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Proletari: morire senza lottare o lottare per non morire ?

 

Negli USA si parla di 9 milioni e mezzo di disoccupati che aumentano al ritmo di 100.000 al mese, in conseguenza della recessione economica, crisi finanziaria, ma che in sostanza è riconducibile alla crisi di sovrapproduzione delle merci e all’intasamento del mercato internazionale che non riesce più a venderle − non rispetto ai bisogni sociali ma rispetto alla necessità di realizzare un profitto sufficiente ai bisogni del capitale investito −, lo Stato borghese sostiene il sistema economico in crisi che a sua volta è il sistema su cui si fondano i privilegi della borghesia, mentre il proletariato si vede peggiorare le condizioni di vita e di lavoro, attraverso la disoccupazione, la diminuzione dei salari, l’aumento del costo della vita e della pressione fiscale e il taglio di ogni tipo di assistenza da parte dei vari governi borghesi.

Anche in Europa le conseguenze si faranno sentire pesanti per il proletariato − dato che gli USA rappresentano il mercato principale con cui tutti i paesi più sviluppati economicamente commerciano − e in Italia, in particolare, si sentono già le “sirene terroristiche” della borghesia, del padronato e del collaborazionismo sindacale tricolore che mettono al primo posto il salvataggio dell’economia nazionale, delle banche, delle imprese. I proletari ne subiranno direttamente le conseguenze e pagheranno con un’aumentata precarietà di vita e miseria salariale se non reagiranno indipendentemente con la lotta unendosi in quanto proletari, fuori da qualsiasi divisione di settore, categoria, razza, sesso o nazione.

La vicenda della ristrutturazione dell’Alitalia, con conseguente taglio dei salari e l’espulsione di migliaia di lavoratori, dimostra che da tempo ormai non esistono più settori “garantiti”, che i vari governi borghesi per mantenere il consenso concedevano per convenienza politica e per sostenere settori strategici per l’economia nazionale in un periodo in cui,d’altra parte, l’economia tirava e c’erano i margini per dare delle briciole ai proletari.

Oggi, per i governi borghesi di tutti i paesi sviluppati industrialmente, è diventato imperativo tagliare i costi per le esigenze di una sempre più alta competitività, per sostenere Banche e Aziende in difficoltà che devono ristrutturarsi, cioè aumentare ulteriormente la concorrenza per la conquista di spazi in un mercato che diventa sempre più asfittico, e per questo sono disposti a mandare in malora gli operai in esubero, ridurre i salari di quelli rimasti che dovranno lavorare più intensamente e in condizioni sempre più a rischio per la propria vita.

Ecco perché i proletari, se accettato condizioni più dure e precarie di vita sotto il ricatto del posto di lavoro, se non lottano uniti per un salario da lavoro o un salario da disoccupazione sufficiente a vivere dignitosamente, subiranno in futuro altri ulteriori peggioramenti, l’immiserimento e la fame diventeranno una condizione sempre più diffusa.

I sindacati tricolore e tutte le organizzazioni sindacali “alternative” che rispettano le regole della competitività e della produttività, insieme ai partiti opportunisti di sinistra che non stanno facendo nulla se non a parole sui salari bassi e il rischio dell’aumento della disoccupazione, dimostrano nella pratica la loro piena collaborazione nel sostegno dell’economia nazionale e di tutte le aziende e a favore dei privilegi della borghesia, la quale si appresta infatti a varare leggi sempre più repressive e contratti sempre più capestro per tutti i lavoratori, e in particolare per quelli immigrati da altri paesi.

 

PROLETARI!

 

I proletari hanno un’arma per difendersi nell’immediato, che è lo sciopero.                          

Lo sciopero che nelle mani dei sindacati collaborazionisti è stato svirilizzato e reso inoffensivo, deve invece tornare nelle mani dei lavoratori un’arma: nessun preavviso di tempo né di durata, picchetti per fermare i crumiri, unificare i proletari fuori dell’azienda in cui si lavora, fuori del settore o categoria contrattuale a cui si appartiene, che sia pubblica o privata; lo sciopero deve tendere ad unire i lavoratori occupati con quelli disoccupati e precari e sopratutto immigrati, in modo che si lotti per obiettivi che unifichino nelle condizioni di lavoro e di salario effettivamente uguali per tutti, e deve rivendicare un salario anche da non lavoro, perché se la crisi avanza per le contraddizioni del modo di produzione capitalistico non siano i proletari a morire di fame per sostenerlo.

Si è parlato molto del modello della piccola e media industria in Italia (soprattutto del Nord–Est) che nonostante tutto ha retto l’economia e l’occupazione, certo a ritmi più bestiali di sfruttamento e condizioni di lavoro precarie e a rischio infortuni elevato. Con la crisi del capitale che avanza sarà la prima a subire le conseguenze più pesanti, perché non può tagliare i costi più di un certo limite e perché non ha l’organizzazione e il supporto della grande industria per essere competitiva.

Lo Stato, «comitato di difesa degli   interessi della borghesia», soprattutto della grande borghesia, quando arriva la crisi sostiene innanzitutto la grande industria, le grandi banche, i grandi proprietari terrieri.

I proletari devono rivendicare un salario di disoccupazione, perché non avranno altra alternativa nell’immediato per sopravvivere; unendosi nella lotta tra occupati e disoccupati devono fare fronte comune contro la concorrenza sempre più spietata tra proletari, contro la borghesia, che all’inizio cercherà di risolvere le difficoltà incontrate sul mercato riversandole sulle spalle del proletariato e che, per sbloccare i mercati intasati, dovrà scatenare una distruzione massiccia di merci per riprendere un nuovo ciclo di accumulazione, dovrà cioè scatenare una guerra mondiale, massacrando ancora una volta milioni di proletari per poter ristabilire il suo sistema infame del mercato, quindi il suo dominio i suoi privilegi di classe.

La borghesia di fronte alla crisi di sovrapproduzione che avanza, detta ai sindacati tricolore tempi e metodi per gestire le vertenze contrattuali  senza scioperi ed entro il limite della miseria salariale che ha deciso di concedere. Nell’immagine che il collaborazionismo sindacale dà ai proletari della loro condizione si evidenzia precisamente il loro ruolo nella crisi del capitale: «siamo tutti sulla stessa barca, con l’unica differenza che gli operai sono sotto a remare e i padroni sopra a comandare…», un’immagine completamente falsa. A parte le differenze di funzione rispetto al processo produttivo, si vuol far passare l’idea che tutti, proletari e borghesi, devono contribuire a non farla affondare, cioè a non fare affondare nella crisi capitalistica il sistema del mercato, che è proprio il sistema su cui si basa lo sfruttamento della classe operaia e quello del dominio della borghesia. La ricchezza sociale, appropriata dalla borghesia, è estorta al proletariato intero, e la preoccupazione principale della borghesia e dei padroni è che se la crisi rischia di  affondarla non sia pagata dalla borghesia ma dal proletariato: Dimostrazione costante di quello che dice Marx fin dal Manifesto del Partito Comunista del 1848: il proletariato dall’abbattimento del capitalismo ha solo da perdere le sue catene, le catene della schiavitù salariale.

 

PROLETARI!

 

I proletari più si “attaccano” al posto di lavoro – come propagandano i sindacati tricolore – a prescindere dalle condizioni del salario, della salute, della fatica spesa,  più precipitano nel baratro della miseria e della fame, nonché in futuro nel baratro del massacro delle guerre imperialiste. Devono partire dalle loro condizioni immediate di vita e di lavoro, tendere all’unificazione, associarsi per la lotta di difesa del loro salario da lavoro o da disoccupazione, difendere la loro salute e la sicurezza sul posto di lavoro, combattere l’intensificazione del lavoro e l’aumento dell’orario di lavoro, combattere la concorrenza che sempre più la borghesia e i padroni alimentano nel proletariato. Devono combattere per la loro classe, per i loro specifici interessi rompendo con quella sorta di delega “inerziale” al collaborazionismo sindacale che non fa che deprimere, isolare, ostacolare, paralizzare le loro energie che invece devono essere rivolte verso la solidarietà operaia e la lotta di difesa efficace contro i padroni e lo stato borghese.

I proletari se si associano, se si uniscono fuori dagli steccati che la borghesia e i loro servi vestiti da operai alzano in continuazione – tra nazionalità diverse, tra i sessi, tra età diverse, occupati e disoccupati, settori e categorie diverse di lavoro, aree geografiche o aziende – in organizzazioni indipendenti e autonome da quelle che per anni (come i sindacati tricolore) hanno lavorato in direzione completamente opposta alle esigenze di lotta e di difesa degli interessi reali della classe proletaria, incontreranno sicuramente molte difficoltà, commetteranno all’inizio errori, subiranno sconfitte e rinculi dopo avanzate repentine, ma una cosa sarà certa: faranno esperienza e lotteranno finalmente nella direzione giusta della ripresa della lotta di classe, fuori dalle compatibilità di carattere nazionale economico o aziendale.

I proletari soprattutto delle giovani generazioni, che hanno davanti condizioni di precarietà del lavoro, del salario, di condizioni di lavoro sempre più bestiali, di condizioni di vita incerte per il futuro, sicuramente si trovano nella difficoltà di non aver vissuto esperienze di lotta minime per poter maneggiare con maggiore determinazione la lotta contro i padroni o lo stato borghese, ma hanno energie sufficienti e la possibilità di fare esperienza se si mettono in campo, se riprendono in mano la loro condizione, senza più delegarla ai professionisti del sindacato collaborazionista, se rompono con il meccanismo della concorrenza individuale a cui sono sottoposti tramite il ricatto padronale del posto di lavoro, se attingono dal partito di classe le esperienze di lotta fertili che la loro classe ha già fatto nel passato. Non hanno altre strade per interrompere il precipitare nel baratro della miseria e della fame che quella di rialzarsi per impedire al capitalismo di schiacciare ancora una volta il proletariato sotto il peso delle sue contraddizioni. Lottare per non morire, o morire senza lottare?

 

Partito comunista internazionale

Novembre 2008

 www.pcint.org

 

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