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Rivolta nel Centro di “ricovero” degli stranieri di Madrid

Di nuovo il proletariato migrante segna la via

 

 

Nella notte tra il 18 e il 19 ottobre scorsi e la mattina del 19, un gruppo di una quarantina di migranti si è ribellato nel CIE [Centro de Internamiento de Extranjeros] di Aluche, a Madrid. Nella notte, forse approfittando della scarsa presenza della polizia nel Centro (impegnata a vigilare sulla partita di calcio del Real Madrid), hanno coperto le telecamere di vigilanza, forzato le porte e sono saliti sul tetto dove sono rimasti per 11 ore sotto la pioggia battente chiedendo ascolto: libertà e dignità di trattamento per tutti coloro che sono incarcerati lì dentro. Questo modo di protestare non è nuovo: riprende il modo di avanzare le proprie esigenze che i detenuti comuni hanno utilizzato in tutto il periodo della Transizione (1), nel carcere di Carabanchel nei cui edifici è stato installato il CIE, oltre che in altri luoghi.

Pochi giorni prima, parecchi migranti incarcerati nel CIE della Murcia erano riusciti a scappare  dandosi alla fuga. Le condizioni di vita in queste autentiche carceri sono terribili: i migranti, portati lì dalla polizia, passano molti mesi rinchiusi senza sapere quando usciranno o se saranno rimpatriati. Oltre ad essere privati della libertà soffrono il freddo dell’inverno e il caldo soffocante dell’estate, ammassati in centri che non sono per nulla attrezzati per garantire condizioni igieniche anche minime. Legalmente, il CIE si situa nel limbo: gli incarcerati non sono colpevoli di alcun delitto, non sono ancora espulsi dal paese, ma sono sorvegliati 24 ore al giorno dalla Polizia Nazionale subendone gli abusi... In queste condizioni, proteste e rivolte, meno clamorose di quella di questi giorni, sono molto più frequenti di quel che raccontano i media.

I CIE sono, soprattutto, un mezzo di coazione utilizzato dallo Stato per intimorire i proletari migranti che non posseggono permessi di soggiorno in regola e quindi contro tutti i proletari immigrati che possono perdere i propri documenti e con essi la loro condizione legale in Spagna. I CIE sono una minaccia costante che pende sulle loro teste: se incappano in qualche controllo di polizia senza documenti, finiscono immediatamente in queste carceri illegali dove, di solito, vengono rinchiusi per diversi mesi senza sapere quale fine faranno.

Durante gli anni di prosperità economica, quando centinaia di migliaia di proletari provenienti dall’America Latina e dall’Africa erano impiegati nei fiorenti settori delle costruzioni, della manutenzione delle infrastrutture, nell’industria agroalimentare ecc., poco o niente si sentiva parlare di CIE. Allora, alle facilitazioni di ingresso nel paese per gli immigrati, secondo i numeri che il capitale esigeva per l’utilizzo nelle proprie imprese, si aggiungeva una regolarizzazione massiccia di tutti i proletari immigrati che, nel 2005, potevano dimostrare di aver lavorato in Spagna per un anno. Ovviamente questa regolarizzazione non fu gratuita: il permesso di soggiorno era subordinato ad un controllo annuale e alla conservazione di un posto di lavoro. Cioè, se non si lavorava, se non si era utili all’economia nazionale, non si otteneva il diritto alla permanenza e si correva il rischio di espulsione. A questo si riduceva il carattere “umanitario” della riforma del Partito Socialista che, secondo le sue affermazioni, cercava di “mettere fine all’immigrazione illegale”. Ma è un fatto che, nonostante ottenessero una regolarizzazione del proprio status legale nel paese, i proletari immigrati continuassero a subire le mille e una umiliazioni quotidiane che il capitale riserva ai suoi schiavi più deboli: arresti arbitrari, ricatti da parte degli imprenditori accettati per non perdere i documenti, contratti fraudolenti ecc. I proletari immigrati erano utilizzati, nel bel mezzo del boom economico, per mantenere bassi i salari, e per introdurre nuove modalità di contrattazione irregolare in settori, come quello delle costruzioni, allo scopo di eludere i limiti che il Diritto del Lavoro impone allo sfruttamento dei proletari autoctoni ecc. Gli immigrati sono stati, e sono, non solo una manodopera a buon mercato, ma anche un mezzo mediante il quale, attraverso un’oppressione brutale e livelli di sfruttamento pesantissimi, il capitale ha cercato di ridurre il prezzo del resto dei lavoratori introducendo così una forte divisione fra proletari autoctoni e immigrati che è servita, e serve, alla propaganda borghese per sostenere che il deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori spagnoli è dovuto all’entrata degli immigrati... che la stessa borghesia ha favorito!

Tutte queste umiliazioni quotidiane, l’intenso sfruttamento, l’oppressione per mano della Polizia e di tutte le istituzioni dello Stato, si sono aggravate con la comparsa della crisi capitalistica. E così i proletari immigrati si sono trasformati in manodopera eccedente rispetto agli affari in netto declino. Il rinnovo del permesso di soggiorno divenne impossibile per coloro che avevano perso il lavoro, e molti si videro costretti ad abbandonare il paese, mentre molti altri furono direttamente espulsi.

Ma per coloro che restarono, la borghesia dispose nuove e più dure misure legali destinate a spaventarli e a mantenerli sotto un rigido controllo. Essi sono sottoposti alle più dure privazioni, portano sulle proprie spalle il peso di una fuga dai loro paesi, nella quale si giocano la vita ogni giorno, sono utilizzati come moneta di scambio a seconda dell’andamento dell’economia nazionale (se va bene, bassa repressione; se va male, repressione più pesante): i proletari immigrati incarnano non solo la realtà più lacerante del proletariato nel mondo capitalista, ma il futuro degli stessi proletari autoctoni che oggi sono lontani dalle proteste e dalle rivolte. Essi segnalano quale sarà la tendenza che si imporrà, presto o tardi, a tutti i proletari: brutale sfruttamento nel posto di lavoro, abbandono alla propria sorte quando si perde il posto di lavoro. La crisi capitalistica che la borghesia afferma di aver superato, ha lasciato dietro di sè un processo inesorabile di liquidazione degli ammortizzatori sociali che permettevano ai proletari di non finire nella miseria, che sempre li ha minacciati. Il ricordo delle garanzie sociali che tendevano a mantenere la coesione sociale secondo la politica di collaborazione fra le classi attuata dai sindacati e dai partiti pseudo-operai, si perde ogni volta che gli ultimi automatismi di queste garanzie saltano. Il famoso “Stato del Benessere” era quello che differenziava i proletari dei grandi centri capitalistici dai proletari del resto del mondo. Questa era la civilizzazione che Europa e America del Nord avevano ottenuto a differenza di Africa, Asia o America del Sud. Oggi, la situazione dei proletari migranti, che sono giunti nelle fortezze imperialiste di Europa e Nordamerica, mostra che il capitalismo mette in atto qualsiasi mezzo pur di superare gli ostacoli che trova sul suo cammino per superare le crisi e per recuperare il livello dei profitti di cui ha bisogno. I proletari di Spagna, Francia, Italia, Germania, Grecia... devono far tesoro dell’esperienza dei proletari che vengono rinchiusi nei CIE, vere carceri illegali, perché hanno perso il lavoro. E’ un’avvertimento da parte borghese che mostra loro quanto valgono realmente per il capitale quando quest’ultimo non ha più bisogno di loro. Non passerà molto tempo perché essi lo sperimentino sulla propria pelle!

La rivolta del CIE di Madrid non è la prima manifestazione di rabbia espressa dai proletari immigrati. Oltre alle decine di limitate proteste all’interno di queste carceri, vanno ricordati i disordini di Salou di un anno fa, quando gli immigrati dediti alla vendita illegale di oggetti si scontrarono per diverse ore con la polizia dopo che questa aveva provocato la morte di uno di loro. E vanno ricordate anche le rivolte nei Centri di Permanenza Temporanea di Ceuta e Melilla, dove gli immigrati vengono internati dopo essere riusciti a oltrepassare la frontiera del Marocco. E i tentativi di organizzazione dei venditori ambulanti a Barcellona, che recentemente hanno costituito un Sindicato de Manteros, fatto che è valso loro una dura repressione da parte dello Stato con il consenso della nuova giunta comunale di Ada Colau.

I proletari autoctoni dovranno ricordare quale risposta i loro fratelli di classe immigrati stanno dando alla situazione particolarmente dura che stanno subendo. Rivolte come quella di Madrid sono certamente atti disperati, ma quando mai accade che la situazione della classe proletaria non si trasformi in una situazione disperata? Da proteste come queste, spontanee, non organizzate e in generale, purtroppo, sconfitte, i proletari devono trarre la lezione che solo con la lotta di classe – cominciando dalla lotta immediata in difesa delle condizioni di esistenza che unisce i proletari di qualsiasi origine – possono migliorare la loro situazione. I rivoltosi di Madrid hanno ottenuto un risultato: farsi sentire; hanno suscitato simpatia fra i proletari e certamente godranno d’ora in poi di qualche miglioramento della loro condizione... Hanno dato un esempio. E sebbene la loro vittoria sia del tutto limitata, temporanea, come tante altre, deve servire alla rinascita della lotta organizzata della classe operaia e al suo rafforzamento, spezzando i lacci della politica collaborazionista che impone loro ogni tipo di sacrificio, proiettandoli verso la miseria e alla cieca accettazione di un destino sempre più oscuro.

 

Per il ritorno del proletariato alla lotta classista!

Per la lotta in difesa esclusiva degli interessi del proletariato!

Per l’unione di classe al disopra di ogni distinzione di razza, nazionalità sesso o età!

Viva la lotta dei proletari incarcerati nei CIE! 

 


 

(1) E’ detto “periodo di Transizione” il periodo che seguì la caduta del franchismo e la formazione della repubblica democratica con la sua nuova costituzione, il suo parlamento, le sue elezioni, i suoi parlamentari ecc.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

19 ottobre 2016

www.pcint.org

 

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