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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

Le lotte degli studenti, in Gran Bretagna come in Grecia e in Italia, mostrano un crescente disagio sociale che colpisce in particolare i giovani, ma il futuro non sta in una diversa e garantita cultura universitaria, ma nella distruzione della cultura borghese attraverso l’abbattimento del potere politico della classe borghese e la distruzione del modo di produzione capitalistico.

Il futuro non sta nel “rinnovamento” della società divisa in classi, ma nella sua distruzione sostituendola con la società senza classi, la società di specie!

 

Cominciarono, mesi fa, gli studenti ad Atene e Salonicco a reagire alle draconiane misure del governo greco che, a causa della fortissima crisi della propria economia e per evitare la bancarotta, è stato sottoposto alla violenta pressione delle potenze mondiali più forti  che sono accorse al suo capezzale obbligandolo ad indebitarsi pesantemente: debito che la Grecia pagherà nei prossimi decenni alla condizione di spremere dal proprio proletariato gigantesche e crescenti quantità di plusvalore. Ma quelle misure non vanno a colpire soltanto i proletari, colpiscono anche gli strati di piccola e media borghesia e i loro giovani figli che si illudevano di emergere, grazie ad un titolo di studio superiore o ad una laurea, in una posizione sociale privilegiata e che speravano, in ogni caso, di non precipitare nelle condizioni più classicamente proletarie dei senza riserve, dei senza lavoro e quindi senza salario!

Si mossero, e ancora si muovono, gli studenti in Italia, anch’essi rivendicando un “futuro” fatto di promozione sociale e di “garanzie” che un titolo di studio superiore e una laurea dovrebbero assicurare. Essi si oppongono, con le occupazioni delle scuole e delle università e con le manifestazioni di strada, ad un governo che vuole accelerare un processo di riforma della scuola pubblica  riportandola, dalle elementari alle università, alla funzione di istruire le masse proletarie quel tanto che basta perché siano in grado di comprendere le istruzioni dei nuovi processi lavorativi, riservando sempre più la formazione colta della “nuova classe dirigente borghese” a strati superselezionati di “privilegiati”. Le “risorse finanziarie” disposte per il settore della pubblica istruzione e della cultura vengono semplicemente dirottate verso la scuola privata ed i canali della propaganda di regime, mettendo in questo modo più in luce i veri interessi di classe della borghesia. E non vi è differenza sostanziale tra la riforma di “destra” e quella di “sinistra”, poiché entrambe rispondono esattamente alle stesse esigenze di fondo della valorizzazione del capitale; la differenza sta semmai nei tempi che la “sinistra” vorrebbe più lunghi per abituare gradualmente i proletari al loro impoverimento culturale generalizzato e alla loro costante emarginazione dalla vita politica e sociale, mentre la “destra” tende a tagliar corto per guadagnare tempo secondo il famoso detto borghese: il tempo è denaro!

E si sono mossi, ultimamente, anche gli studenti universitari in Gran Bretagna che, verso la fine di novembre e l’inizio di questo dicembre, hanno messo a dura prova l’ordine pubblico a Londra. Ci sono andati di mezzo anche l’erede al trono e signora che, incautamente, credevano di poter passare in automobile tranquillamente per le strade del centro di Londra, trasformatisi invece per qualche minuto in uno dei tanti bersagli della rabbia dei manifestanti. In Gran Bretagna, gli studenti universitari si sono ribellati alla triplicazione delle tasse universitarie decisa dal governo con la ridicola scusa di dover provvedere agli studenti “meritevoli” di proseguire gli studi per capacità individuali ma che non hanno soldi; in realtà, anche la borghesia inglese sta accelerando lo stesso tipo di processo di “riforma” per cui i gradi superiori di istruzione non sono più disponibili per le grandi masse.

I media sostengono che manifestazioni così numerose, partecipate e dure a Londra non si vedevano dai tempi della Thatcher e delle manifestazioni contro la famosa poll-tax. Ma gli studenti universitari si sono ribellati anche perché gli attuali governanti avevano promesso, in campagna elettorale, che non avrebbero toccato le tasse scolastiche… La realtà capitalistica non è mai quella che viene dipinta nelle campagne elettorali; le promesse elettorali sono l’ormai tradizionale presa in giro degli elettori che continuano ad andare a votare sapendo di essere ingannati 99 volte su 100 e che sperano di incappare in quell’1% di differenza tra l’inganno e il non-inganno come fosse una lotteria. La realtà capitalistica è molto più dura e pesante e ne sanno qualcosa i lavoratori salariati che sono costretti a subire condizioni di vita sempre peggiori non solo perché lo sfruttamento capitalistico inevitabilmente aumenta con l’aumentare della concorrenza mondiale e imperialistica, ma anche perché le conseguenze delle crisi finanziarie ed economiche vengono gettate con sempre maggiore immediatezza sulle spalle delle grandi masse e, in specie, su quelle della classe proletaria.

Mentre i governanti di Westminster fanno passare le draconiane leggi “anti-crisi”, e i laburisti non sono in grado di accennare nemmeno ad una formalmente dura opposizione, gli strati di piccola e media borghesia si mobilitano rabbiosi per non essere più protetti e garantiti dalla grande borghesia che ha in mano i cordoni della borsa. Il disagio sociale è reale, ma le manifestazioni studentesche contro la scomparsa di “garanzie” che fino a ieri li rassicuravano nei loro sogni di promozione sociale, mettono drammaticamente in evidenza la paralisi di una classe operaia narcotizzata da decenni di democratica attesa di un benessere che non è mai arrivato e non poteva arrivare perché il capitalismo si regge sulle crude e violente leggi del profitto che non “garantiscono” nemmeno i singoli capitali, figuriamoci se garantiscono i singoli salari!

E’ la fregata paura di precipitare nelle condizioni di vita proletarie che spinge gli strati studenteschi liceali e universitari ad esprimere la loro rabbia contro i simboli contingenti del “potere politico” che li avrebbe “traditi”. Ed è il radicamento ideologico nelle prospettive borghesi di “professionalità”, di “specializzazione”, di “eccellenza” che costituiscono il nucleo di una cultura votata inesorabilmente a servire le esigenze del capitalismo, e del grande capitale in particolare, a spingere gli studenti a far proprie le rivendicazioni di “maggiore democrazia”, di maggiori investimenti nella “scuola pubblica”, di partecipare insieme ai docenti ai piani di studio e alla gestione della scuola, di sviluppare la “ricerca” a 360° ecc. Gli studenti, in questo modo, non uscendo di un millimetro dal quadro delle leggi oggettive del capitalismo, non fanno che ribadire quello stesso impianto culturale e scolastico che trasmette una fondamentale conservazione della società borghese e capitalistica; in periodo di espansione capitalistica o di crisi capitalistica, la scuola resta sempre un aspetto della società basata sul modo di produzione capitalistico e segue inevitabilmente l’andamento oscillante delle riprese economiche e delle recessioni fino a precipitare, come ogni altro aspetto sociale, nelle contraddizioni più acute che le crisi economiche della società moderna non fanno che intensificare ed ampliare nel corso del tempo.

Con lo sviluppo del capitalismo nella fase imperialistica, e con l’incedere ciclico di crisi economiche e sociali sempre più gravi, come la produzione di beni materiali – sottoposta alle ferree leggi del sistema capitalistico – non sfugge alla crisi di sovrapproduzione materiale, così la produzione intellettuale (scientifica, umanistica, culturale, artistica ecc.) non sfugge alla crisi di sovrapproduzione culturale. Il capitalismo “regola” il suo sviluppo attraverso il mercato, e in periodo di sovrapproduzione tutti i “beni”, siano essi materiali e immateriali, entrano in crisi, non vengono cioè assorbiti dal mercato, stazionano invenduti nei magazzini perdendo ovviamente di valore o finiscono semplicemente distrutti. Chi ne fa le spese fin dall’inizio è la forza lavoro salariata che viene espulsa dalla produzione, materiale o immateriale che sia, andando ad aumentare quel famoso esercito di riserva di cui il capitalismo si nutre da quando è nato; i salari spariscono o vengono abbassati in modo consistente, e quantità sempre più grandi di lavoratori (dall’operaio manovale al docente universitario) vengono semplicemente emarginati dal mitico “mondo del lavoro” capitalistico.

Come per i proletari non vi sarà soluzione alla disoccupazione e al peggioramento delle loro condizioni di esistenza se non attraverso la lotta di classe e rivoluzionaria al fine di abbattere il potere politico borghese che difende con ogni mezzo – perché ne è l’espressione diretta – il modo di produzione capitalistico, così per i lavoratori dediti alla produzione intellettuale e alla cultura in generale non vi sono vie alternative a quella della lotta di classe proletaria poiché la cultura non è che il riflesso ideologico e sovrastrutturale della produzione economica capitalistica. Gli studenti, in quanto tali, non sono mai stati e mai saranno una componente differenziata della società, una “classe” né nel senso sociologico borghese né, tanto meno, nel senso marxista del termine. Essi, quando si agitano come in tanti periodi passati, e non solo nel fatidico ’68, e come attualmente, non fanno che esprimere un malcontento contro la società capitalistica presente; le loro agitazioni contribuiscono a mettere in luce il marciume della moderna e opulenta borghesia che alza il vessillo della cultura e della scienza come fossero beni “inalienabili” mentre le ha sempre asservite alle proprie esigenze di profitto. Non è “ristrutturando” e “riformando” la scuola in questa società, lasciando intatti il modo di produzione capitalistico e le leggi del mercato che la crisi della scuola potrà essere anche solo avviata a risoluzione; e nemmeno privilegiando la scuola pubblica piuttosto che quella privata, che in realtà si dividono compiti economici e clientelari (a parte la specifica funzione di imbottimento dei crani di cultura conservatrice) allo stesso modo dell’industria pubblica piuttosto che l’industria privata.

I comunisti marxisti, convinti da sempre che la scuola borghese non è altro che un organismo in putrefazione che attende solo la ventata storica della rivoluzione proletaria per essere spazzata via dalla faccia della terra, assieme a tutti gli organismi di cui si è dotata la società borghese per difendere il dominio di classe che consente alla borghesia di perpetuare lo sfruttamento capitalistico della forza lavoro salariata, non si sono mai disinteressati e non si disinteressano delle agitazioni studentesche proprio per il profondo malcontento sociale che esse esprimono, ma al tempo stesso dichiarano apertamente che il futuro che i giovani cercano non sta in una scuola riformata e in studi universitari più garantiti, semplicemente perché un futuro di questo genere, cioè il futuro del capitalismo, è già stato condannato dalla storia in quanto non fa che ribadire un’oscena spirale in cui l’ampliata concorrenza  capitalistica e l’intensificato sfruttamento del lavoro salariato non porta che a crisi economiche inesorabilmente più acute e mondiali, fino a trasformare l’aumentata concorrenza mercantile in urto di guerra: il mercato è mondiale, la guerra capitalistica è mondiale, ed è questo il futuro che il capitalismo offre non solo ai giovani di oggi ma all’intero genere umano.

I comunisti marxisti, in linea con le grandi tradizioni di classe e rivoluzionarie del movimento proletario e comunista, ribadiscono che solo la classe del proletariato nella sua ripresa di classe in una lotta senza quartiere per la vita o per la morte, abbattendo violentemente il regime borghese possibilmente prima che il regime borghese porti le grandi masse proletarie nella sua guerra guerreggiata; che solo il proletariato nella sua riorganizzazione classista sul terreno della lotta immediata e sotto la guida del suo partito di classe per essere diretto con fermezza e sicurezza al fine di distruggere una società che divora sistematicamente i propri figli, può rappresentare l’unico polo di aggregazione in grado di ridare un significato storico e umano alla parola futuro.

Noi lavoriamo e lottiamo per la costituzione del proletariato in classe, quindi in partito: per il partito politico di classe che non può essere altro che il partito comunista rivoluzionario. Noi lavoriamo e lottiamo per la preparazione rivoluzionaria del partito comunista e del proletariato nelle mani del quale soltanto sta la forza di spezzare una volta per tutte la micidiale e oppressiva macchina dello Stato borghese. Noi lavoriamo e lottiamo perché la lotta di classe del proletariato trascresca in lotta rivoluzionaria e lanci la sfida storica alla classe dominante borghese: o rivoluzione o guerra, e perché il proletariato si costituisca, a vittoria rivoluzionaria avvenuta, in classe dominante avviando in questo modo quel processo di trasformazione sociale ed economico che solo potrà, come ricorda Engels nell’Antidhüring, reprimendo dittatorialmente ogni tentativo borghese di restaurare il suo dominio e le sue leggi politiche ed economiche, “riformare” l’intera società fino a trasformarla da società divisa in classi antagonistiche in una società di specie.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

12 dicembre 2010

www.pcint.org

 

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