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La misera fine dei miti sessantotteschi del supercapitalismo pianificato e della rivoluzione culturale, interclassista e apartitica, riconferma l'integrale programma della rivoluzione di Marx e di Lenin

(Rapporto alla Riunione Generale di partito del 20-21 maggio 1978)

 

(Edizioni «il comunista» - Reprint - Dicembre 2012 / Opuscolo A4, 16 pagine) - pdf

 

 

 


Indice

 

•  Premessa

 

La misera fine dei miti sessantotteschi del supercapitalismo pianificato e della rivoluzione culturale, interclassista e apartitica, riconferma l'integrale programma della rivoluzione di Marx e di Lenin

(Rapporto alla Riunione Generale di partito del 20-21 maggio 1978)

 

·  Che cos'è il "68"?

 Qualche dato statistico

 Considerazioni sulla condizione studentesca

 L'ideologia del burocrate

 Il movimento studentesco americano

 Una "teoria" che corre dietro i fatti

 L'atteggiamento del proletariato

 Dall'Università alla Società

 Ripercussioni sulla classe operaia

 La teoria dei nuovi protagonisti

 La rivoluzione sovrastrutturale

 Tutti proletari?

 Marx sugli strati intermedi nello sviluppo capitalistico

 Disgressione sulle lezioni del 1968

 Dal piano del capitale al ribaltamento del marxismo

 La classe operaia al rimorchio degli intellettuali

 Il nucleo del "sessantottismo"

 Dutschke, ovvero "l'ideologia tedesca"

 I parlamentini e "l'uomo nuovo"

 


 

PREMESSA

 

Il testo che qui pubblichiamo è il resoconto scritto del rapporto dedicato alla critica dei miti del Sessantotto, relativi in particolare ai concetti di "supercapitalismo pianificato" e della "rivoluzione culturale" intesa come interclassista e apartitica, e sviluppato nella Riunione Generale di partito del maggio 1978.

Nel 1968, e negli anni successivi, il partito aveva fortemente criticato l'ideologia del "sessantotto" e i suoi "miti" ribadendo con forza i punti di carattere generale del marxismo che sempre, per noi, derivano dai principi invarianti della teoria della rivoluzione anticapitalistica. Era prioritario, ovviamente, respingere in blocco le rivendicazioni del movimento interclassista del "sessantotto" richiamando i principi contenuti nel programma del partito di classe.

L'articolo di Amadeo Bordiga intitolato Nota elementare sugli studenti ed il marxismo autentico di sinistra, pubblicato nel nr. 8 (1-15 maggio) 1968 dell'allora giornale di partito "il programma comunista", metteva un punto fermo sulla valutazione dei movimenti studenteschi: "I movimenti degli studenti non possono presentare una storia o una tradizione storica. (..) non sono una vera classe gli studenti universitari ed altri. nè tutti gli strati che si affollano dietro di loro: intellettuali, come scrittori, artisti, istrioni di diversi tipi in cui si cristallizza la degenerazione di questa società borghese: imbrattacarte, imbrattatele, intona-rumori e urlatori arrochiti; mentre è una vera classe quella operaia che oggi una banda di lenoni denuda per prostituirla offrendola in mercato". E riaffermava in che senso il proletariato è vera classe: "Secondo Marx, il proletariato è una classe non solo perché senza la sua opera lavorativa non è possibile la produzione di qualunque delle merci, la cui accolta forma l'enorme ricchezza della società capitalista, si tratti di beni di consumo o di beni strumentali, ma perché il proletariato oltre a produrre tutto, riproduce anche se stesso, ossia realizza la produzione dei produttori. E' in questo senso che Marx voile introdurre nella sua moderna dottrina, dopo quasi venti secoli, il termine classico con cui i romani antichi designavano i membri della plebe lavoratrice dei loro tempi: proletari".

La critica, oltre alle posizioni che pretendevano di definire lo studentame come una classe, si rivolge anche all'altra e più vecchia pretesa di riconoscere nella "burocrazia" una classe contro cui il proletariato doveva e dovrebbe lottare, errore in cui cadde anche il grande Trotsky. Questa critica non poteva che collegarsi alle battaglie di classe portate avanti dalla Sinistra marxista in Italia che, a differenza delle correnti marxiste di altri paesi, ebbe elementi di critica molto più efficaci perché in Italia, più che in altri paesi, il contrasta fra marxisti di sinistra e destra socialista e correnti bloccardiste fu più netto. Non per caso, inoltre, l’Italia fu il primo paese, tra i paesi capitalisti avanzati, dove fiorì per la prima volta la soluzione fascista della borghesia dominante costretta ad affrontare il pericolo imminente di un movimento proletario influenzato in parte dall'unico partito comunista occidentale scevro da influenze bloccardite e riformiste e preparato non solo teoricamente, ma anche praticamente, a condurre il proletariato nella rivoluzione proletaria.

"Rompere i confini tra le classi effettivamente antagoniste, che sono sempre e dovunque la borghesia padronale ed il proletariato lavoratore", è l'inganno e il pericolo costanti che la classe del proletariato ha di fronte a sé, poiché le forze dell'opportunismo politico e sindacale tentano e sempre tenteranno di attenuare e nascondere il reale antagonismo sociale esistente tra gli interessi di classe proletari e interessi di classe borghesi. In questo conflitto sociale - che non è solo ideologico, ma affonda le sue radici nel materiale modo di produzione capitalistico e nella sua conservazione -il partito rivoluzionario di classe ha individuato gli obiettivi delle false classi, delle mezze classi per dirla con Marx e Lenin, e in particolare lo strato degli intellettuali, a fare "da ruffiane e mezzane per eludere la linea inesorabile della storia che sarà risolta con la vittoria mondiale del proletariato, giunto ovunque alla propria dittatura rivoluzionaria".

Contro la pretesa di costituire una egemonia degli studenti e della "cultura" sul proletariato, nei paesi occidentali come nei paesi dell'Est Europa, e contro la martellante propaganda di una "vera" democrazia, di una democrazia "diretta" e di una falsissima "cultura operaia", il nostro partito alzava, unico e solo, le armi della critica marxista scoprendo l'insidia che le cosiddette "avanguardie" di una "nuova cultura", librate al di sopra delle classi, portavano nelle file del proletariato già disorientato e disgregato dall'opera controrivoluzionaria dei partiti stalinisti adoratori di inesistenti "vie nazionali al socialismo" e di fantasticate "rivoluzioni culturali". Mai nella storia le rivoluzioni si sono realizzate grazie ad un pensiero che qualche cervello geniale ha diffuso alle masse. L'unico "cervello" che nella storia ha una funzione è il "cervello di classe", la "coscienza" che si forma nel e dal processo economico in cui le forze sociali di produzione sospinte materialmente a svilupparsi tendono a rompere le forme sociali di classe che le imprigionano. La coscienza di classe, come affermato da sempre da tutti i rivoluzionari comunisti non affittati o venduti all'ideologia e alla cultura borghesi, alberga nel partito di classe, ossia in quell'organo collettivo formatosi nella storia delle lotte fra le classi e fondato sull'invariante teoria della rivoluzione proletaria, anticapitalistica e antidemocratica per eccellenza.

Che lo studentame e gli intellettuali non siano una classe a se stante, e tantomeno una nuova classe, ma costituiscano uno strato sociale che la classe borghese dominante utilizza come vettore dell'ideologia della conservazione sociale, è dimostrato storicamente: basti guardare alle guerre imperialiste, alla propaganda della difesa della patria, e alla sua diretta partecipazione ai privilegi sociali di cui godono per la loro opera costante e capillare di rincoglionimento dei proletari sul fronte della democrazia politica come su quello dell'iniziativa privata, su quello della religione come su quello della difesa della proprietà privata.

Ma era anche importante affrontare gli aspetti più specifici dei miti sessantotteschi, cosa alla quale si dedicò il rapporto alla riunione generale di partitio che ripubblichiamo qui. Il tema, dunque, non poteva che portare in luce come i miti nati col cosiddetto "movimento del '68" non erano altro che una riverniciatura dei miti già conosciuti dell'interclassismo, ossia di quell'ideologia tutta borghese con la quale corrompere il proletariato con l'illusione di poter imboccare la via dell'emancipazione dal capitalismo attraverso una democrazia più partecipata, più diffusa, più diretta. L'invenzione di una fase storica nuova del capitalismo, chiamata "neocapitalismo" - ossia di una fase in cui il modo di produzione capitalistico con le sue leggi di mercato e del profitto non cambia, e non si vuole cambiare, ma con la possibilità di cambiare la destinazione dei profitti capitalistici dalle tasche dei capitalisti alle tasche del "popolo" con il solo uso della maggioranza elettorale - faceva da base ad una ideale "rivoluzione culturale", attraverso la quale i proletari sarebbero stati "istruiti" ed "educati" a dare il proprio voto al ceto intellettuale che aveva "scoperto" la nuova via dell'emancipazione sociale e che si candidava alla guida su questo nuovo cammino...

Che tali illusioni avessero vita corta ci pensè la crisi capitalistica incipiente a dimostrarlo: le conseguenze immediate sul reale peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse proletarie fecero cadere miseramente i miti pacifisti e culturali innescati dal "movimento del '68". Va però detto che i danni provocati da quelle illusioni non furono superati dal movimento operaio, spinto si, oggettivamente, alla lotta in difesa delle proprie condizioni di esistenza contro il fronte unito della borghesia dominante e delle forze opportuniste attivatesi in difesa della conservazione sociale, ma ancora straordinariamente prigioniero delle illusioni democratiche con cui i partiti stalinisti prima, e post-stalinisti poi, continuavano ad influenzarlo.

Gli ammortizzatori sociali con cui le democrazie post-fasciste avevano tacitato i bisogni più immediati degli operai, sulla scorta di quanto il fascismo aveva già realizzato per ottenere un appoggio dalle masse proletarie, facevano da base materiale alle illusioni democratiche poiché costituivano una sorta di "garanzia materiale" da conservare nell'oggi e difendere per il domani. Come la sempre più capillare divisione del proletariato in numerose qualifiche e catégorie lavorative incentivava la concorrenza tra operai, cosi la politica degli ammortizzatori sociali incentivava la partecipazione delle masse operaie alla difesa dell'economia nazionale e della forma democratica del governo borghese attraverso la quale appariva possibile far pesare nelle trattative e nei negoziati "tra le parti sociali" la forza del numero.

In realtà né con il metodo democratico elettorale, né, tantomeno, attraverso una "rivoluzione culturale", il proletariato poteva e può avvicinarsi all'emancipazione dallo sfruttamento del lavoro salariato, e quindi all'emancipazione dalla sua condizione di schiavo salariato. Il marxismo, per l'ennesima volta, trova una conferma alla sua teoria rivoluzionaria e al suo metodo di valutazione delle situazioni: i miti interclassisti non fanno che rafforzare il potere della classe dominante e indebolire le capacità di difesa della classe proletaria, la quale classe proletaria più si aggrappa alle illusioni di una emancipazione graduale in virtù di una democrazia più "proletaria" e meno "borghese", e più riduce la sua capacità di difesa dal continuo peggioramento delle condizioni della sua esistenza, sottomettendosi in questo modo alle esigenze di sopravvivenza del padronato sia in tempo di pace che in tempo di guerra.

Se il proletariato non è in grado di difendersi sul terreno degli interessi di classe immediati è ancor meno in grado di attaccare al classe dominante borghese per strapparle il potere politico dalle mani: questa lezione storica non l'ha tratta soltanto il partito politico di classe del proletariato, ma anche la classe dominante borghese che utilizza ogni strumento a sua disposizione (dalla scuola alla chiesa, dal posto di lavoro alle organizzazioni sindacali e politiche, dall'urna elettorale alla repressione poliziesca) per impedire al proletariato di riconquistare il suo terreno di lotta che è il terreno dell'aperto antagonismo di classe.

Ma, per quanto lunga, tormentata e accidentata sia la strada che il proletariato dovrà percorrere per riconoscersi finalmente una classe antagonista alla classe borghese, una classe che ha proprie finalità che non condivide con nessun'altra classe o mezza classe, una classe che storicamente con la sua lotta antiborghese ha espresso il proprio programma rivoluzionario e il proprio partito politico di classe; per quanto lungo sia il tempo di maturazione dei conflitti sociali perché si trasformino in veri e propri conflitti di classe, lo sviluppo delle contraddizioni capitalistiche non puà che portare a quello sbocco storico: o guerra imperialista o rivoluzione proletaria, o conservazione della società capitalistica e del dominio borghese che perpetua lo sfruttamento sempre più esteso e intenso del lavoro salariato o distruzione del potere borghese e instaurazione della dittatura del proletariato -dittatura della maggioranza della popolazione in ogni paese! - per trasformare la società basata sulla legge del valore e del profitto in società basata sulla soddisfazione dei bisogni degli uomini, in società di specie. La rivoluzione non sarà "culturale", sarà materiale, lotta fisica per la morte di una società votata alla perpetuazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e per la vita di una nuova società votata al superamento della divisione in classi e all'organizzazione sociale armonica della specie umana.

 


 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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