L’invarianza storica
del marxismo
Falsa risorsa dell’attivismo
(
Riunione di milano, 7 settembre 1952 )
( Dall’opuscolo Sul Filo del Tempo, pubblicato nel maggio del 1953 )
Sommario :
I.
La «invarianza» storica del marxismo
II. Falsa risorsa dell’attivismo
I. La «invarianza» storica del
marxismo
1. Si adopera l’espressione
«marxismo» non nel senso di una dottrina scoperta o introdotta da Carlo Marx
persona, ma per riferirsi alla dottrina che sorge col moderno proletariato
industriale e lo «accompagna» in tutto il corso di una rivoluzione sociale - e
conserviamo il termine «marxismo» malgrado il vasto campo di speculazione e di
sfruttamento di esso da parte di una serie di movimenti antirivoluzionari.
2. Tre gruppi principali
di avversari ha oggi il marxismo nella sua sola e valida accezione. Primo
gruppo: i borghesi che sostengono definitivo il tipo capitalista mercantile di
economia ed illusorio il suo superamento storico col modo socialista di
produzione, e con coerenza rigettano in pieno la dottrina del determinismo
economico e della lotta di classe. Secondo gruppo: i sedicenti comunisti
stalinisti che dichiarano di accettare la dottrina storica ed economica
marxista ma pongono e difendono, anche nei paesi capitalisti sviluppati,
rivendicazioni non rivoluzionarie ma identiche se non peggiori di quelle
politiche (democrazia) ed economiche(progressismo popolare) dei riformisti
tradizionali. Terzo gruppo: i dichiarati seguaci della dottrina e del metodo
rivoluzionario che però attribuiscono l’attuale abbandono di essa da parte
della maggioranza del proletariato a difetti e mancanze iniziali della teoria
che andrebbe quindi rettificata e aggiornata.
Negatori - falsificatori
- aggiornatori. Noi combattiamo tutti e tre, e riteniamo che oggi gli ultimi
sono i peggiori.
3. La storia della
sinistra marxista, del marxismo radicale, e più esattamente del marxismo,
consiste nelle successive resistenze a tutte le «ondate» del revisionismo che
hanno attaccato vari lati della dottrina e del metodo, a partire dalla organica
monolitica formazione che si può far collimare col Manifesto del
4. Questa dura e lunga
lotta perderebbe collegamento con la futura ripresa se, invece di trarne l’insegnamento
della «invarianza», si accettasse la banale idea che il marxismo è una teoria
in «continua elaborazione storica» e che si modifica col corso e la lezione
degli eventi. Invariabilmente è questa la giustificazione di tutti i tradimenti
le cui esperienze si sono accumulate, e di tutte le disfatte rivoluzionarie.
5. La negazione
materialista che un «sistema» teorico sorto a dato momento (e peggio ancora
sorto nella mente e ordinato nell’opera di un dato uomo, pensatore o capo
storico o tutte e due le cose insieme) possa contenere tutto il corso del
futuro storico e le sue regole e principii in modo irrevocabile, non va capita
nel senso che non vi siano sistemi di principii stabili per un lunghissimo
corso storico. Anzi la loro stabilità e la loro resistenza ad essere intaccati
e perfino ad essere «migliorati» è un elemento principale di forza della «classe
sociale» a cui appartengono e di cui rispecchiano il compito storico e gli
interessi. La successione di tali sistemi e corpi di dottrina e di prassi si
lega non più all’avvento degli uomini-tappa, ma al succedersi dei «modi di
produzione» ossia dei tipi di organizzazione materiale della vita delle
collettività umane.
6. Pure avendo ovviamente
riconosciuto errato il contenuto formale dei corpi di dottrina di tutti i
grandi corsi storici, non si nega con questo dal materialismo dialettico la
loro necessità al loro tempo, e tanto meno si immagina che l’errore avrebbe
potuto essere evitato da migliori pensamenti di sapienti o legislatori, e che
si poteva accorgersi prima dei loro errori, e far le rettifiche. Ogni
sistema possiede una sua spiegazione e ragione nel suo ciclo; e quelli più
significativi sono quelli che più organicamente si sono mantenuti immutati in
lunghe lotte.
7. Secondo il marxismo
non vi è progresso continuo e graduale nella storia quanto (anzitutto) alla
organizzazione delle risorse produttive, ma una serie di distanti, successivi
balzi in avanti che sconvolgono tutto l’apparato economico sociale
profondamente e fin dalla base. Sono veri cataclismi, catastrofi, rapide crisi,
in cui tutto muta in breve tempo mentre per tempi lunghissimi è rimasto
immutato, come quelle del mondo fisico, delle stelle del cosmo, della geologia
e della stessa filogenesi degli organismi viventi.
8. Essendo l’ideologia di
classe una soprastruttura dei modi di produzione, anche essa non si forma dal
quotidiano affluire di grani di sapere, ma appare nello squarcio di un violento
scontro, e guida la classe che esprime, in una forma sostanzialmente monolitica
e stabile, per una lunga serie di lotte e conati fino alla successiva fase
critica, alla successiva rivoluzione storica.
9. Proprio le dottrine
del capitalismo, giustificando le rivoluzioni sociali del passato fino a quella
borghese, asserivano che da quel punto la storia avrebbe proceduto per una via
di graduale elevamento e senza altre catastrofi sociali, in quanto i sistemi
ideologici avrebbero con una graduata evoluzione assorbito il flusso di nuove
conquiste del sapere puro ed applicato; ed il marxismo dimostrò la fallacia di
tale visione del futuro.
10. Lo stesso marxismo
non può essere una dottrina che si va ogni giorno plasmando e riplasmando di
nuovi apporti e con sostituzione di «pezzi» - meglio di rattoppi e «pezze»! -
perché è ancora, pure essendo l’ultima, una delle dottrine che sono arma di una
classe dominata e sfruttata che deve capovolgere i rapporti sociali, e nel
farlo è oggetto in mille guise delle influenze conservatrici delle forme ed
ideologie tradizionali proprie delle classi nemiche.
11. Anche potendo da
oggi, anzi da quando il proletariato è apparso sulla grande scena storica,
intravedere la storia della società futura senza più classi e quindi senza più
rivoluzioni, deve affermarsi che per il lunghissimo periodo che a tanto
condurrà, la classe rivoluzionaria in tanto assolverà il suo compito in quanto
si muoverà usando una dottrina e un metodo che restino stabili e siano
stabilizzati in un programma monolitico, in tutto il volgere della tremenda
lotta - variabilissimo restando il numero dei seguaci, il successo delle fasi e
degli scontri sociali.
12. Per quanto dunque la
dotazione ideologica della classe operaia rivoluzionaria non sia più
rivelazione, mito, idealismo, come per le classi precedenti, ma positiva «scienza»,
essa tuttavia ha bisogno di una formulazione stabile dei suoi principii e anche
delle sue regole di azione, che assolva il compito e abbia la decisiva
efficacia che nel passato hanno avuto dogmi, catechismi, tavole, costituzioni,
libri-guida come i Veda, il Talmud, la Bibbia, il Corano, o le Dichiarazioni
dei diritti. I profondi errori sostanziali e formali contenuti in quelle
raccolte non hanno tolto, anzi in molti casi hanno contribuito proprio per tali
«scarti», alla enorme loro forza organizzativa e sociale, prima rivoluzionaria,
poi controrivoluzionaria, in dialettica successione.
13. Proprio in quanto il
marxismo esclude ogni senso della ricerca di «verità assoluta», e vede nella
dottrina non un dato dello spirito sempiterno o della astratta ragione, ma uno «strumento»
di lavoro ed un’ «arma» di combattimento, esso postula che nel pieno dello
sforzo e nel colmo della battaglia non si abbandona per «ripararlo» né lo
strumento né l’arma, ma si vince in pace e in guerra essendo partiti brandendo
utensili ed armi buone.
14. Una nuova dottrina
non può apparire in qualunque momento storico, ma vi sono date e ben
caratteristiche - e anche rarissime - epoche della storia in cui essa può
apparire come un fascio di abbagliante luce, e se non si è ravvisato il momento
cruciale ed affisata la terribile luce, vano è ricorrere ai moccoletti, con cui
si apre la via il pedante accademico o il lottatore di scarsa fede.
15. Per la classe
proletaria moderna formatasi nei primi paesi dal grande sviluppo industriale
capitalistico le tenebre sono state squarciate poco prima della mezzeria di
secolo che precede
16. Il carattere del
periodo seguente a quello «esplosivo» in cui la stessa novità della nuova
rivendicazione la rende chiara e a limiti taglienti, può essere ed è, in
ragione della cronicizzazione delle situazioni, di equilibrio tale, che non si
ha miglioramento e potenziamento, ma involuzione e degenerazione della
cosiddetta «coscienza» della classe. I momenti - tutta la storia del marxismo
lo prova - in cui la lotta di classe si riacutizza, sono quelli in cui la
teoria ritorna con affermazioni memorabili alle sue origini e alla sua prima
integrale espressione; basti ricordare la Comune di Parigi, la Rivoluzione
bolscevica, il primo dopoguerra mondiale in Occidente.
17. Il principio della
invarianza storica delle dottrine che riflettono il compito delle classi
protagoniste, ed anche dei potenti ritorni alle tavole di partenza, opposto al
pettegolo supporre ogni generazione ed ogni stagione della moda intellettuale
più potente della precedente, allo sciocco film del procedere incessante del
civile progresso, ed altre simili borghesi ubbie da cui pochi di quelli che si
affibbiano l’aggettivo di marxista sono davvero scevri, si applica a tutti i
grandi corsi storici.
18. Tutti i miti
esprimono questo, e soprattutto quelli dei mezzi-dèi mezzi-uomini, o dei
sapienti che ebbero una intervista con l’Ente supremo. Di tali figurazioni è insensato
ridere, e solo il marxismo ne ha fatto trovare le reali e materiali
sottostrutture. Rama, Mosè, Cristo, Maometto, tutti i Profeti ed Eroi che
aprono secoli di storia dei vari popoli, sono espressioni diverse di questo
fatto reale, che corrisponde a un balzo enorme nel «modo di produzione». Nel
mito pagano la sapienza, ossia Minerva, esce dal cervello di Giove non per la
dettatura a flaccidi scribi di interi volumi, ma per la martellata del
dio-operaio Vulcano, chiamato a sedare una irrefrenabile emicrania. All’altro
estremo della storia e dinanzi alla illuminista dottrina della nuova Dea
Ragione, si leverà gigante Gracco Babeuf, rozzo nella presentazione teoretica,
per dire che la fisica forza materiale conduce avanti più della ragione e del
sapere.
19. Né mancano gli esempi
dei restauratori rispetto a revisioniste degenerazioni, come è Francesco
rispetto a Cristo quando il cristianesimo sorto per la redenzione sociale degli
umili si adagia tra le corti dei signori medioevali, come erano stati i Gracchi
rispetto a Bruto; e come tante volte gli antesignani di una classe da venire
dovettero essere rispetto ai rivoluzionari rinnegatori della fase eroica di
precedenti classi: lotte in Francia del 1831, 1848, 1849 ed innumerevoli altre
fasi in tutta l’Europa.
20. Noi stiamo sulla
posizione che tutti i grandi ultimi eventi sono altrettante recise e integrali
conferme della teoria e della previsione marxista. Riferiamo questo soprattutto
ai punti che hanno provocato (ancora una volta) le grandi defezioni sul terreno
di classe e messo in imbarazzo anche quelli che giudicano opportunismo pieno le
posizioni staliniste: questi punti sono l’avvento di forme centralizzate e
totalitarie capitaliste tanto nel campo economico che in quello politico, l’economia
diretta, il capitalismo di stato, le dittature borghesi aperte; e dal suo canto
il procedimento dello sviluppo russo ed asiatico socialmente e politicamente.
Vediamo quindi sia la conferma della nostra dottrina, sia quella del suo
nascere in forma monolitica ad un’epoca cruciale.
21. Chi riuscisse a porre
gli eventi storici di questo vulcanico periodo contro la teoria marxista
riuscirebbe a provare che questa è errata, completamente caduta e con essa ogni
tentativo di dedurre dai rapporti economici le linee del corso storico. Nello
stesso tempo riuscirebbe a provare che in qualsiasi fase gli accadimenti
costringono a nuove deduzioni spiegazioni e teorie, e conseguentemente alla
proponibilità di nuovi e diversi mezzi di azione.
22. Uscita illusoria
dalle difficoltà dell’ora è quella di ammettere che la teoria base deve restare
mutevole, e che oggi proprio sia il momento di lanciarne nuovi capitoli, sicché
per effetto di un tale atto di pensiero la situazione sfavorevole si capovolga.
Aberrazione è poi che tale compito sia assunto da gruppetti di effettivi
derisori e, peggio, risolto con una libera discussione scimmiottante
lillipuzianamente il borghese parlamentarismo e il famoso urto delle opinioni
singole, il che non è nuovissima risorsa ma antica scempiaggine.
23. Questo è un momento
di depressione massima della curva del potenziale rivoluzionario e quindi è
lontano mezzi secoli da quelli adatti al parto di originali teorie storiche. In
tale momento privo di vicine prospettive di un grande sommovimento sociale non
solo è un dato logico della situazione la politica disgregazione della classe
proletaria mondiale; ma è logico che siano gruppi piccoli a saper mantenere il
filo conduttore storico del grande corso rivoluzionario, teso come grande arco
tra due rivoluzioni sociali, alla condizione che tali gruppi mostrino di nulla
voler diffondere di originale e di restare strettamente attaccati alle
formulazioni tradizionali del marxismo.
24. La critica, il dubbio
e la messa in forse di tutte le vecchie posizioni bene assodate furono elementi
decisivi della grande rivoluzione borghese moderna che con gigantesche ondate
investì le scienze naturali, l’ordinamento sociale e i poteri politici e
militari, avanzandosi poi e affacciandosi con molto minore slancio iconoclastico
alle scienze della società umana e del corso storico. Appunto questo fu il
portato di un’epoca di sommovimento dal profondo che si pose a cavallo tra il
Medioevo feudale e terriero e la modernità industriale e capitalista. La
critica fu l’effetto e non il motore della immensa e complessa lotta.
25. Il dubbio e il
controllo della coscienza individuale sono espressione della riforma borghese
contro la compatta tradizione ed autorità della Chiesa cristiana, e si
tradussero nel più ipocrita puritanismo che con la bandiera della conformità
borghese alla morale religiosa o al diritto individuale vararono e protessero
il nuovo dominio di classe e la nuova forma di soggezione delle masse. Opposta
è la via della rivoluzione proletaria in cui la coscienza individuale è nulla e
la direzione concorde dell’azione collettiva è tutto.
26. Quando Marx disse
nelle famose tesi su Feuerbach che abbastanza i filosofi avevano interpretato
il mondo e si trattava ora di trasformarlo, non volle dire che la volontà di
trasformare condiziona il fatto della trasformazione, ma che viene prima la
trasformazione determinata dall’urto di forze collettive, e solo dopo la
critica coscienza di essa nei singoli soggetti. Sì che questi non agiscono per
decisione da ciascuno maturata ma per influenze che precedono scienza e
coscienza.
E il passare dall’arma
della critica alla critica con le armi sposta appunto il tutto dal soggetto
pensante alla massa militante, in modo che arma siano non solo i fucili e
cannoni, ma soprattutto quel reale strumento che è la comune uniforme
monolitica costante dottrina di partito, cui tutti ci siamo subordinati e
legati, chiudendo il discutere pettegolo e saputello.
II. Falsa risorsa dell’attivismo
1. Una corrente obiezione
che a sua volta non è originale ma ha già fiancheggiato i peggiori episodi di
degenerazione del movimento, è quella che svaluta la chiarezza e continuità dei
principii ed incita ad «essere politici» a immergersi nell’attività del
movimento, che insegnerà lui le vie da prendere. Non fermarsi a decidere
compulsando testi e vagliando precedenti esperienze, ma procedere oltre senza
soste nel vivo dell’azione.
2. Questo praticismo è a
sua volta una deformazione del marxismo, sia che voglia porre avanti la
risolutezza e la vivacità di gruppi di direzione e di avanguardia senza troppi
scrupoli dottrinali, sia che riconduca ad una decisione e consultazione «della
classe» e delle sue maggioranze, coll’aria di scegliere quella via che i più
dei lavoratori, spinti dall’economico interesse, preferiscono. Sono vecchi
trucchi, e nessun traditore e venduto alla classe dominante è mai partito senza
sostenere: primo, che egli era il migliore e più attivo propugnatore «pratico»
degli interessi operai; secondo, che egli faceva così per la manifesta volontà
della massa dei suoi seguaci... o elettori.
3. La deviazione
revisionista, ad esempio quella evoluzionista, riformista, legalitaria di
Bernstein, era in fondo attivista e non ultradeterminista. Non si trattava di
surrogare al troppo vasto scopo rivoluzionario quel poco che la situazione
consentiva ottenere agli operai, ma di chiudere gli occhi alla bruciante
visione dell’arco storico e dire: il risultato dell’ora è tutto, poniamoci non
universalmente ma localmente e transitoriamente scopi immediati ridotti, e sarà
possibile plasmare tali risultati sulla volontà. Sindacalisti violentisti alla
Sorel dissero lo stesso e fecero la stessa fine: i primi guardavano più a
strappare parlamentarmente misure legislative, i secondi vittorie aziendali e
di categorie: ambo volgevano le terga ai compiti storici.
4. Tutte queste e le
altre mille forme di «eclettismo», ossia di rivendicata libertà di mutare
fronti e mutare corpi di dottrina, cominciarono da una falsificazione: che una
simile continua rettifica del tiro, o accostata nella rotta, si trovasse nell’indirizzo
e negli scritti di Marx e di Engels. In tutto il nostro lavoro con copia di
studi e di citazioni approfondite abbiamo mostrato la continuità della linea,
tra l’altro nel rilievo che le più recenti opere e testi richiamano i passi e
le teorie fondamentali dei primi con le medesime parole e con la medesima
portata.
5. Leggenda vuota è
dunque quella delle due successive «anime» del Marx giovanile e maturo: il
primo sarebbe stato ancora idealista, volontarista, hegeliano e, sotto l’influsso
degli ultimi fremiti delle rivoluzioni borghesi, barricadiero e
insurrezionista; il secondo sarebbe divenuto un freddo studioso dei fenomeni
economici contemporanei, positivo, evoluzionista e legalitario. Invece sono le
reiterantisi deviazioni nella lunga serie da noi tanto illustrata, si
presentino esse come estremiste o moderate nella banale accezione, che non
reggendo alla tensione rivoluzionaria del materialismo dialettico sono ricadute
in una analogamente borghese deviazione idealista, individualista, «coscientista».
Attività pettegola concreta ed incidentale, passività, anzi irrevocabile
impotenza rivoluzionaria, alla scala storica.
6. Basterebbe ricordare
che la fine conclusiva del Primo Tomo del Capitale con la descrizione
della espropriazione degli espropriatori mostra, in nota, di altro non essere
che la ripetizione del corrispondente passo del Manifesto. Le teorie
economiche del Secondo e Terzo Tomo non sono che sviluppi sul tronco della
teoria del valore e plusvalore data nel Primo, con gli stessi termini, formule
e persino simboli, e vanamente tentò di intaccare tale unità Antonio Graziadei.
Anche la separazione tra la parte analitica descrittiva del capitalismo e
quella programmatica della conquista del socialismo è fittizia. Tutti i
tralignatori hanno mostrato di non avere mai afferrata la potenza della critica
marxista dell’utopismo, come non afferrarono quella della critica del
democratismo. Non si tratta di dipingersi uno scopo e restar paghi di averlo
sognato o sperare che il color rosa del sogno muova tutti a farne realtà, ma di
trovare il termine solidamente e fisicamente da raggiungere e puntare
dirittamente su di esso, sicuri che cecità e incoscienza umana non toglieranno
che sia raggiunto.
7. Fondamentale è certo
che Marx abbia stabilito il legame (dai migliori utopisti già presentito) tra
questa realizzazione lontana e il fisico attuale moto di una classe sociale già
in lotta: il moderno proletariato. Ma questo è poco per intendere tutta la
dinamica della rivoluzione di classe. Se si conosce tutta la costruzione dell’opera
di Marx, che non gli fu consentito compiere, si vede che egli riservava a
coronamento questo problema, tuttavia chiaro nel suo pensiero e nei suoi testi,
del carattere e della attività non personale della classe.
Con tale trattazione si
corona tutta la costruzione economica e sociale, nel solo modo conforme al
metodo che ha permesso di impiantarla.
8. Sarebbe insufficiente
dire che il determinismo marxista elimina come cause motrici dei fatti storici
(al solito: non si confonda la causa motrice con l’agente operatore) la qualità
e l’attività di pensiero o di lotta di uomini di eccezionale valore, e ad essi
sostituisca le classi, intese come collettività statistiche di individui,
spostando semplicemente i fattori ideali di coscienza e di collettività dall’uno
ai tanti. Questo sarebbe puramente il passare da una filosofia aristocratica ad
una demopopolare: da noi più della prima lontana. Trattasi di capovolgere il
posto della causa e portarla fuori della coscienza ideale, nel fatto fisico e
materiale.
9. La tesi marxista dice:
non è possibile, anzitutto, che la coscienza del cammino storico appaia
anticipata in una singola testa umana, per due motivi: il primo è che la
coscienza non precede ma segue l’essere, ossia le condizioni materiali
che circondano il soggetto della coscienza stessa - il secondo è che tutte le
forme della coscienza sociale vengono - con una data fase ritardata perché vi
sia il tempo della generale determinazione - da circostanze analoghe e
parallele di rapporti economici in cui si trovano masse di singoli che formano
quindi una classe sociale. Questi sono condotti ad «agire insieme» storicamente
molto prima che possano «pensare insieme». La teoria di questo rapporto tra le
condizioni di classe, e l’azione di classe col suo futuro punto di arrivo, non
è chiesta a persone, nel senso che non è chiesta a un singolo autore o capo, e
nemmeno è chiesta a «tutta la classe» come bruta momentanea somma di individui
in un dato paese o momento, e tanto meno poi la si dedurrebbe da una
borghesissima «consultazione» all’interno della classe.
10. La dittatura del
proletariato non è per noi una democrazia consultiva portata all’interno del
proletariato, ma la forza storica organizzata che ad un dato momento, seguita
da una parte del proletariato e anche non dalla maggiore, esprime la pressione
materiale che fa saltare il vecchio modo di produzione borghese per aprire la
via al nuovo comunista.
In tutto questo non è di
secondaria importanza il fattore sempre indicato da Marx dei disertori della
classe dominante che passano al campo rivoluzionario, e contrappesano l’azione
di intere masse di proletari che sono al servizio della borghesia per materiale
ed ideale servitù; e che quasi sempre sono la maggior parte statistica.
11. Tutto il bilancio
della Rivoluzione in Russia non conduce la nostra corrente a menomamente
attribuirne il passivo alla violazione della democrazia interna di classe o ad
avere dubbi sulla teoria marxista e leninista della dittatura, la quale ha per
giudice e limite non formule costituzionali o organizzative ma solo lo storico
rapporto di forze.
L’abbandono completo del
terreno della dittatura di classe è invece appunto palesato dal completo
capovolgimento stalinista del metodo rivoluzionario. Non meno di tutti gli
altri, gli ex-comunisti ovunque passano sul terreno della democrazia, si
pongono su quello della democrazia popolare e nazionale, e in Russia non meno
che fuori abbandonano gli scopi di classe per scopi nazionali in tutta la loro
politica, anche nella solita banale descrizione di essa come una pura rete di
statale spionaggio oltre frontiera. Ognuno che tenta la via democratica,
imbocca la via capitalistica. E così i vaghi antistalinisti che gridano in nome
del parere proletario conculcato in Russia.
12. Innumerevoli
sarebbero le citazioni di Marx che dimostrano questa impersonalità del fattore
dell’evento storico, senza la quale sarebbe improponibile la teoria della sua
materialità.
Noi sappiamo che la
grande opera del Capitale non fu completata da Marx se non nel Primo
Volume. Nelle lettere e nelle prefazioni Engels ricorda l’asprezza del lavoro
che fu necessario per ordinare il Secondo e il Terzo Volume (a parte il Quarto
che è una storia delle dottrine avversarie in economia).
Allo stesso Engels
rimasero dei dubbi sullo stesso ordine dei Capitoli e delle Sezioni dei due
Libri, che studiano il processo di insieme delle forme del capitalismo, non per
«descrivere» il capitalismo del tempo di Marx, ma per dimostrare che, checché
avvenga, la forma del processo generale non va verso equilibri e verso uno «stato
di regime» (come sarebbe quello di un fiume perenne e costante senza magre e
senza inondazioni), ma verso serie di crisi esasperantisi, e verso il crollo
rivoluzionario della «forma generale» esaminata.
13. Marx, come aveva
indicato nella prefazione del 1859 alla Critica dell’economia politica
prima stesura del Capitale, dopo aver trattato delle tre classi
fondamentali della società moderna: proprietari del suolo, capitalisti,
proletari, si riservava altri tre argomenti: «Stato, commercio internazionale,
mercato mondiale». L’argomento «Stato» si trova nel testo sulla Comune di
Parigi del 1871 e nei classici capitoli di Engels, nonché in Stato e
Rivoluzione, quello «commercio internazionale» nell’ Imperialismo di
Lenin. Si tratta del lavoro di una scuola storica e non di «Opera Omnia» di una
persona. Il tema «mercato mondiale» fiammeggia oggi nel libro del fatto, che non
si sa leggere, e a cui un morente Stalin accennò con la debole teoria del
doppio mercato, e vi si troverebbero le micce dell’incendio che nel secondo
mezzo secolo presenterà il capitalismo mondiale, se i ricercatori non si
fossero dati ad inseguire le sorti delle Patrie e dei Popoli, e degli
ideologismi in bancarotta del tempo borghese: Pace, Libertà, Indipendenza,
Santità della Persona, costituzionalità delle decisioni elettorali!...
14. Marx dopo aver
trattato il modo con cui il prodotto sociale di divide fra le tre classi base
formandone il provento economico (meno esattamente il reddito): rendita,
profitto, salario; dopo aver dimostrato che il passaggio della prima allo Stato
non muterebbe l’ordinamento capitalistico, e che nemmeno tutto il passaggio del
plusvalore allo Stato uscirebbe dai limiti della forma di produzione (in quanto
lo sperpero di lavoro vivo ossia l’alto sforzo e tempo di lavoro resterebbero
gli stessi per la forma aziendale e mercantile del sistema), conchiude la parte
strettamente economica così: «Ciò che caratterizza il modo di produzione
capitalista è che la produzione di plusvalore è lo scopo diretto e il motivo
determinante della produzione. Il capitale produce essenzialmente capitale, ma
non lo fa che producendo plusvalore».
(Il comunismo saprà solo
produrre plusvalore che non sia capitale).
Ma la causa non sta per
nulla nella esistenza del capitalista, o della classe capitalista, che non solo
sono puri effetti, ma effetti non necessari.
«Nella produzione
capitalista, la massa dei produttori diretti trova davanti a sé il carattere
sociale della produzione sotto forma di una autorità meticolosa e di un
meccanismo sociale completamente ordinato e gerarchizzato (id est:
burocratizzato!) ma questa autorità non appartiene ai suoi detentori che
in quanto personificazione delle condizioni del lavoro di fronte al lavoro, e
non, come nei modi di produzione antichi, in quanto padroni politici o
teocratici. Tra i rappresentanti di tale autorità i capitalisti, i
proprietari di mercanzia, regna la più completa anarchia, nella quale il
processo sociale di produzione prevale unicamente come legge naturale,
onnipotente in confronto dell’arbitrio individuale».
Occorre dunque e basta
tenersi alla invarianza formidabile del testo per legare i pretesi aggiornatori
nelle tenebre del più sciatto pregiudizio borghese, che di ogni inferiorità
sociale cerca o il responsabile «arbitrio individuale», o tutt’al più la
collettiva «responsabilità di una classe sociale». Laddove tutto era ben chiaro
da allora, e poteva il capitalista o la classe capitalista cessare qua o là di «personificare»
il capitale, che questo sarebbe rimasto, di fronte a noi, contro di noi, quale «meccanismo
sociale» quale «onnipotente legge naturale» del processo di produzione.
15. Questo il formidabile
e conclusivo Capitolo 51 che chiude la «descrizione» dell’economia presente, ma
che ad ogni pagina «evoca» lo spettro della rivoluzione. È il successivo
Capitolo 52, di poco più di una pagina, quello sotto la riga spezzata del quale
lo stanco Engels scrisse, tra parentesi quadra: «Qui il manoscritto si ferma...».
Titolo: «Le classi».
Siamo sulla soglia del rovesciamento della prassi, e avendo bocciato l’individuale
arbitrio, muoviamo alla ricerca dell’agente della rivoluzione.
Anzitutto il Capitolo
dice: abbiamo date le leggi della società capitalista pura, con le dette tre
classi. Ma neppure in Inghilterra essa esiste (nemmeno nel 1953 ivi od altrove
esiste, né mai esisterà, al pari dei due soli punti materiali dotati di massa
cui la legge di Newton riduce il cosmo).
«Ma dobbiamo ora
rispondere alla domanda: che cosa forma una classe?».
«A prima vista l’identità
dei proventi, delle fonti di provento».
«Ma, se fosse così,
ad esempio, i medici e i ‘funzionari’ formerebbero una classe gli uni e gli
altri, perché appartengono a due diversi gruppi sociali, nei quali i proventi
dei componenti derivano per ciascun gruppo dalla stessa fonte. Lo stesso
ragionamento si applica all’infinito numero di interessi e di situazioni che la
divisione del lavoro provoca tra operai, capitalisti, e proprietari fondiari
(viticultori, coltivatori di campi, proprietari di foreste, di mine, di
piscine, ecc.)...».
Pensiero e periodo sono
spezzati qui. Ma ve n’è abbastanza.
16. Senza chiedere
diritto di autore su una sola frase, si può completare il Capitolo cruciale,
spezzato dalla morte, arbitrario incidente individuale per Carlo Marx, solito
in questo a citare Epicuro, cui giovane dottorino aveva dedicato la tesi di
laurea. Come riferì Engels: «ogni evento che deriva da necessità, porta in sé
la sua consolazione». Inutile rimpiangere.
Non è l’identità delle
fonti dei proventi, come sembra «a prima vista», che definisce la classe.
Di un colpo solo,
sindacalismo, operaismo, laburismo, corporativismo, mazzinianesimo, cristiansocialismo,
sono messi a terra e per sempre, passati o futuri che siano.
La nostra conquista
andava ben oltre che un flaccido riconoscimento, da parte di ideologi dello
spirito e dell’individuo, della società liberale e dello Stato costituzionale,
che esistono e non possono ignorarsi interessi collettivi di categoria. Tutt’al
più una nostra prima vittoria è che era vano, davanti alla «questione sociale»
anche così ridotta in pillolette, torcere il muso e chiudere gli occhi. Essa
avrebbe penetrato il mondo moderno. Ma altro è permearlo capillarmente, altro è
farlo saltare in mille frantumi.
Non serve a nulla sul
quadro statistico selezionare «qualitativamente» le classi secondo la fonte
pecuniaria di entrata. Più stupido ancora è selezionarla quantitativamente con
la «piramide dei redditi». Da secoli è stata rizzata; e censimento di Stato a
Roma significò appunto scala dei redditi. Da secoli, ai filosofi della miseria,
semplici operazioni aritmetiche hanno risposto che riducendo la piramide ad un
livellatore prisma sulla stessa base fonderemo solo la società dei pezzenti.
Come uscire
qualitativamente e quantitativamente da centomila imbarazzi? Un alto
funzionario è pagato a stipendio, e quindi a tempo come il manovale salariato,
poniamo in una salina di stato, ma il primo ha un reddito più alto di molti
capitalisti di fabbrica che vivono di profitto e commercianti, il secondo lo ha
più alto non solo di un piccolo contadino lavoratore, ma anche di un minimo
proprietario di case, che vive di rendita...
La classe non si
definisce da conto economico, ma da posizione storica rispetto alla lotta
gigantesca con cui la nuova generale forma della produzione supera, abbatte,
sostituisce la vecchia.
Se è idiota la tesi che
la società è la pura somma di individui ideali, non lo è meno quella che la
classe è la pura somma di individui economici. Individuo classe e società non
sono pure categorie economiche né ideali, sono, in cangiamento incessante di
luogo e di data, prodotti di un generale processo, di cui la potente costruzione
marxista riproduce le leggi reali.
Il meccanismo effettivo
sociale conduce e plasma individui, classi e società senza «consultarli» a
nessuna scala.
La classe è definita
dalla sua strada e compito storico, e la nostra classe, per arduo punto dialettico
di arrivo dello sforzo immane, è definita dalla rivendicazione che essa stessa
nella statistica delle quantità e delle qualità, ed essa stessa soprattutto
(perché poco o nulla rappresenta la sparizione già in corso di quelle nemiche),
sia sparita nel nulla.
Il suo complesso oggi
davanti a noi assume senza posa significati mutevoli: oggi come oggi è per
Stalin, per uno Stato capitalista come quello Russo, per una banda di candidati
e parlamentari di gran lunga più antimarxisti dei Turati e Bissolati, Longuet o
Millerand, di una volta.
17. Non resta dunque che il
partito, come organo attuale che definisce la classe, lotta per la classe,
governa per la classe a suo tempo e prepara la fine dei governi e delle classi.
A condizione che partito non sia di Tizio o di Mevio, che non si alimenti di
ammirazione per il capo, che ritorni a difendere, se occorre con cieca fede,
l’invariabile teoria, la rigida organizzazione, il metodo che non parte da
settario preconcetto, ma che sa come in una società sviluppata alla sua forma
tipo (come Israele dell’anno zero, Europa dell’anno 1900) si applica duramente
la formula di guerra: chi non è con noi, e contro di noi
.
Partito comunista internazionale
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