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Elezioni regionali in Italia:

Abbasso la mistificazione elettorale, Viva la lotta di classe proletaria!

 

PROLETARI!

 

Il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari è talmente evidente in tutti i paesi capitalistici ricchi, che nessun governo – di «destra» o di «sinistra» che sia – si sogna di nasconderlo.

Anche il governo Berlusconi, che negli ultimi due anni, in corrispondenza della crisi economica che ha colpito tutti i paesi del mondo, ha continuato a mistificare la realtà dichiarando che la crisi era «degli altri» e che l’Italia ne era risparmiata, ha dovuto ammetterlo. Ma «ammetterlo» non significa praticare una «politica economica» in grado di fermare il progressivo aumento della disoccupazione, il continuo espandersi della precarietà, l’abbattimento dei salari, la riduzione del «futuro» delle generazioni più giovani ad una costante incertezza di vita e di sopravvivenza.

La classe borghese dominante, si faccia rappresentare al governo da forze politiche di «destra» o di «sinistra», non perde mai di vista i suoi obiettivi: in periodo di crisi il suo obiettivo è di scaricare il peso della crisi economica – dunque, la diminuzione dei profitti e la generale caduta tendenziale del saggio medio di profitto – sulle spalle del proprio proletariato «nazionale», sul proletariato degli altri paesi, e sulla piccola e media borghesia rovinate per l’appunto dalla crisi. La classe borghese dominante, in periodo di crisi, sa per esperienza che le contraddizioni sociali che esistono normalmente nella sua società sboccano inevitabilmente in tensioni sociali, in probabili scontri nei quali sono proprio le classi salariate a far saltare la pace sociale. «Uscire dalla crisi», per la classe borghese dominante, significa semplicemente rimettere in moto l’apparato produttivo, commerciale e finanziario al fine di ritornare ad accumulare profitti, mantenendo le classi salariate nelle condizioni di sudditanza permanente. Ed è grazie al suo dominio politico sull’intera società che questo obiettivo può essere raggiunto.

C’è una sola forza che può intralciare il «normale» corso della crisi capitalistica e del suo superamento secondo le politiche borghesi: la forza della classe proletaria, della classe dei lavoratori  che si ribellano alla schiavitù salariale e al continuo tormento di una vita spesa solo per il beneficio dei capitalisti. Il lavoro salariato e il capitale sono i due elementi vitali del sistema capitalistico di produzione: i capitalisti possono accumulare capitali e appropriarsi la ricchezza sociale prodotta, alla condizione di sfruttare in modo sempre più intenso la forza lavoro salariata; e questa condizione sociale è garantita dal loro dominio non solo economico e sociale, ma soprattutto politico sull’intera società. Ma la forza della classe operaia è spezzata da decenni di interclassismo collaborazionista, portato avanti dai partiti falsamente comunisti e socialisti e dai sindacati tricolore che hanno il preciso compito di continuare a deviare le spinte di lotta degli strati più combattivi del proletariato sul terreno della conciliazione sociale, del «confronto democratico», dei «sacrifici oggi per un benessere domani», della compartecipazione allo «sforzo del paese per uscire dalla crisi»!

Per i capitalisti e il loro Stato, è necessario non solo ristabilire gli equilibri finanziari ancora in crisi nonostante il salvataggio del sistema bancario e le misure di rilancio economico, ma più in generale riguadagnare i tassi di profitto crollati a causa della crisi. Ed è a questo scopo che il capitalismo non conosce che una sola soluzione: far pagare il prezzo della crisi ai proletari, cioè accrescere il loro sfruttamento (aumentando la concorrenza fra occupati e disoccupati, giovani, precari, pensionati e fra proletari autoctoni e immigrati) e peggiorare le loro condizioni di vita in ogni campo (dalla sanità alle pensioni, passando per il problema della casa). Ma perché questa vera offensiva della classe borghese riesca, bisogna che non provochi come reazione la lotta proletaria o, nel caso in cui gli scioperi scoppino comunque qui e là, che questi scioperi rimangano isolati e risultino impotenti. Per i governanti è dunque vitale che le grandi e le meno grandi organizzazioni sindacali giochino fino in fondo il loro ruolo di sabotaggio delle lotte quando non riescono ad impedirle. Anche su questo terreno l’inganno democratico svolge il suo ruolo trasformando le aspirazioni dei proletari alla difesa esclusiva dei propri interessi di classe immediati in obiettivi di «lotta democratica» come se la cosa alla quale l’operaio può rinunciare è il posto di lavoro e il salario ma non…la democrazia!

Nelle società capitalistiche avanzate, la forma di dominio politico più diffusa è quella della repubblica democratica. Ma la «democrazia» non è un metodo sempre uguale a se stesso, non è il risultato di una formula matematica, né tanto meno quel valore di «civiltà» immanente della società civile in grado di permeare l’intera rete di rapporti sociali al disopra di ogni contraddizione e di ogni divisione fra le classi.

La «democrazia» è un metodo di dominio politico della classe dominante borghese adattabile ad ogni fase dello sviluppo capitalistico, molto più duttile di qualsiasi altro metodo di governo. Nei periodi di espansione economica, coinvolgendo tutte le classi sociali a ritagliarsi una quota di «benefici» e di «prosperità» sebbene a discapito di altri paesi (quindi di altre borghesie e di altri proletariati), è il metodo di governo verso il quale la spontaneità conservatrice di tutte le classi sociali (compresa la classe del proletariato) produce il massimo risultato sul piano della «coesione nazionale», della «identità di popolo», tendendo a mimetizzare la divisione della società in classi antagoniste sotto il velo dell’interesse nazionale, del benessere per tutti, del progresso generale. Nei periodi di crisi economica, il metodo democratico svolge la funzione apparentemente opposta: mentre la grande borghesia mostra più apertamente di piegare governo, istituzioni, politiche sociali ed economiche alla difesa dei suoi più diretti interessi di classe a discapito della classe del proletariato e della piccola e media borghesia (il «benessere per tutti» si trasforma in benessere per pochi e sacrifici per la stragrande maggioranza), le forze di conservazione sociale – partiti parlamentari, sindacati opportunisti, associazioni del volontariato e religiose, cooperative e movimenti della cosiddetta «società civile» – spingono dal basso con più forza in difesa del metodo democratico attraverso il quale ripristinare una quota del «benessere sociale» che la grande borghesia intende riservare solo a se stessa.

Lo stesso metodo democratico, rivendicato da tutte le forze di conservazione sociale – quelle più reazionarie come quelle più «progressiste – dovrebbe servire, nello stesso tempo, a difendere gli interessi di ogni strato sociale, e di ogni classe. La democrazia, dunque, grazie alla sua eccezionale duttilità, dovrebbe permettere – in ogni situazione di prosperità economica o di crisi – non solo di superare ogni contrasto sociale ed ogni antagonismo fra le classi, ma di dare soddisfazione ad ogni esigenza di vita e di lavoro che ogni strato sociale avanza per sé.

La realtà sociale, però, parla un altro linguaggio. In Italia la disoccupazione ufficialmente ha superato i 2 milioni di lavoratori (ma se togliamo i lavoratori in cassa integrazione che equivale all’anticamera del licenziamento, i disoccupati superano i 3 milioni), la precarietà di lavoro raggiunge i 6 milioni di persone, mentre le giovani generazioni si apprestano ad essere esclusi dal «mondo del lavoro» o ad esserne «inclusi» a condizioni di precarietà permanente! I salari sono stati abbattuti sia in termini nominali che in termini di potere d’acquisto: milioni di proletari che percepiscono un salario non arrivano a coprire le spese quotidiane di vita oltre la metà di ogni mese!

E se guardiamo agli altri paesi, anche solo nell’opulenta Europa occidentale, in Francia, in Germania o in Gran Bretagna la situazione della grande maggioranza dei lavoratori salariati non è migliore. Per non parlare della Spagna, del Portogallo o della Grecia dove la crisi capitalistica si è abbattuta sui rispettivi proletariati con micidiale crudezza obbligando i rispettivi governi ad adottare dure misure di austerity; e con ciò si dimostra come, nei fatti, il peso della crisi capitalistica viene scaricato soprattutto sulle spalle delle masse proletarie di ogni paese.

 

PROLETARI!

 

La democrazia, in una situazione di grave peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle grandi masse proletarie, serve ai proletari per risalire dall’abisso in cui stanno precipitando?

NO!, la democrazia borghese è finzione, inganno, maschera di un potere che è in realtà dittatoriale. La dittatura politica della classe borghese non prende soltanto la forma della dittatura fascista alla Mussolini o alla Hitler, della dittatura militare alla Pinochet, alla Videla o dei colonnelli in Grecia. Dopo la seconda guerra mondiale, la forma liberale della democrazia borghese si è trasformata nella forma di democrazia fascistizzata, ossia, pur mantenendo formalmente le istituzioni tipiche della democrazia parlamentare e costituzionale, la gestione del potere politico è sempre più apertamente decisa all’esterno del parlamento, nelle stanze del potere economico e finanziario e nella riservatezza dei salotti in cui le forze politiche della conservazione sociale contrattano e si accordano di volta in volta in difesa dei reciproci interessi di parte, mentre aumenta progressivamente il dispotismo sociale, la militarizzazione della società, la criminalizzazione delle lotte sociali.

Il parlamento è diventato così sempre più un mulino di parole nel quale si celebra in permanenza l’inganno della democrazia. Il governo Berlusconi, se ha avuto un pregio, è stato quello di svelare chiaramente che il potere politico della classe dominante borghese serve esclusivamente e principalmente a difendere gli interessi della grande borghesia, o di sue frazioni, e che questa difesa ha bisogno del teatrino parlamentare al solo scopo di rincretinire quel popolo che viene chiamato, «anche nelle repubbliche le più democratiche», una volta ogni qualche anno a eleggere «quale membro della classe dominante debba opprimere, schiacciare il popolo nel parlamento» (Lenin).

Deviare il malcontento delle masse proletarie dal terreno della lotta sociale al terreno dell’inganno democratico: questo è il compito di tutte le forze dell’opportunismo politico e sindacale, questo è l’obiettivo della propaganda politica borghese perseguito da tutto lo schieramento delle forze della conservazione sociale, che siedano in parlamento o che agiscano al di fuori di esso. E quando l’attività di sistematica distrazione degli strati più combattivi del proletariato dagli interessi di classe immediati non riesce nel suo compito, entra in campo la repressione perché… la democrazia va difesa di fronte ad ogni intemperanza delle masse licenziate, affamate, sfrattate e rigettate ai margini della società!

La classe dominante borghese sa perfettamente che l’inganno democratico non riesce sempre a deviare il proletariato e che gli strati più combattivi ed avanzati del proletariato possono sfuggire allo stretto controllo dell’opportunismo, imboccando la strada dello scontro di classe; la classe dominante borghese, se le condizioni generali di controllo sociale lo permettono – e oggi ancora lo permettono perché esistono ancora delle riserve materiali da utilizzare per sedare in qualche modo le spinte ribelli e di rabbia dei disoccupati, dei licenziandi e dei licenziati – preferisce combinare l’uso del lattemiele democratico con la repressione violenta, foraggiare e sostenere finanziariamente partiti e associazioni votati alla difesa della democrazia mentre tollera le azioni violente di polizia e carabinieri nei confronti di elementi isolati arrestati e massacrati di botte; preferisce combinare le declamazioni di legalità e di responsabilità civile mentre tollera la diffusione della malavita, del malcostume, della prostituzione, del lavoro nero, dello sfruttamento inumano dei proletari immigrati. La classe dominante borghese, mentre dichiara piena lealtà ai principi della democrazia costituzionale, dei diritti dell’uomo, della libertà e dell’eguaglianza, è in grado di sguinzagliare le sue forze di polizia contro manifestanti pacifici come a Genova in occasione del G8 del luglio 2001 o di organizzare veri e propri lager come sono i Centri di Identificazione e di Espulsione in cui vengono rinchiusi proletari cosiddetti «irregolari» che fuggono dalla miseria, dalla fame, dalla repressione e dalle guerre che devastano i loro paesi d’origine e di cui una buona parte di responsabilità ce l’ha proprio la borghesia dominante dei paesi più ricchi, come l’Italia.

Ed ora si presenta una nuova tornata elettorale per il ricambio del personale politico alle regioni e in alcuni comuni e province. L’Italia elezionista e parlamentarista – chiamata per l’ennesima volta ad eleggere una schiera interminabile di figuri già corrotti (e spesso indagati da una magistratura che non può chiudere tutti gli occhi, pena l’azzeramento della credibilità democratica) o pronti ad essere corrotti, siano candidati dei partiti del centrodestra o candidati dei partiti di centrosinistra – mostra  un suo ulteriore grado di sviluppo del marcio politicantismo che ormai da decenni caratterizza la democrazia post-fascista. E non si tratta soltanto del miliardario Berlusconi e dell’uso pro domo sua dello Stato e del parlamento: Berlusconi non è che l’attuale rappresentante, più esplicito di chi l’ha preceduto, di un sistema di lottizzazione dello Stato a favore di una fazione di capitalisti in lotta contro altre fazioni che vogliono ottenere una quota più consistente di privilegi economici e politici di quella che già posseggono. Il sistema non cambia: la corruzione politica non è che l’aspetto fenomenico del processo di asservimento dello Stato al Capitale, e quindi alle forze capitalistiche attualmente dominanti.

Qualsiasi elezione, di carattere amministrativo o politico, e qualsiasi forza politica democratica vinca la tornata elettorale, non cambieranno mai la tendenza profonda dello sviluppo del capitalismo che si esprime, a livello politico, nel più totale asservimento dello Stato al Capitale! Il «sistema democratico» è, quindi, doppiamente ingannevole: da un lato, non fa che piegare ogni forza politica, sindacale e sociale, che ne assume la difesa e l’esercizio, alle esigenze esclusive del Capitale e, dall’altro, non fa che schiacciare ancor più il proletariato nell’impotenza politica e sociale deviando o paralizzando preventivamente ogni spinta di classe a lottare contro le esigenze del Capitale e in difesa delle esigenze e degli interessi immediati della Forza Lavoro salariata!

 

PROLETARI!

 

Oggi è ancor più chiaro di prima: non si può lottare in difesa delle condizioni di vita e di lavoro proletarie se non sul terreno antidemocratico, se non assumendo obiettivi di lotta diametralmente contrastanti con quelli proposti dalle diverse forze politiche e sindacali del collaborazionismo interclassista. L’antagonismo di classe non è una scelta che il proletariato può fare o meno: è una condizione materiale storica che nasce con la società capitalistica e che oppone, per la vita o per la morte, la classe dominante borghese e i suoi servi alla classe del proletariato. La democrazia borghese serve a mascherare questa realtà storica, a confondere il proletariato facendogli credere che esista un terreno nel quale gli interessi si conciliano, diventano comuni e beneficiano di soddisfazioni reciproche. Ma la democrazia borghese ha fallito completamente la sua missione storica: non esiste alcuna possibilità di conciliazione tra borghesia e proletariato, ed è proprio la classe dominante borghese a dimostrarlo, soprattutto in periodo di crisi economica come l’attuale. Le risorse di un intero paese vengono utilizzate dalla borghesia dominante per salvare le sue banche, i suoi capitali, il suo sistema finanziario, le sue aziende, i suoi profitti, mentre alla stragrande maggioranza della popolazione essa  impone un regime di crescente austerità.

Mentre i grandi capitalisti si gonfiano le tasche di profitti ed aumentano la loro ricchezza privata, milioni di proletari devono stringere la cinghia: questa è la democrazia borghese in tempo di crisi!

Per il proletariato, una via d’uscita immediata da questa situazione non c’è. Non se ne esce né occupando la fabbrica, né salendo sulle gru dei cantieri o sui tetti delle aziende, né marciando in processioni che chiedono «pace e lavoro», né tanto meno mettendo sugli scranni dei consigli regionali Tizio piuttosto che Caio. La lotta proletaria di classe è soprattutto una lotta di strada, una lotta che non si chiude nei recinti delle fabbriche e che non chiede permesso ai padroni: è espressione diretta della stessa forza-lavoro che i proletari sono obbligati a dare ai padroni se vogliono sopravvivere in questa società, solo diretta alla conquista di condizioni di vita e di lavoro più decenti, meno disumane, meno tormentate dalla fatica e dalla miseria. E’ lotta di strada perché tende a unire proletari delle diverse fabbriche, delle diverse categorie, di diversa età o nazionalità; è lotta di strada perché tende a coinvolgere gli strati proletari più arretrati e timorosi, prede solitamente dei pregiudizi pacifisti e individualisti che la piccola borghesia diffonde a piene mani. La lotta proletaria di classe non può, d’altra parte, esprimere la sua forza se non poggia su organizzazioni classiste, indipendenti dagli apparati e dalle politiche della conciliazione interclassista, indipendenti quindi dai sindacati tricolore.

E allora la via d’uscita per il proletariato è nel rimettere al centro della propria lotta obiettivi di classe, utilizzando mezzi e metodi di lotta classisti, organizzandosi perciò intorno a piattaforme di lotta che coinvolgano i proletari in quanto proletari, al di là della categoria, del sesso, dell’età, della nazionalità, delle idee religiose o politiche cui appartengono. Le rivendicazioni operaie, se sono di classe, non possono essere fatte proprie se non da forze politiche e sindacali di classe!

Drastica diminuzione della giornata lavorativa a parità di salario!, quale forza politica democratica che si vuol fare eleggere la sostiene? NESSUNA.

Aumenti di salario, più forti per gli strati peggio pagati!, quale forza politica democratica che si vuol fare eleggere li sostiene? NESSUNA.

Salario da lavoro o salario di disoccupazione!, quale forza politica democratica che si vuol fare eleggere lo sostiene? NESSUNA.

Proletario italiano, proletario immigrato, stesso lavoro stesso salario!, quale forza politica democratica che si vuol fare eleggere lo sostiene? NESSUNA.

Contro ogni forma di concorrenza fra proletari, mistificata sotto i falsi miti della professionalità e della specializzazione!, quale forza politica democratica che si vuol fare eleggere la sostiene? NESSUNA.

Si dirà: Il proletariato non è pronto per rivendicazioni generali così forti e così difficili da ottenere soprattutto in considerazione del fatto che stanno vivendo da anni sotto continui attacchi alle loro condizioni di vita e di lavoro.

Sì, i proletari non hanno la forza di imporre alla classe borghese dominante la soddisfazione di rivendicazioni come queste, e in verità nemmeno rivendicazioni molto più contenute; ma i proletari stanno vivendo da decenni sotto continui attacchi alle loro condizioni di lotta da parte di tutte le forze dell’opportunismo politico e sindacale che hanno svuotato e reso del tutto impotenti gli obiettivi della lotta proletaria, distruggendo i sindacati di classe e i partiti di classe. Colpendo a morte le condizioni di lotta del proletariato, le forze del collaborazionismo interclassista sono riuscite a piegare per decenni il proletariato alle esclusive esigenze dei capitalisti. E’ da qui che i proletari devono ripartire: riconquistare le condizioni della propria lotta di classe, riorganizzarsi in associazioni di difesa economica al di fuori e contro gli obiettivi che discendono dal rispetto delle compatibilità economiche delle aziende o del paese.

Le speranze proletarie di una prospettiva meno tragica del futuro prossimo sono vane se contassero sull’elezione di personaggi che non faranno nulla di diverso da quelli che li hanno preceduti: calpesteranno gli interessi proletari per difendere le esigenze del capitalismo e per avvantaggiarsi personalmente grazie a quella bisogna. Le speranze proletarie devono contare sulla forza da ritrovare nella riorganizzazione classista dei propri interessi immediati, base per una difesa efficace degli interessi di classe futuri. Fino a quando esisterà la divisione della società in classi antagoniste e fino a quando il dominio di classe della borghesia e la forza del suo Stato resteranno intatti, le elezioni non saranno che un imbroglio.

La forza dei proletari non può trovarsi che nell’azione collettiva, nello sciopero, a condizione che questo sia orientato da obiettivi di classe e condotto da organizzazioni di classe; non può che trovarsi nelle azioni collettive che coinvolgano i proletari occupati e i disoccupati, i proletari italiani e i proletari immigrati.

Per difendersi contro i capitalisti bisogna rompere con le illusioni democratiche ed elettoralesche, rompere con le organizzazioni di sinistra e di estrema sinistra che le diffondono; bisogna rompere con la fiducia nella collaborazione fra le classi e negli apparati sindacali che la praticano. In breve, bisogna rompere con l’idea e la pratica secondo le quali esisterebbe un «interesse nazionale» da difendere in comune con tutte le classi e tutti i cittadini. Non esistono, in realtà, che interessi di classe contrapposti. O si difendono gli interessi degli sfruttati, o si difendono gli interessi degli sfruttatori. I proletari non potranno resistere alla classe nemica e vincerla che lottando per i loro esclusivi interessi di classe e organizzandosi per questa lotta indipendentemente da tutti i lacchè della classe dominante borghese.

 

 Questo non si potrà fare da un giorno all’altro, ma è su questa via che bisogna incamminarsi!

● Abbasso la mistificazione elettorale!

● Abbasso la collaborazione di classe!

● Una sola soluzione: la lotta proletaria con i mezzi, i metodi e l’organizzazione di classe!

 

          

Partito comunista internazionale (il comunista)

21 marzo 2010 - Supplemento a «il comunista» n. 115

www.pcint.org

 

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