno dei due.
Partito comunista internazionale
www.pcint.org