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La Siria nella prospettiva marxista

Dalla colonizzazione francese alla guerra civile

( Opuscolo A4, 84 pagine, Prezzo: 4 ) - pdf


 

Introduzione

 

Dopo lo scoppio, 4 anni fa, delle prime manifestazioni pacifiche contro il regime, manifestazioni che, nonostante o a causa di una repressione bestiale, si sono trasformate poi in rivolta armata e successivamente in vera e propria guerra civile, i conflitti in Siria hanno fatto centinaia di migliaia di vittime: secondo le recenti stime dell’ONU, la guerra in Siria ha causato finora circa 200.000 morti, stime riprese alla fine dell’anno dall’«Osservatorio siriano dei Diritti dell’Uomo»; questa organizzazione (che sarebbe più o meno legata ai Fratelli Musulmani), affermava inoltre che vi fossero 300.000 persone detenute, 20.000 delle quali si devono considerare «scomparse».

Ma i morti, i feriti e i detenuti non sono le sole vittime di questo sanguinoso conflitto; all’inizio di febbraio del 2015, l’organizzazione dell’ONU che si occupa dei rifugiati nel mondo (l’UNHCR, Alto Commissariato ONU per i Rifugiati) calcolava che il numero di siriani fuggiti dal loro paese fosse di 3,8 milioni di persone, a cui va aggiunto il numero di coloro nella stessa Siria, cacciati dai combattimenti o dalla perdita del lavoro, sono stati costretti a lasciare le loro abitazioni, la loro città o la loro regione, cioè da 6 a 7 milioni di persone: oltre 10 milioni di siriani, su una popolazione di 23 milioni di abitanti, sarebbero quindi dei rifugiati!

Il numero di rifugiati siriani ammonta a 1.900.000 in Turchia, 1.200.000 in Libano (vale a dire quasi un terzo della popolazione libanese!), più di 600.000 in Giordania, 235.000 in Irak (paese che già da solo conterebbe quasi 3 milioni di «persone sfollate» a causa degli scontri degli ultimi anni, e soprattutto dopo le recenti vittorie dello «Stato Islamico»), 135.000 in Egitto. Inoltre, delle popolazioni straniere che vivevano in Siria, a loro volta rifugiate a causa dei vari conflitti nella regione, hanno dovuto lasciare il paese: 315.000 palestinesi e 55.000 libanesi sarebbero fuggiti in Libano…

Ad eccezione di un pugno di borghesi (che spesso trovano il modo di arricchirsi anche sulle spalle di questi disgraziati), questi rifugiati sopravvivono il più delle volte in condizioni estremamente precarie, in alloggi di fortuna, in balia delle intemperie, a volte senza acqua ed elettricità, spesso bersaglio dell’ostilità di una parte della popolazione locale; per di più gli Stati interessati cercano di scoraggiarli dall’insediarvisi adottando diverse misure (nessun diritto al lavoro ecc.) e mediante la repressione, come in Libano.

I grandi Stati imperialisti, che hanno una responsabilità schiacciante riguardo alla situazione attuale in Siria, si limitano, quando va bene, a elargire un po’ di elemosina per alleviare le sofferenze di questa enorme massa di rifugiati. L’imperialismo francese, di cui in questo opuscolo ricordiamo il carattere sanguinario della dominazione in Siria e le sue tossiche conseguenze, detiene a questo riguardo il record dell’ipocrisia. Mentre il presidente François Hollande, nell’agosto 2013,  faceva appello perché si fornisse un «aiuto» urgente al «popolo siriano» martirizzato – sotto forma di bombardamenti! –, le organizzazioni umanitarie denunciavano il suo governo per aver accettato di accogliere solo un numero ridicolo di rifugiati: in effetti nel giugno 2013 l’ UNHCR chiedeva agli Stati europei, che avevano aderito a un programma di reinserimento di rifugiati, di accogliere 30.000 persone che versavano in condizioni particolarmente precarie. Dopo qualche tempo, il governo francese aveva risposto accettando… signorilmente… di accoglierne… 500 (accoglienza divenuta comunque realtà solo alla fine del 2014)! L’organizzazione Amnesty International si è detta scandalizzata da questo numero «indecente»; e ha rivelato che per di più le autorità francesi imponevano ai ressortissants (equivalenti a «cittadini residenti all’estero, tutelati da organismi diplomatici del paese d’origine», NdR) siriani che atterravano negli aeroporti francesi, e solo a loro, di disporre di «visti di transito aeroportuali», in quanto erano considerati come potenziali immigrati clandestini!

Bisogna davvero avere una fede cieca nei loro grandi discorsi sulla democrazia per essere scandalizzati dall’attitudine dei dirigenti borghesi in generale e dei politici socialdemocratici in particolare! Non è mai la sorte delle popolazioni, e ancor meno dei proletari, a motivare gli imperialisti e i borghesi locali, e i loro rispettivi politici. L’unica cosa che li spinge è la difesa dei loro interessi economici e geopolitici. L’ordine borghese, in Medio Oriente come altrove, è fondato sullo sfruttamento e l’oppressione dei proletari e delle masse diseredate; e questo sfruttamento e questa oppressione capitalistici sono tanto più bestiali e sanguinosi quanto più poveri sono i paesi e quanto più gli Stati sono sottomessi alle pressioni di imperialismi più potenti.

La Siria, Stato politicamente e socialmente fragile fin dalla sua nascita e situato geograficamente all’incrocio di interessi contrastanti, ha sempre attirato la bramosia degli Stati vicini più forti, oltre a quella dei grandi imperialismi che vogliono radicarsi in Medio Oriente. Il potere dittatoriale degli Al Assad, che all’inizio si appoggiava sull’imperialismo russo, ha potuto per decenni assicurare al capitalismo siriano una relativa stabilità, a prezzo di guerre all’estero e di sanguinose repressioni all’interno, ma questo periodo si è definitivamente concluso con lo scossone della cosiddetta «primavera araba», innescata dalla crisi capitalistica internazionale.

Questa scossa, da sola, non avrebbe potuto permettere ai proletari di questi paesi di trovare la via della lotta e dell’organizzazione di classe rivoluzionaria contro il capitalismo; ha però assestato un colpo fatale alle vecchie strutture basate su clan, o familiari, della dominazione borghese. In Siria, questa scossa, ha dato un colpo mortale alla dominazione del regime, portando alla luce tutte le divisioni, regionali, religiose o etniche che lo sviluppo capitalistico non era stato in grado di superare e che erano semplicemente soffocate dal brutale autoritarismo di Damasco.

Schiacciato da decenni di pseudo-socialismo baathista, il proletariato siriano, a differenza di quello egiziano e tunisino, era a digiuno di qualunque tradizione di lotta, men che meno di tradizioni di organizzazione politica di classe, in quanto il movimento staliniano aveva perfettamente assolto in questo paese il suo compito controrivoluzionario di subordinazione degli interessi operai a quelli del capitalismo nazionale.

Il proletariato siriano non ha quindi potuto pesare sugli avvenimenti; non ha potuto opporre alcuna resistenza alle crescenti manipolazioni delle grandi o meno grandi potenze, alla comparsa in seno alla ribellione di divisioni locali, regionali e religiose e all’emergere delle correnti islamiste reazionarie – e ancor meno ha potuto orientare la rivolta in senso antiborghese, cosa per la quale sarebbero stati necessari l’esistenza e il radicamento del partito rivoluzionario comunista. La tragedia subita dai proletari e dalle masse oppresse della Siria e dell’Iraq è causata dalla disintegrazione in corso dell’ordine imperialista regionale uscito dall’ultima guerra mondiale e accelerata a causa delle conseguenze dell’ultima crisi capitalistica internazionale. Questa disintegrazione –  determinata dall’esacerbarsi, sotto i colpi della crisi economica, di tutte le tensioni, di tutte le contraddizioni, economiche, sociali e politiche che agiscono fra gli Stati della regione e al loro interno – porta in piena luce gli orrori del sanguinario sistema capitalista. Dimostra che il rovesciamento di questo sistema e l’instaurazione di una società senza classi né Stati, il comunismo, è l’unica soluzione possibile per porre fine a tutti questi orrori; ma sottolinea anche l’assenza dell’unica forza capace di realizzare questo grandioso obiettivo, il proletariato organizzato in classe e dunque in partito (Il Manifesto).

Lavorare, nella misura delle possibilità reali, per colmare questa assenza, cioè lavorare per la rinascita del partito di classe internazionale e per la ricostituzione in tutti i paesi delle organizzazioni classiste del proletariato, è il compito che i fatti oggettivamente impongono ai proletari rivoluzionari non della sola Siria, ma del mondo intero.

 

Febbraio 2015

 

Partito comunista internazionale (il comunista) - agosto 2015 - www.pcint.org

 


 

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