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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

Solo con la lotta di classe i proletari di tutti i paesi potranno riprendere nelle loro mani il destino del proprio futuro!

Solo nella prospettiva storica della rivoluzione anticapitalistica il proletariato può combattere e vincere ogni oppressione di cui si nutre vampirescamente la società borghese!

 

 

Proletari,

l’ennesima crisi economica e sociale da cui il capitalismo, in ogni paese, fatica enormemente ad uscire, è la dimostrazione che questa società, basata sul profitto capitalistico e sullo sfruttamento del lavoro salariato, si avvita sempre più in un groviglio di contraddizioni che hanno per risultato il peggioramento sistematico delle condizioni di esistenza della stragrande maggioranza della popolazione e, soprattutto, delle grandi masse proletarie.

La crisi economica e sociale che da più di 4 anni sta devastando la vita quotidiana dei proletari in tutto il mondo, si va ad aggiungere ad una serie interminabile di crisi che hanno caratterizzato drammaticamente lo sviluppo del capitalismo dalla fine del secondo macello imperialistico in poi.

Per i capitalisti la crisi economica significa perdere qualche quota dei profitti che intascano regolarmente, godendo della protezione dello Stato borghese, delle sue leggi, delle sue forze dell’ordine, dei suoi eserciti. Per i proletari la crisi economica significa perdere il posto di lavoro, perdere in parte o in toto il salario, perdere la vita.

I capitalisti, mentre si fanno costantemente la guerra di concorrenza sui mercati di ogni paese e in tutto il mondo, affrontano la crisi del proprio sistema economico e della propria società scaricandone il peso e le conseguenze immediate e future sulle spalle delle masse proletarie e più povere. Un effetto tra i più violenti della crisi capitalistica è l’aumento progressivo della concorrenza tra proletari, concorrenza congenita al modo di produzione capitalistico ma che, alimentata appositamente dalle politiche attuate da ogni governo, aumenta a dismisura in periodo di crisi generalizzando il peggioramento delle condizioni di esistenza di tutti gli strati proletari, toccando anche una parte degli strati di piccola borghesia. I proletari, che i capitalisti vogliono ridurre sempre più a docili bestie da lavoro, si ritrovano così completamente in balìa delle oscillazioni del mercato e dei risultati della guerra di concorrenza capitalistica. La crisi economica che colpisce duramente gli strati più bassi del proletariato, schiacciandoli nelle condizioni di una sopravvivenza  del tutto precaria, non risparmia nemmeno gli strati proletari più alti – la famosa aristocrazia operaia – che la politica sociale della borghesia corrompe sistematicamente per legarla a sè e utilizzarla per dividere la classe proletaria.

Se la lotta di concorrenza tra capitalisti, tra aziende capitaliste, tra Stati capitalisti, rappresenta la normalità nella società borghese, il suo modus vivendi, e la sua progressiva acutizzazione non è che la conseguenza naturale dello sviluppo capitalistico tendendo al punto di rottura dei cosiddetti equilibri sostenibili nel mercato e nei rapporti fra gli Stati – trasformando lo scontro dal piano commerciale e finanziario in scontro armato e di guerra –, la lotta di concorrenza tra proletari, tra giovani e anziani, tra uomini e donne, tra nativi e immigrati, tra specializzati e meno specializzati ecc., è una lotta indotta dalla classe borghese al fine di irrobustire il dominio che già possiede economicamente e politicamente sulla società intera. I proletari, proprio perché vivono una comune condizione di schiavitù salariale, sono spinti a difendersi dalla pressione sempre più pesante, che la borghesia esercita su di loro, nell’unico modo diretto che hanno a disposizione: unendosi, organizzandosi per opporre agli attacchi del padronato e del suo Stato l’unica forza che possono mettere in campo: il numero! Sapendo bene che i proletari possono esercitare una propria forza di resistenza solo organizzandosi e lottando uniti sul terreno di classe, con mezzi, metodi e obiettivi di classe, e che da questo allenamento alla guerra di classe i proletari imparano anche ad attaccare le classi dominanti per strappare loro il potere politico centrale per emanciparsi dalla schiavitù salariale, le classi borghesi hanno sempre fatto di tutto per influenzare le organizzazioni immediate e politiche del proletariato, corrompendole e deviando le loro lotte dal terreno classista.  

Lo sviluppo della lotta di classe tra capitalisti e proletari ha prodotto nella storia esperienze di grande rilievo sia per gli uni che per gli altri. I capitalisti hanno capito che la spinta spontanea dei proletari ad organizzarsi per difendere i propri interessi immediati è irrefrenabile, non la si può annullare perché è intimamente legata alla stessa vitalità del modo di produzione capitalistico, che è un modo di produzione che associa i lavoratori salariati organizzandone ogni minuto di lavoro, e quindi ogni minuto della propria vita quotidiana; perciò, dopo aver tentato di impedire la nascita delle organizzazioni operaie, di fronte alle insistenti e dure lotte operaie per il diritto ad organizzarsi per proprio conto, la classe borghese ha dovuto accettarle adottando però misure e politiche allo scopo di influenzarle, orientarle, dirigerle in funzione della conservazione sociale. Così, a fianco delle tendenze politiche classiste, di opposizione netta agli interessi immediati e generali della  borghesia, sono nate le tendenze politiche opportuniste, concilianti gli interessi proletari con gli interessi borghesi. In questo modo, alla repressione diretta e brutale degli operai più combattivi e organizzati, i borghesi, nella loro costante lotta a difesa del dominio sulla società, e grazie ai periodi di espansione economica che mettevano nelle loro mani enormi ricchezze, hanno aggiunto la corruzione politica e sindacale, i metodi della conciliazione, le politiche delle riforme, il riconoscimento per legge del diritto di organizzazione sindacale e politica, in una parola: la democratizzazione dei rapporti sociali, naturalmente nei limiti della conservazione sociale borghese.

Ma, ogni cosa fatta dalla borghesia è fatta in funzione della difesa dei suoi interessi di classe e dei suoi privilegi sociali, e deve avere un vantaggio dal punto di vista economico, politico, ideologico o sociale; così anche le libertà democratiche  e i diritti concessi al proletariato sono concepiti e definiti nell’ambito del rafforzamento del dominio borghese sulla società e, in particolare, sul proletariato. Come è dimostrato ampiamente da almeno due secoli di storia borghese, le libertà democratiche e i diritti di cui la borghesia si vanta tanto, significano libertà e diritti soltanto scritti e parzialissimamente applicati a favore delle classi proletarie, ma nella realtà pratica essi sono a diposizione soprattutto della borghesia: libertà e diritto di sfruttamento legale, e sempre più spesso illegale, della forza lavoro proletaria utilizzata in generale – data l’abbondanza di “offerta di manodopera” – con il minimo di misure di sicurezza sui posti di lavoro e col minimo di applicazione dei tanto sbandierati diritti. Se poi, in determinati periodi essi costituiscono oggettivamente un impedimento all’attuazione di una difesa efficace degli interessi borghesi messi in pericolo dalla concorrenza di borghesie di altri paesi, o da prolungate e dure lotte operaie, o da crisi economiche o da crisi di guerra, le “libertà” e i “diritti” di cui dovrebbero godere i proletari vengono semplicemente non applicati, sospesi o annullati.

I proletari, illusi che, attraverso la pacificazione sociale, la stesura di Costituzioni e di leggi che riconoscono a parole molti diritti e soprattutto i metodi del “confronto democratico” tra le “parti sociali”, si poteva raggiungere un generale miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro e un elevamento sociale tale da superare gradualmente le contraddizioni della società borghese e la tendenza a risolverne le punte più acute con la guerra, sono messi sempre più chiaramente di fronte ad una realtà che li vede sconfitti non solo nelle loro ambizioni di miglioramento, ma nella loro stessa prospettiva futura: finché continuerà ad esistere il dominio capitalistico, e borghese, sulla società, non ci sarà nessuna possibilità di risolvere definitivamente le crisi e le contraddizioni capitalistiche: la schiavitù salariale continuerà e si accompagnerà costantemente a più o meno vasti bagni di sangue in guerre che le potenze imperialistiche fanno allo scopo esclusivo di spartirsi in modi diversi il mercato mondiale.

Ogni crisi capitalistica, che è crisi di sovrapproduzione non solo di merci e di capitali ma anche di lavoratori salariati, oltre a produrre effetti devastanti sulle condizioni di esistenza del proletariato e delle masse diseredate di tutto il mondo, mette la società borghese di fronte ai suoi limiti obbligandola ad un certo punto ad uscirne attraverso la distruzione sempre più ampia di merci, di capitali e di esseri umani! E non c’è nessun “confronto democratico” tra le “parti sociali” che tenga: il capitale non si sottomette alla democrazia, alla “sovranità del popolo”, ma sottomette le classi sociali che formano il “popolo” alla propria dittatura e, maturando le condizioni generali di contrasto irrisolvibile tra i grandi trust e le grandi potenze imperialistiche, la loro politica si trasforma in politica di guerra. Anche la borghesia è sottoposta alle leggi del capitale, alle leggi del modo di produzione capitalistico, solo che è l’unica classe sociale che dalla sua posizione di possidente dei mezzi di produzione e di appopriatrice della ricchezza sociale prodotta trae tutti i vantaggi, alla condizione ovviamente di dominare con la forza (delle armi, prima di tutto) sulla società e, in particolare, sul proletariato che è la sola classe che ha capacità storica di opporsi alla borghesia e di colpirla mortalmente attraverso la lotta di classe portata fino in fondo, fino alla rivoluzione proletaria e comunista.

 

Proletari,

La lotta di classe che la borghesia conduce contro il proletariato, e lo fa non solo nel “proprio” paese, ma lo fa in tutto il mondo visto che le merci e i capitali si scambiano in tutto il mondo, è una lotta che ha due grandi obiettivi: 1) mantenere il proletariato, che è la forza lavoro viva da cui estorcere pluslavoro e quindi plusvalore, nella soggezione più dura alle esigenze del profitto capitalistico, organizzandolo sul terreno immediato e sul terreno politico in funzione della conservazione sociale; 2) reprimere, direttamente o indirettamente, ogni sforzo che gruppi o strati proletari fanno per organizzarsi in modo indipendente a difesa dei propri interessi immediati e futuri. Per entrambi gli obiettivi la classe dominante borghese non si serve soltanto dello Stato, delle sue forze armate e di tutte le istituzioni derivanti, ma ha bisogno dell’opera costante, paziente, capillare ed efficace di forze sociali vicine o provenienti dalle file proletarie che condividano la difesa degli interessi borghesi perché ne traggono vantaggi diretti sul piano dei privilegi sociali, come su quello economico e su quello del prestigio politico o culturale: le forze dell’opportunismo riformista e collaborazionista.

L’opportunismo riformista, e tanto più il collaborazionismo, non mettono mai in discussione il modo di produzione capitalistico, e quindi il dominio sociale della classe borghese; essi mettono  sempre in primo piano la conciliazione degli interessi proletari e borghesi, facendo dipendere sempre e comunque – anche quando fanno la “voce grossa” – ogni eventuale miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro proletarie, od ogni limite al loro peggioramento, dal benessere del profitto capitalistico: il posto di lavoro si può difendere e salvare se l’azienda fa profitti!; il salario può aumentare o non diminuire se l’azienda fa profitti!; l’aumento dell’intensità e del ritmo di lavoro deve essere sopportato se l’azienda batte la concorrenza e fa più profitto!; la concorrenza tra proletari è giustificabile se è legata alla meritocrazia, se combatte l’assenteismo, se ha per effetto il contenimento dei giorni di malattia, se contribuisce ad alzare la produttività individuale ecc. ecc.

L’opportunismo riformista, e tanto più il collaborazionismo, sono talmente utili alla conservazione sociale che la classe borghese continua a mettere in campo, nonostante la gravità della crisi economica, ingenti risorse finanziarie affinché i diversi organismi costituiti alla bisogna funzionino efficacemente per il controllo sociale: dal parlamento ai partiti dell’arco costituzionale, dai sindacati tricolore agli istituti di previdenza, dalle organizzazioni religiose alle più disparate associazioni di volontariato: l’esistenza di una enorme massa di sovrastrutture politiche, sindacali, religiose, culturali e sociali pesa due volte sul proletariato, una per via delle risorse economiche e finanziarie spese per tenerle in piedi e che vengono sottratte ai servizi sociali di base (ad esempio l’assistenza sanitaria e sociale, le pensioni ecc.), e una per via dell’influenza ideologica e organizzativa che questa massa sovrastrutturale emana quotidianamente e che contribuisce in modo determinante all’intossicazione democratica e conservatrice delle masse proletarie.

 

Proletari,

Lo sviluppo del capitalismo e lo sviluppo storico della lotta di classe fra proletariato e borghesia hanno dimostrato alla borghesia che i metodi della democrazia sono i più efficaci per la difesa del suo potere. Ciò non esclude che la borghesia, in molti paesi, e in periodi diversi, sia stata indotta ad utilizzare metodi da dittatura militare o paramilitare, cosa che ha comunque alimentato il “bisogno” di democrazia, e quindi la propaganda in questo senso, come è avvenuto anche nel recente periodo cosiddetto della “primavera araba”.  I metodi della democrazia, che illudono le masse proletarie di poter rappresentare con efficacia i propri interessi nelle istituzioni borghesi, in modo pacifico e appellandosi a carte costituzionali e a diritti sanciti dalle leggi esistenti (naturalmente “migliorabili”) che dovrebbero essere rispettati anche dalla “controparte” borghese, non hanno mai escluso l’uso della violenza (consentita naturalmente solo allo Stato, istituzione pretesa al di sopra delle classi) sia per “mantenere l’ordine pubblico”, sia per “far rispettare la legge” che per “difendere la patria” da “aggressori esterni” o da tentativi eversivi “interni”.

Nonostante la democrazia abbia dimostrato continuamente di essere soltanto al servizio della classe dominante borghese e di essere un gigantesco inganno sotto ogni aspetto, ha ancora una presa formidabile sulle masse proletarie. La forza ideologica della democrazia, del pacifismo, della conciliazione interclassista, del collaborazionismo ma anche del nazionalismo e dello “spirito guerriero”, poggia su basi materiali semplici e forti: la vita fisica di ogni essere umano, nella società capitalistica, dipende esclusivamente dall’utilizzo da parte del capitale della forza lavoro salariata. Chi possiede capitale ha in ostaggio, in pratica, la vita di tutti coloro che quel capitale può utilizzare per far profitto; chi possiede solo la forza lavoro, come i proletari, è semplicemente ostaggio dei capitalisti, la sua vita dipende esclusivamente dall’essere sfruttato da un qualsiasi padrone. Il principio democratico, i metodi democratici e i mezzi democratici che le classi borghesi propagandano e adottano per mantenere il proprio dominio nei rispettivi paesi, non fanno che mascherare questa cruda realtà illudendo le classi subalterne di poter agire politicamente o culturalmente “alla pari” con le classi dominanti contando solo sul numero di potenziali voti che rappresentano.

La democrazia, l’elezionismo, il parlamentarismo sono tutte espressioni che mistificano la realtà dei rapporti di produzione e dei rapporti sociali esistenti; questa mistificazione trova una sua specifica espressione nella conciliazione interclassista attraverso la quale borghesi e opportunisti sostengono di poter superare l’antagonismo di classe su cui si fonda, fin dalla sua nascita, la società borghese. Tale mistificazione è funzionale per il dominio sociale borghese sia in periodo di pace che in periodo di guerra; anzi, affermiamo senza alcun dubbio che, nella fase imperialista dello sviluppo capitalistico, dato l’alto grado di militarismo raggiunto e il costante confronto militare nelle diverse zone del mondo tra le varie potenze concorrenti, il periodo di pace è preparatorio del periodo di guerra. E’, infatti, nel periodo di pace che la borghesia allena il proletariato ai sacrifici della guerra futura, sia ideologicamente con la propaganda nazionalista, sia aumentando il dispotismo aziendale e sociale, sia attraverso i propri eserciti e le continue “missioni militari” in zone di guerra che sembrano sempre lontane ma che in realtà anticipano quel che prima o poi, se la rivoluzione proletaria non la ferma in tempo, si presenta come una guerra generale e mondiale.

Il nazionalismo è parte integrante dell’ideologia borghese e il fatto che tradizionalmente siano le forze politiche di destra e di estrema destra a farsene maggiormente carico non significa che le altre forze politiche ne siano esenti. Basti l’esempio dei crediti di guerra votati dalla stragrande maggioranza dei partiti socialisti nel 1914 a difesa della “patria” o l’esempio della partecipazione al secondo macello imperialistico del 1939-45 da parte della Russia cosiddetta “comunista” e dei partiti, ad essa legati, nelle formazioni resistenziali in difesa della democrazia borghese, per dimostrare che la borghesia è guerrafondaia non perché di “destra” o di “sinistra”, ma perchè è borghesia, è classe che non può vivere se non nella lotta di concorrenza e, quindi, aggredendo i concorrenti ai quali togliere quote di mercato e territori economici: aggressioni sul piano commerciale, su quello monetario, politico, diplomatico, finanziario o militare non sono che facce della stessa medaglia. Allo stesso modo, sono facce della stessa medaglia borghese i governi di destra o di sinistra che imperniano la loro politica nella difesa degli interessi nazionali. Il nazionalismo, d’altronde, facendo parte dell’ideologia borghese e rispondendo alla necessità di unire tutte le forze sociali in difesa dell’interesse borghese nazionale, oltre che tendere a superare gli antagonismi di classe fra borghesia e proletariato tenta anche di superare le divisioni tra le diverse fazioni borghesi e, nello stesso tempo, all’interno della classe proletaria. Ecco quindi che, anche su questo terreno, la borghesia mobilita tutte le forze sociali, e in particolare le forze dell’opportunismo riformista e collaborazionista, affinché nella “difesa della patria” il proletariato veda il prolungamento della “difesa dell’azienda” e della “difesa del posto di lavoro”, quindi la difesa della sua vita fisica e sociale.

 

Proletari,

ad un futuro di sacrifici, di lacrime e sangue, di fame e di miseria che la società borghese sta preparando, e che è già in parte la situazione presente in Grecia, in Portogallo, in Spagna e sta arrivando in Gran Bretagna, in Italia e in Francia, per non parlare della situazione di estrema crisi in cui sono piombati i paesi arabi che hanno conosciuto lo scorso anno le gigantesche mobilitazioni contro regimi autoritari a corrotti, o della situazione di durissima repressione militare che stanno vivendo le masse in Siria o di guerra in Sudan e in Afghanistan, o di post-guerra come in Iraq; ad un futuro in cui il dispotismo sui posti di lavoro e nella vita sociale si sta trasformando sempre più in un dispotismo poliziesco, sebbene ammantato da una democrazia sempre più blindata, il proletariato ha potenzialmente un’arma formidabile nelle proprie mani e che la storia delle passate lotte di classe e rivoluzioni ha dimostrato essere l’unica a poter contrastare e vincere l’offensiva borghese: la lotta di classe portata fino in fondo, fino allo scontro rivoluzionario con la classe borghese per conquistare il potere politico centrale spezzando lo Stato borghese e instaurando la propria dittatura di classe. L’obiettivo storico della rivoluzione proletaria non è fine a se stesso: il proletariato non si ferma a sostituire il potere della classe borghese con il proprio potere di classe. Il proletariato, proprio perché è la classe dei lavoratori salariati e senza riserve, espropriato di qualsiasi mezzo di produzione e del prodotto sociale che risulta dal suo lavoro, lotta per la propria emancipazione dalla schiavitù del lavoro salariato e, lottando per questo obiettivo, lotta in realtà contro il fondamento della struttura economica del capitalismo, contro le basi stesse della società borghese, per cambiare da cima a fondo la struttura economica della società avvenire in cui al centro dell’attività umana non sia più la produzione di merci, di profitto capitalistico e la valorizzazione del capitale, ma i bisogni di vita dell’uomo: la società divisa in classi ha fatto il suo tempo, e i suoi disastri, è tempo di seppellirla e sostituirla con la società di specie in cui ogni uomo darà secondo le sue capacità e riceverà dalla società secondo i suoi bisogni.

Il futuro che la borghesia prospetta a se stessa e al proletariato è la continuazione della società divisa in classi in cui la stragrande maggioranza degli uomini sono ostaggio dei possessori di capitale, forza lavoro a disposizione per accrescere il valore del capitale in un ambiente sociale dominato dal mercato, dallo scambio di valori, dai contrasti dei centri di potere economico, politico e militare che sono al servizio della conservazione capitalistica; e non ha alcuna importanza se i proletari si spaccano la schiena per un tozzo di pane, se lo sfruttamento del lavoro umano non ha limiti nei confronti degli adolescenti e dei bambini o delle donne, né se le istituzioni non si occupano in modo adeguato degli ammalati, dei disabili, degli anziani, o se decine di migliaia di esseri umani muoiono di fame, di malattia, di infortunio sul lavoro o a causa delle continue guerre che le fazioni borghesi si fanno in ogni angolo del mondo. La forza lavoro salariata è una merce che, al pari di tutte le merci, è sottoposta alle leggi del mercato capitalistico: la sua caratteristica particolare è che, applicata alla produzione capitalistica, genera un pluslavoro che i capitalisti non pagano e che si traduce in plusvalore per le merci prodotte, che è il vero guadagno dei capitalisti. Se non vi fosse estorsione di pluslavoro, e quindi di plusvalore, non vi sarebbe accumulazione capitalistica e valorizzazione del capitale, insomma non ci sarebbe capitalismo. La classe sociale che si appropria di tutta la produzione sociale è la borghesia e difende questa appropriazione con la forza e con ogni mezzo ideologico e di propaganda che ha a disposizione: questo è il “futuro” che la borghesia prospetta in ogni paese.

Il futuro che la borghesia presenta al proletariato è il prolungamento della sua condizione storica di schiavo salariato in condizione permanente, per così dire “eterna”, e di essere considerato sempre degno di vivere solo se ogni giorno si presenta come forza lavoro utile al capitale che la sfrutta alle “condizioni di mercato” che, notoriamente, deprezzano il valore di una merce quando di questa vi è abbondanza di offerta.

Ma il proletariato ha già dimostrato nella sua storia passata che, lottando sul terreno di classe, accettando la lotta sul terreno dell’antagonismo di classe contro tutti gli sfruttatori, organizzandosi per lottare in difesa degli interessi immediati, allenandosi alla lotta anticapitalistica, è in grado di tener testa agli attacchi della classe borghese, è in grado di resistere alla pressione e alla repressione borghese e di tirare da queste esperienze lezioni decisive per la lotta che inevitabilmente prende ad un certo punto le caratteristiche della lotta generale della classe proletaria contro la classe borghese.

 

Il proletariato è portatore storico della lotta di classe che rivoluzionerà la società attuale, ma per compiere questa vera e propria missione per conto dell’intera specie umana esso deve attraversare una serie di passaggi obbligatori che sono: riconquistare il terreno della lotta di classe in difesa esclusiva dei propri interessi immediati, riorganizzare la propria lotta in associazioni economiche che mettano al centro gli interessi di classe proletari al di sopra di ogni divisione generata dall’azione delle forze sociali della conservazione borghese, elevare la lotta di difesa immediata all’altezza della solidarietà di classe e perciò contro ogni istigazione ideologica e pratica alla concorrenza fra proletari, inserire le lotte parziali in un quadro più generale e internazionale utilizzando mezzi e metodi di lotta classisti che rispondono all’inconciliabilità degli interessi fra proletari e borghesi. Il terreno della lotta di classe è il terreno nel quale i proletari comprendono per via pratica quali sono i veri alleati e quali invece i falsi alleati, sperimentando direttamente e concretamente quanto può essere decisiva la propria forza numerica e organizzata se orientata e diretta nella prospettiva di classe.

Su questa prospettiva il proletariato, oltre a ritrovare la propria forza di classe, troverà anche la direzione politica da seguire nello sviluppo stesso della lotta, e quindi il partito di classe che è l’unico organo della lotta classista e rivoluzionaria in grado di guidare il movimento di classe verso gli obiettivi storici posti dalla stessa lotta di emancipazione dal lavoro salariato. Come il proletariato non è in grado di difendersi efficacemente dagli attacchi delle classi borghesi alle sue condizioni quotidiane di esistenza e di lavoro senza organizzarsi in associazioni economiche classiste, così il proletariato non è in grado di sferrare l’offensiva di classe contro la borghesia che usa e userà tutta la forza del suo dominio, dalla pressione economica e sociale alla repressione poliziesca ed armata, senza la guida del suo partito politico rivoluzionario. Il partito di classe rappresenta nel presente il futuro della lotta proletaria, e quindi esprime esso solo, al di là dei flussi e riflussi della lotta operaia, la piena coscienza degli obiettivi storici della lotta di classe e rivoluzionaria. Come rinascerà il movimento di classe proletario così rinascerà anche il potente e compatto partito di classe! La borghesia creando i proletari ha creato nello stesso trempo i suoi seppellitori!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

1 maggio 2012

www.pcint.org

 

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