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Sciopero generale del 14 novembre 2012

Lo sciopero dev’essere un’arma di lotta in difesa esclusiva degli interessi proletari contro gli interessi dei capitalisti, non uno sfogatoio delle tensioni sociali acutizzate  dalla crisi capitalistica!

 

 

Proletari!

 

Di fronte al peggioramento delle condizioni di esistenza, di fronte alla generalizzazione dei licenziamenti, della disoccupazione e dei tagli nei servizi di base come la Sanità, i trasporti, l’assistenza, alla classe operaia si pone inesorabilmente il dilemma: accettare la situazione di miseria in cui la borghesia la sta riducendo o lottare.

Le misure anticrisi, anche se in realtà significano misure antioperaie, non risolvono nulla. Non hanno risolto nulla dopo l’ultima riforma del mercato del lavoro, né dopo i tagli a raffica attuati dal governo e tantomeno risolveranno qualcosa in virtù di ulteriori misure che il governo ha in animo di prendere.

La crisi economica, per la classe borghese, significa una drastica riduzione dei suoi profitti; la concorrenza capitalistica, che parte dalla lotta di un’azienda contro la concorrente per giungere fino allo scontro tra paesi, rende sempre più difficile la ripresa dei profitti che servono ai capitalisti per far sopravvivere il loro sistema economico; ma questa difficoltà si rovescia inevitabilmente e direttamente sulle condizioni di lavoro e di esistenza del proletariato che viene sempre più sfruttato (sfruttamento = maggiore estorsione di tempo di lavoro non pagato). I salari sempre più bassi per i proletari occupati e i licenziamenti in massa corrispondono in generale alle misure più dirette che i capitalisti prendono per cercare di ristabilire le quote di profitto perse nella crisi. Se i servizi di base che servono per la stragrande maggioranza dei proletari vengono tagliati è perché la classe borghese nel suo insieme non intende indirizzare una quota dei propri profitti, già diminuiti a causa della crisi, al sostegno delle condizioni di esistenza dei proletari: di conseguenza, i borghesi, in forza del loro sistema economico, condannano una parte sempre crescente di proletari alla miseria.

Non si tratta della migliore o peggiore gestione governativa, ma delle pura necessità della classe borghese di fronte alla concorrenza selvaggia generata dall’economia capitalistica nel mondo; la crisi economica mondiale, riversatasi in ogni paese, non ha fatto che aggravare la situazione per ogni economica nazionale. E, ovviamente, le economie più deboli, come in Irlanda, in Portogallo, in Grecia, ma anche in Spagna e Italia, subiscono maggiormente gli effetti negativi della crisi; durante la crisi economica la concorrenza capitalistica non scompare, anzi, diventa più acuta, rovesciando sui paesi economicamente più deboli i suoi effetti più disastrosi.

 

Proletari!

 

La classe borghese, come scriveva il Manifesto di Marx-Engels, è sempre in lotta: contro frazioni della stessa borghesia in contrasto di interessi e, sempre, contro la borghesia di tutti i paesi stranieri per difendere o accaparrarsi quote di mercato; e contro il proletariato per difendere il proprio dominio sociale e continuare a mantenerlo nella schiavitù salariale, condizione questa che le consente di ricavare dal suo lavoro il massimo dei profitti capitalistici. E’ lo stesso sistema economico capitalistico che impone alla classe borghese di ridurre in miseria le grandi masse proletarie; è il sistema di potere politico borghese che impone alla classe borghese dominante di adottare misure di controllo sociale rigide e dittatoriali che la democrazia formale riesce malamente a velare. Nelle fabbriche, nelle aziende, negli uffici come nella vita sociale quotidiana, ogni lavoratore, ogni proletario vive sulla propria pelle una realtà di precarietà, di insicurezza, di miseria che non trova soluzione in una società interamente indirizzata a salvare non le vite umane ma i profitti del capitale.

Negli ultimi anni, a causa degli effetti devastanti della crisi e dell’influenza ancora dominante delle forze del collaborazionismo sulla grandissima parte del proletariato in ogni paese, è aumentata fra gli operai la demoralizzazione e la titubanza nel reagire con forza e con la lotta classista al peggioramento continuo delle condizioni di esistenza. Ma l’elementare e spontanea reazione a condizioni di vita e di lavoro intollerabili hanno in ogni caso spinto le masse proletarie a manifestare il proprio disagio e malcontento e, spesso, come in Grecia, a scontri di piazza violenti. Ciò dimostra che i conflitti sociali, in aumento, nella società borghese sono inevitabili; la classe borghese è sempre preparata a fronteggiarli: lo Stato, le polizie, l’esercito, i numerosi reparti di funzionari del fisco e della magistratura, sono lì a dimostrare che la borghesia è pronta a difendere i propri interessi di classe con ogni mezzo legale e pacifico, ma anche violento quando il “dialogo tra le parti”, i “negoziati”, i “patti sociali” con le forze che  rappresentano oggi i lavoratori non riescono più a contenere la loro rabbia.

La crisi economica colpisce non solo il proletariato, ma anche altri strati sociali della piccola e media borghesia mandando in rovina bottegai, artigiani, professionisti e le più diverse figure della cosiddetta “classe media” e dell’aristocrazia operaia, strati sociali che esprimono in genere il riformismo sociale, l’interclassismo e le organizzazioni del collaborazionismo. E sono proprio le forze del collaborazionismo sindacale e politico, quelle che più delle stesse forze dichiaratamente borghesi si danno un gran daffare per controllare le tensioni sociali e spegnere ogni possibile incendio provocato dalla situazione insostenibile per le grandi masse proletarie, le ispiratrici di mobilitazioni come quella del 14 novembre.

 

Proletari!

 

Per iniziativa della Confederazione Europea dei Sindacati, il prossimo 14 novembre siete chiamati a scioperare contro le “politiche di austerità”, contro “i tagli alla spesa pubblica” sotto lo slogan “Per il lavoro e la solidarietà”, per un “Patto sociale per l’Europa”. In Italia la Cgil si è fatta portavoce di questi obiettivi dichiarando 4 ore di sciopero, chiedendo un “vero dialogo sociale”, una politica economica “che stimoli un’occupazione di qualità” e “un’ambiziosa politica industriale europea orientata verso un’economia verde”!

Vecchio e irrancidito obiettivo del riformismo più triviale e del collaborazionismo più osceno, il patto sociale è l’obiettivo sotto il quale le forze antioperaie hanno sempre mimetizzato la svendita degli obiettivi di lotta più elementari delle masse proletarie: in una situazione di attacco sempre più violento alle condizioni di esistenza proletarie da parte dei capitalisti e dei loro manutengoli politici al governo e all’opposizione parlamentare, gli opportunisti di ogni risma hanno ancora la faccia tosta di sventolare la bandiera del “patto sociale” dietro la quale non vi è mai stata la reale difesa degli interessi proletari immediati e più generali, ma la reale difesa degli interessi dell’economia aziendale e dell’economia nazionale che oggi, di fronte ad una crisi che è palesemente mondiale, colpisce con durezza sconosciuta alle generazioni del dopoguerra.

Il patto sociale che le forze del collaborazionismo sindacale e politico chiedono ai capitalisti e ai loro governi non è altro che un’ulteriore dichiarazione di resa al vero nemico di classe del proletariato che è la classe borghese dominante: in realtà, è una dichiarazione di resa senza condizioni, perché i capitalisti non solo hanno già fatto passare – con il tacito consenso delle forze riformiste e collaborazioniste – una serie interminabile di misure antiproletarie, ma si stanno preparando a far passare altre misure di austerità ancora più dure fino a quando non si troveranno a dover fronteggiare una vera, solida e compatta forza proletaria organizzata a propria difesa, invece di una massa proletaria demoralizzata, disunita, spezzettata e lacerata internamente da una concorrenza sempre più spietata fra giovani e anziani, fra donne e uomini, fra indigeni e immigrati, fra più istruiti e meno istruiti.

La “risposta” che la Cgil e i sindacati interclassisti come le CCOO o la CGT dicono di voler dare alla politica di auterità dei governi è una risposta utile soltanto a distrarre, disorientare e indirizzare le masse proletarie verso un vicolo cieco, perché ogni loro richiesta di freno allo smantellamento degli ammortizzatori sociali e all’aumento della flessibilità del mercato del lavoro è fatta dipendere da una politica di “crescita economica” e da una ridistribuzione  dei profitti capitalistici seguendo i criteri di una “giustizia sociale” che la società borghese non potrà mai – come ormai dimostrato da più di centocinquant’anni di capitalismo – realizzare.

Crescita economica per il capitalismo significa semplicemente rimessa in moto della macchina produttiva di profitto capitalistico e non esiste capitale al mondo che non rispetti la legge della valorizzazione e, quindi, del profitto: il profitto capitalistico aumenta sia in assoluto che relativamente solo aumentando lo sfruttamento della forza lavoro e, in tempo di crisi – ossia in tempi in cui il tasso di profitto medio capitalistico cade verticalmente perché il mercato è saturo di merci e di capitali – il profitto capitalistico si salva solo a detrimento del monte-salari degli operai.

La “risposta” che i sindacati collaborazionisti danno con questo sciopero – annunciato con grande anticipo in modo che le aziende si preparino e che non va a bloccare i cosiddetti servizi minimi e le produzioni a ciclo continuo – non è la risposta operaia all’attacco frontale della classe dei capitalisti, ma è una mobilitazione che serve soprattutto a quegli stessi sindacati sia per riguadagnare credibilità presso le masse operaie sia per premere sui governi e sulle associazioni padronali affinché tornino a concertare le politiche sociali con loro. La richiesta di un nuovo “patto sociale” serve soprattutto a questo, visto che i governi e i capitalisti sono andati dritti per la loro strada senza concordare con i sindacati ufficiali le mosse da fare!

Lo sciopero generale del 14 novembre, come gli scioperi che l’hanno preceduto, perdipiù di poche ore e di una giornata soltanto, in realtà è una mobilitazione che i sindacati collaborazionisti realizzano in funzione antioperaia poiché nessuna delle richieste che riguardano effettivamente le condizioni di vita e di lavoro delle masse proletarie saranno al centro della loro lotta: il perno intorno al quale tutto deve girare, secondo loro, è la crescita economica, la ripresa dell’economia capitalistica, in altre parole la ripresa dell’economia basata sullo sfruttamento sempre più bestiale della forza lavoro, sulla disoccupazione soprattutto giovanile, sull’abbattimento dei salari, sul peggioramento generale delle condizioni di esistenza della stragrande maggioranza delle masse proletarie.

I sindacati collaborazionisti chiedono ai proletari di scendere in lotta per sostenere la richiesta di un patto sociale il cui contenuto è sempre quello che vogliono i capitalisti, ossia le misure di austerità e di peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro operaie, ma che sia concordato con essi! La “risposta” di questi sindacati non poteva essere più avvelenata!

Gli interessi dei proletari sono del tutto opposti a quelli dei capitalisti e dei loro servi. La retorica stantìa sul “bene comune”, sulla patria, sull’economia nazionale copre la sostanziale  politica antioperaia delle forze del collaborazionismo sindacale e politico contro la quale i proletari prima o poi dovranno insorgere se vorranno finalmente difendere i propri interessi anche soltanto elementari ed immediati. Il cosiddetto bene comune è solo bene per il capitale!

 

Proletari!

 

Per riuscire ad invertire la situazione, per evitare il continuo deterioramento delle proprie condizioni di esistenza, per frenare i licenziamenti e per mantenere i salari ad un livello accettabile rispetto al costo della vita, i proletari devono prendere la lotta nelle proprie mani, devono rompere con le politiche conciliatrici che propongono le direzioni opportuniste dei sindacati e lottare invece eclusivamente in difesa dei propri interessi di classe.

Nel mondo capitalista l’operaio è colui che deve sopportare lo sfruttamento giornaliero per sostenere l’insieme della società, di questa società, del proprio paese che vive sulle spalle del lavoro salariato. Non esistono interessi comuni fra proletari e borghesi per quanto possano darsi daffare, per dimostrare il contrario, le forze dell’opportunismo politico e sindacale.

La lotta proletaria sarà lotta di classe solo se danneggerà in modo significativo gli interessi della classe che detiene la proprietà dei mezzi di produzione e dei prodotti costringendola in questo modo a cedere alle necessità della classe operaia. Per ottenere questo risultato dovranno essere utilizzati metodi e mezzi realmente classisti, come lo sciopero senza preavviso e senza limiti di tempo prefissati, e senza garanzie di servizi minimi, che paralizzi effettivamente la produzione e la distribuzione in modo da esercitare una pressione reale sulla resistenza dei capitalisti; uno sciopero che sia organizzato e difeso dagli attacchi delle forze avversarie mobilitate dai padroni,  dallo Stato o dalle forze dell’opportunismo. Metodi e mezzi di lotta classisti ispirati alla solidarietà di classe pratica, che vedono in ogni conflitto parziale che coinvolge un gruppo di lavoratori una lotta che riguarda tutta la classe proletaria e che, per questo, la faccia propria appoggiando incondizionatamente le rivendicazioni avanzate.

Con questi metodi i proletari non solo combatteranno le conseguenze più feroci dello sfruttamento che soffrono, ma combatteranno anche la concorrenza che quotidianamente sono spinti a farsi uno con l’altro per un posto di lavoro o per un salario e che la borghesia utilizza per mantenerli sotto il proprio dominio. Combattendo questa concorrenza i proletari potranno mantenere, anche se minima, un’organizzazione che serve per lottare contro le agressioni borghesi e per evitare il deterioramento delle loro condizioni di esistenza su tutti i terreni in cui si manifesta, dal posto di lavoro alla sanità.

Lo sciopero deve tornare ad essere un’arma della lotta proletaria, e non uno sfogatoio di tensioni sociali indirizzate dalle forze del collaborazionismo interclasista verso la pace sociale e l’asservimento del proletariato alla classe borghese!

 

Proletari!

 

La crisi capitalistica è ancora lontana dal risolversi.  Ed anche le misure con le quali la classe borghese spera di risolverla sono lontane dall’essere risolutive, ma nel frattempo portano il proletariato alla miseria.

Al proletariato il compito di uscire dalla sua crisi politica e organizzativa: rompendo con la solidarietà fra le classi, lottando contro la politica di unità e di conciliazione nazionale in difesa dell’economia del paese, facendo nacere e sviluppando le sue organizzazioni di classe per la lotta inmediata e preparando attraverso di esse la lotta di classe contro tutti i suoi nemici.

 

- Per la ripresa della lotta di classe!

- Contro la direzione opportunista dei sindacati, i suoi apparati collaborazionisti e i metodi che portano la lotta alla sconfitta!

- Contro qualsiasi solidarietà democratica e interclassista contrabbandata per “unità” operaia!

- Per la difesa intransigente ed esclusiva delle condizioni di vita della classe operaia!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

8 novembre 2012

www.pcint.org

 

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