Back

Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                


 

Primo Maggio 2018

La classe dominante borghese e i suoi fiancheggiatori falsamente operai festeggiano un altro anno di alti profitti capitalistici mentre le grandi masse proletarie sono schiacciate nello sfruttamento più bestiale e nella miseria quotidiana

 

 

Proletari!

 

Non c’è bisogno di ricordarvi che le vostre condizioni di esistenza dipendono dal salario che i capitalisti vi concedono o che attraverso la lotta riuscite a strappar loro; non c’è bisogno di ricordarvi che da quando la razza operaia viene al mondo è condannata ad essere forza lavoro a disposizione dei capitalisti, piccoli medi o grandi che siano, nelle imprese private o nel pubblico impiego, perché il modo di sopravvivere che la società capitalistica vi offre è uno solo: vendere la vostra forza lavoro al capitalista che ha interesse a sfruttarla, che nello sfruttarla ci guadagna e ci guadagna sempre di più nella misura in cui organizza il vostro sfruttamento in modo sistematico e  scientifico.

Non c’è bisogno di ricordarvi che nella società capitalistica sono il denaro, il mercato, lo scambio di valori, la compravendita, le categorie economiche che regolano i rapporti umani, e che i rapporti umani sono condizionati all’origine dai rapporti di produzione: nella società divisa in classi, chi ha in mano il potere economico, quindi i mezzi di produzione, ha in mano il potere politico attraverso il quale – Stato, governo, partiti, forza militare – domina l’intera società e, in particolare, mantiene la classe proletaria, che è la classe produttiva per eccellenza, nella condizione di dipendere in tutto e per tutto dal salario, dunque dal Capitale che elargisce il salario solo contro una determinata quantità di lavoro di cui si impossessa quotidianamente. Non c’è bisogno di ricordarvi che ogni capitalista non solo ha interesse a sfruttarvi il più possibile – perché è dal vostro sfruttamento che ricava i suoi profitti – ma ha interesse ad alimentare tra di voi una spietata concorrenza (in parallelo alla spietata concorrenza che ogni capitalista fa con qualsiasi altro capitalista) in modo da rendere molto difficile se non quasi impossibile la vostra organizzazione solidale in difesa dei vostri interessi immediati. Che i vostri interessi immediati siano del tutto opposti a quelli dei capitalisti è una realtà che emerge ogni volta che l’economia capitalistica, di cui ogni azienda è partecipe, per ragioni di mercato e di concorrenza con altre aziende dello stesso settore entra in crisi. La prima cosa che il capitalista fa è di proteggere la sua azienda, la sua proprietà, i suoi profitti, le sue merci, le sue relazioni di mercato, e per questo scopo è disposto ad utilizzare qualsiasi mezzo, non ultimo rovesciare sulla sua manodopera le conseguenze della crisi, licenziando, dismettendo alcune produzioni o chiudendo la fabbrica, adottando la cassa integrazione, delocalizzando la produzione e gli operai, prepensionando, abbattendo i salari e via di questo passo. 

Non c’è bisogno di ricordarvi che i capitalisti, da soli, senza l’aiuto di tutta una serie di fiancheggiatori, di servi, di sgherri, non riuscirebbero a dominarvi anche sul piano politico e sociale. Ai capitalisti, per difendere i loro interessi e le loro proprietà, non basta possedere lo Stato, orientare le decisioni del governo, usare la forza militare in tutte le situazioni di tensione sociale. Dato che la classe operaia, nella storia delle lotte di classe che l’hanno vista combattere per i propri interessi sul terreno dell’antagonismo di classe, ha dimostrato, in determinati periodi storici, di essere in grado di sottrarsi all’influenza delle forze di conservazione borghese e delle forze dell’opportunismo e di organizzarsi non solo sul piano della difesa economica m anahc esu quello della lotta politica e rivoluzionaria, la classe borghese ha tratto delle lezioni di grande importanza per il mantenimento del suo potere politico ed economico. Una di queste lezioni è stata quella, non solo di tollerare le organizzazioni economiche di classe del proletariato su cui poggiava la lotta degli operai contro i capitalisti, ma di penetrare in esse per orientarle in senso riformistico e pacifista fino a stravolgerne gli obiettivi originari di difesa esclusiva degli interessi di classe e a trasformarle in strumenti vitali di conservazione sociale su cui il capitalismo potesse contare soprattutto nei periodi di crisi economica e di regime.

 

Proletari!

 

I sindacati operai che, nel tempo, avevano maturato una grande tradizione di classe, al pari dei partiti operai, potevano rappresentare un elemento decisivo nella lotta di classe rivoluzionaria del proletariato e questo la classe dominante borghese non poteva permetterselo; perciò, dovevano essere conquistati alla conservazione sociale e ci pensarono le forze opportuniste, le forze che vestivano i panni operai ma dirigevano le masse in appoggio ai valori dell’economia aziendale, dell’economia nazionale, della patria, della democrazia, in appoggio a tutto ciò che serviva al capitalismo nazionale per superare le proprie crisi e rimettere in marcia la macchina dello sfruttamento operaio generale. E laddove le masse proletarie non si erano sufficientemente piegate alle esigenze del capitalismo – come di fronte alla prima guerra mondiale e al primo dopoguerra – quelle stesse forze opportuniste erano chiamate ad indebolirle e a sfiancarle in modo tale che se fosse stato necessario schiacciarle con la forza distruggendo i suoi partiti e le sue organizzazioni economiche sindacali, questo compito fosse attuabile. Il fascismo italiano, prima, e il nazionalsocialismo tedesco, poi, dimostrarono che la classe borghese dominante dei diversi paesi può farsi la guerra tutte le volte che la crisi economica e politica del loro sistema sociale lo richieda, ma la sua guerra storica principale era ed è sempre stata la guerra contro il proletariato organizzato, il proletariato che lotta sul terreno di classe guidato dal partito comunista rivoluzionario per la conquista del potere politico e per farla finita una volta per tutte con ogni borghesia, con ogni sistema di sfruttamento capitalistico.

Gli anni della prima guerra mondiale e del primo dopoguerra, dal punto di vista della lotta del proletariato contro le borghesie di ogni paese, poggiando le proprie speranze e le proprie prospettive di emancipazione dalla schiavitù salariale sulla formidabile vittoria della Rivoluzione d’Ottobre in Russia e sul movimento rivoluzionario nei paesi imperialisti più importanti, rappresentarono per ogni borghesia un apice della grande paura, ben più grande di quella che raggelò la schiena delle aristocrazie nobiliari del 1789. La posta in gioco, storicamente, era la vittoria del proletariato rivoluzionario contro la borghesia imperialista in Europa e nel mondo: si apriva un periodo storico in cui le classi dominanti borghesi avrebbero effettivamente potuto essere abbattute, un periodo in cui la classe proletaria internazionale avrebbe guidato la riscossa di classe non solo per se stessa ma anche per tutte le popolazioni ancora schiacciate dal colonialismo imperialista e dall’arretratezza economica.

Quell’occasione storica non fu colta, nonostante le grandi lotte dei proletari russi, tedeschi, ungheresi, polacchi, italiani, inglesi, francesi: le forze opportuniste che si concentrarono poi nello stalinismo, sia come ideologia falsamente socialista e comunista, sia come prassi politica e sociale nazionalista e tricolore, riuscirono ad infettare tutti i partiti rivoluzionari, a partire dal partito bolscevio, riportando il movimento proletario mondiale indietro di ventenni; esse contribuirono, in modo sostanziale, a piegare i proletari di ogni paese, prima alle esigenze di guerra del capitalismo e poi alle esigenze di ricostruzione capitalistica postbellica facendo passare la posizione secondo cui il nemico di classe non era rappresentato dalla classe borghese nel suo insieme, in tutte le sue frazioni, ma solo dalla classe borghese del paese nemico, del paese “fascista”, e che la via d’uscita dalla guerra, dalla violenza, dall’orrore stava nell’appoggiare e nel combattere solo per la democrazia, per il ripristino del parlamentarismo e di una vita politica e sociale non inquadrata dal totalitarismo fascista. I partiti “operai” divennero le colonne portanti delle nuove istituzioni democratiche; i sindacati “operai” divennero le organizzazioni economiche della classe operaia atte a collaborare alla ricostruzione postbellica e alla rinascita economica del paese: in conclusione, il proletariato di ogni paese, dopo aver perso il proprio partito comunista rivoluzionario distrutto e sfigurato dallo stalinismo, perse anche le proprie organizzazioni sindacali col risultato che qualsiasi associazione politica e sindacale che si riferiva al proletariato giurava sulla stabilità capitalistica anche se, oltre cortina, etichettava questa stessa economia come “socialista”.

Soltanto una piccolissima schiera di comunisti rivoluzionari che non piegarono la testa di fronte allo stalinismo, che non vendettero la propria militanza rivoluzionaria per una posizione di carriera, ma che mantennero alta la coerenza e la continità politica con il marxismo – la Sinistra comunista d’Italia – uscì dal disastro mondiale della degenerazione dell’Internazionale Comunista e dello stalinismo sulle posizioni sempre difese fin dalla costituzione del Partito Comunista d’Italia. Questa corrente politica, che non ha nulla a che vedere con coloro che appiccicano a se stessi la targa di partito comunista e che del marxismo autentico hanno fatto strage, oggi, rappresentata da pochissmi elementi che mantengono in vita anche la continuità organizzativa, è del tutto sconosciuta alle grandi masse proletarie. Ma questo, data la situazione di generale depressione del movimento di classe del proletariato, è una dato che non ha mai spaventato i marxisti: la storia si legge non attraverso i grandi o piccoli personaggi, non attraverso il successo numerico del tale o tal altro partito o le folate di moda alla sessantottina, ma attraverso le contraddizioni che si muovono nel sottosuolo della società, attraverso forze che le stesse contraddizioni economiche e sociali del capitalismo producono e alimentano costantemente e che, ad un certo punto di tensione generale, esplodono come un vulcano. I proletari stessi, destinati storicamente a diventare i protagonisti della rivoluzione più tremenda e risolutiva della storia delle società umane, non ne hanno alcuna coscienza: essi posseggono oggettivamente, materialmente, come classe sociale del moderno capitalismo, la forza storica atta a superare ogni società divisa in classi di cui la società capitalistica è l’ultima in ordine di tempo. Essi, al centro dei rapporti di produzione sociali capitalistici, rappresentano contemporaneamente una delle forze di conservazione sociale grazie alla forza lavoro che la borghesia sfrutta allo scopo di valorizzare il capitale e, dialetticamente, l’unica forza rivoluzionaria in grado di chiudere la serie storica delle società divise in classi – la preistoria umana, come affermava Engels - ed aprire all’umanità la via per una società di specie, per una società non più basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sul denaro, sulla merce, sul capitale e sul lavoro salariato; in sintesi, per il comunismo.

La classe dei lavoratori salariati, dei proletari, della classe dei senza riserve, è fondamentale per la vita e la sopravvivenza del capitalismo: lo sfruttamento del lavoro salariato da parte dei capitalisti consiste nell’obbligo di lavoro da parte dei senza riserve se vogliono sopravvivere, e nel fatto che il salario che il capitalista dà al lavoratore contro la giornata di lavoro giornaliero non corrisponde al reale e totale tempo di lavoro da cui il capitalista trae il suo guadagno, ma solo ad una sua parte – quella che corrisponde ai mezzi di sussistenza che l’operaio deve comprare al mercato – mentre l’altra parte di tempo di lavoro giornaliero non pagata costituisce un valore supplettivo, il plusvalore appunto, che il capitalista si appropria direttamente e interamente. Nella misura in cui i lavoratori salariati rimangono nella condizione di lavoratori salariati sotto il dominio della borghesia, e vivono la loro schiavitù salariale giorno per giorno senza mettere in discussione i rapporti di produzione e sociali imposti dalla società capitalistica, essi costituiscono la classe per il capitale. Ma il proletariato non è stato soltanto bestia da soma; esso è stato coinvolto dalla borghesia nella sua lotta contro il feudalesimo, contro le aristocrazie nobiliari, partecipando alla distruzione del potere politico feudale e del modo di produzione feudale per liberare la società dai suoi limiti e dai suoi vincoli economici, sociali e politici, aprendo in questo modo la via all’esaltante progresso economico e sociale che la rivoluzione borghese ha storicamente rappresentato. Ma il capitalismo, pur nel formidabile progresso tecnico e produttivo che ha portato con sé, ha nello stesso tempo – e non poteva fare diversamente – sostituito una società divisa in classi, frammentata e chiusa, con una società divisa in classi più semplice e aperta al mondo; universalizzando il sistema economico capitalistico, imponendo la legge del capitale su tutto il globo terracqueo, il capitalismo ha trasformato buona parte delle grandi masse popolari di contadini e piccolo borghesi in puri proletari, espropriando terre e attività lavorative, generalizzando i rapporti di produzione e sociali capitalistici e, quindi, le condizioni di esistenza dei senza riserve, erigendo una società in cui una piccola minoranza di capitalisti domina sulle grandi masse proletarie e proletarizzate.

 

Proletari!

 

La condizione di schiavi moderni voi la vivete ogni minuto di ogni giorno della vostra vita. Dovete supportare sacrifici di ogni genere per dar da mangiare ai figli, per abitare in una casa decente, per ripararvi dal freddo o dal caldo, per curare le malattie che il più delle volte sono provocate dallo stesso modo di produzione così frenetico e opprimente; subite sistematicamente l’insicurezza del posto di lavoro, e quindi del salario, mentre l’agognato posto di lavoro si trasforma, prima o poi, nella causa dei vostri infortuni, delle vostre morti, delle vostre malattie incurabili. Siete esposti sempre più all’insicurezza della vita e siete messi nelle condizioni non solo di subire impotenti questa situazione, ma anche di non poter fare nulla di decisivo per migliorare complessivamente le vostre condizioni di esistenza. Nella società capitalistica, sotto il dominio della classe borghese, voi dipendete totalmente dagli interessi del capitale: siete niente di più che classe per il capitale, alla sua mercè; voi rappresentate un enorme bacino di forza lavoro dal quale ogni capitalista pesca i lavoratori che gli servono, preferendo ovviamente quelli che si sottomettono al suo comando senza tante storie. Per i capitalisti voi siete la razza operaia, ma siccome ogni schiavo prima o poi si ribella, voi costituite, nello stesso tempo, la forza lavoro necessaria per valorizzare il capitale e la forza lavoro eccedente rispetto al ciclo di valorizzazione del capitale messo in moto azienda per azienda. Perciò oggi trovate lavoro, ma domani potete venire licenziati. E in questa giostra orribile in cui masse umane, di qualsiasi nazionalità, età, genere, provenienza, sono costrette a migrare da una città all’altra, da un paese all’altro, da un continente all’altro soltanto perché cercano di sopravvivere in condizioni meno peggiori dalle quali sfuggono, voi, proletari, senza riserve e senza patria, avete di fronte una sola via d’uscita: la lotta contro le condizioni di schiavitù salariale alle quali siete costretti find alla nascita.

La lotta per la vostra sopravvivenza se non si trasforma in lotta di classe – il cui primo stadio è la difesa degli interessi di classe più generali, è l’organizzazione indipendente di classe riconoscendo l’antagonismo esistente tra capitale e lavoro salariato, è la solidarietà di classe fra lavoratori salariati, è l’unità nella lotta – sarà sempre condizionata dall’interesse che i capitalisti hanno o meno a “salvarne” qualcuno lasciando alla sorte peggiore tutti gli altri. La lotta di classe è l’unica vera risposta della classe proletaria ai problemi di sopravvivenza, ai problemi della disoccupazione, ai problemi dei salari da fame, ma non può decollare e svilupparsi se i proletari non combattono decisamente contro la principale arma che la borghesia usa contro di loro: la concorrenza fra proletari.

Come proletari voi subite gli effetti dei rapporti di produzione e sociali imposti dal capitalismo, e per combattere questi effetti non avete alternative: o vi unite nella lotta di classe indipendente da ogni istituzione borghese, da ogni partito borghese, da ogni organizzazione collaborazionista, o sarete continuamente manovrati per rafforzare – anche quando un sindacato tricolore vi chiama alla “lotta”, quando proprio non può più frane a meno, pena la caduta rovinosa della sua influenza – lo stesso sistema economico sociale e politico che è la causa della vostra miseria, delle vostre condizioni inumane di sopravvivenza.

La lotta di difesa degli interessi immediati proletari che utilizza i mezzi e i metodi della lotta di classe è il primo stadio della rinascita del movimento operaio; il secondo stadio è costituito dalla lotta politica di classe, la lotta nella quale il proletariato si riconosce non soltanto come classe per il capitale che vuole ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro, ma come classe per sé, classe protagonista della storia, classe che attraverso la sua lotta politica e rivoluzionaria può cambiare completamente la società, seppellendo alla fine il modo di produzione capitalistico e la sua difesa reazionaria. In questo cammino, i proletari si scontreranno non solo con i nemici dichiarati, borgehsi e piccoloborghesi, ma anche contro altri proletari che si sono fatti attrarre e inquadrare nelle forze di conservazione sociale. E’ inevitabile che ciò avvenga, perché la classe borghese non cederà di un millimetro sul piano del suo dominio e dei suoi interessi: essa userà tutti i mezzi a sua disposizione, legalitari e illegali, pacifici, e violenti, economici, politici e religiosi; essa userà tutte le forze opportuniste che nel tempo si sono formate, dai vecchi arnesi riformisti e socialdemocratici ai nuovi arnesi operaisti, movimentisti, lottarmatisti come ha già fatto in passato; e ne inventerà di nuovi, come all’epoca del fascismo. Tutto questo può spaventare e paralizzare le masse proletarie, ma la lotta di classe alla quale le masse operaie vengono ad un certo punto spinte materialmente non è il frutto di un piano più o meno diabolico di un gruppo di cospiratori: è lo sbocco di tutte le contraddizioni sociali che si sono sommate nel tempo e, come appunto il magma vulcanico, esplodono con virulenza straordinaria. Perché questo movimento tellurico della società non vada esaurendosi in mille scosse isolate, il proletariato ha bisogno di organizzare le sue forze per poterle indirizzare su obiettivi ben precisi non solo immediati, ma storici. Ed è qui che emerge evidente la necessità di una coscienza di classe in grado non solo di indirizzare il movimento di classe del proletariato, nei diversi paesi, nella lotta specifica contro la propria borghesia, ma di far convogliare le forze proletarie verso gli obiettivi massimi, rivoluzionari che non possono essere che internazionali. La coscienza di classe è rappresentata dal partito politico di classe, dal partito comunista rivoluzionario, fin dai tempi del Manifesto di Marx ed Engels; da un partito che prevede tutto il percorso storico delle lotte sociali e di classe e che, sulla base della teoria del comunismo rivoluzionario (che altro non è che il marxismo), nelle lotte dell’oggi rappresenta gli scopi storici di domani e che, mettendosi alla guida del movimento di classe, è l’unico a poter dare al proletariato di tutti i paesi un’unica direzione, quella rivoluzionaria.

Oggi il proletariato non è pronto nemmeno a lottare in modo efficace sul terreno della elementare difesa dei suoi interesi immediati, e questo lo si deve a più di novant’anni di stalinismo che ha corrotto partiti e organizzazioni proletarie in tutto il mondo, e a più di settant’anni di politica e pratica collaborazioniste da parte dei partiti cosiddetti comunisti e da parte dei sindacati “operai”. La collaborazione tra le classi è la politica della classe borghese nella fase imperialista, è la politica che ha ideato e praticato il fascismo e che è stata ereditata pari pari dalle democrazie post-fasciste. Essa rappresenta la corruzione più profonda che infetta il proletariato, ma la sua resistenza nel tempo dipende dal livello di concorrenza che esiste tra proletari. Combattendo contro la concorrenza tra proletari si combatte contemporanemanete contro la corruzione della collaborazione tra le classe, e si difende in modo molto più efficace l’indipendenza di classe delle organizzazioni proletarie.

Il Primo Maggio, molti anni addietro, non era un giorno di festa, ma un giorno in cui i proletari di tutti i settori, di tutte le categorie, di tutti i paesi proclamavano la volontà e la decisione di lottare uniti contro lo sfruttamento capitalistico e contro il potere borghese che poggia sullo sfruttamento del lavoro salariato. Oggi il Primo Maggio è ormai diventata un’occasione di festa, di concerti, di pacificazione tra le classi: è un inno alla collaborazione tra le classi, è la festa dei capitalisti che si sono impossessati di una giornata che un tempo, come giornata di lotta internazionale, li faceva tremare.

 

Proletari!

 

Non c’è nulla da festeggiare! Mentre masse di migranti muoiono nella traversate del mare, vengono ammassati in campi di concentramento, sfruttati torturati, violentati, ammazzati; mentre la disoccupazione dilaga nei paesi del mito del benessere, l’intensità di lavoro sulle masse occupate aumenta sempre più e il lavoro diventa sempre più precario aumentando inevitabilmente l’insicurezza della vita; mentre le stragi sui posti di lavoro non smettono mai e tendono ad aumentare, ed aumentano le malattie “professionali” a causa della mai controllata nocività delle lavorazioni (come i casi sempre più frequenti di morti per amianto dimostrano); mentre i salari in generale vengono abbattuti rispetto al costo della vita che tende ad alzarsi e la concorrenza tra proletari arriva a livelli di spietatezza mai visti. Mentre succede tutto questo, in un quadro internazionale in cui le guerre di rapina da parte delle potenze imperialiste non hanno mai smesso di essere al centro delle vicende politiche e militari, le condizioni di esistenza proletarie peggiorano sempre più!

I sindacati collaborazionisti declamano la loro “preoccupazione” per questa situazione e si appellano ai governi affinché promulghino qualche riforma che attenui il peggioramento generale delle condizioni dei lavoratori. Come sempre è successo da quando si sono organizzati dopo la fine della seconda guerra mondiale, i sindacati collaborazionisti seguono una scala di priorità nella difesa degli “interessi”: prima di tutto viene la patria, la nazione, la repubblica e la sua costituzione, dunque l’economia nazionale; poi la difesa dell’italianità delle aziende e la loro competitività; poi la produttività del lavoro che si affianca alla necessità della ripresa economica; poi la salvaguardia dei posti di lavoro, non importa con quale salario, compreso il cosiddetto “salario di solidarietà” con il quale i lavoratori si tassano per consentire il mantenimento del posto di lavoro a compagni di lavoro minacciati di licenziamento; poi i contratti nazionali e di categoria, che nel frattempo non vengono rinnovati da tre-cinque-dieci anni; poi i salari, ma per i quali non si possono chiedere aumenti decenti perché la crisi economica ha colpito i profitti di tutte le aziende, compreso lo Stato; poi la disoccupazione giovanile, come problema generale ma per la quale ci vuole la solita riforma...; poi, se poprio non se ne può fare a meno, occuparsi, ma solo idealmente, dei lavoratori più disagiati, come quelli della logistica e dei lavoratori immigrati. Insomma i sindacati collaborazionisti dimostrano ormai costantemente che gli interessi che difendono e per i quali mobilitano, o paralizzano, i propri iscritti, sono gli interessi del capitale e non del lavoro. In quanto sindacati tricolori, sindacati collaborazionisti, non c’è da meravigliarsi. Ma, dato che ogni tanto, o le associazioni padronali, o il governo, rilasciano qualche briciola da dare alle masse, queste burocrazie sindacali, che possono contare sull’appoggio costante dello Stato e delle forze politiche borghesi, continuano a mantenere una certa influenza sul proletariato, pur perdendo credibilità nel tempo.

Ma ai proletari, per difendere le proprie condizioni di esistenza, servono organizzazioni di classe, organizzazioni che rappresentino decisamente gli interessi proletari immediati contro gli interessi borghesi. Queste organizzazioni di classe non nascono dal nulla, nascono dalla lotta dei proletari, da una lotta che rompe i mille lacci che li tengono avvinti agli interessi dell’azienda, della produttività, della competitività, agli interessi dell’economia nazionale. Se non oggi, sarà domani, ma saranno le stesse condizioni materiali di sopravvivenza divenute insostenibili che spingeranno gruppi proletari a reagire, a rompere la pace sociale, a reimpossessarsi dei mezzi e dei metodi della lotta classista che mette al centro esclusivamente la difesa degli interessi proletari.

Da comunisti rivoluzionari sappiamo che le contraddizioni sociali della società capitalistica non basteranno a  far muovere la classe proletaria e ad indirizzare la sua forza contro i baluardi politici, sindacali, organizzativi e militari della sociatà borghese. Ma se non avviene questa rottura sociale, i proletari saranno destinati a subire continuamente una schiavitù salariale che tende a peggiorare le loro condizioni generali. Ci vorrà, perciò, un orientamento di classe, un indirizzo di classe grazie al quale i proletari si ricollegheranno alla loro storia di classe, e questo orientamento ed indirizzo di classe è stato tenuto vivo in tutti questi decenni dal partito comunista internazionale che continuerà in quest’opera che oggi appare priva di risultati immediati, ma che nel tempo si dimostrerà vitale per lo stesso proletariato.

Viva il Primo Maggio rosso!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

1 maggio 2018

www.pcint.org

Top

Ritorno indice

Ritorno archivi