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Rivolte nelle carceri italiane, segnale d’allarme per la borghesia

 

 

La vicenda del covid-19 tiene banco da diverse settimane e non poteva non coinvolgere un settore molto delicato come quello delle carceri.

Sembra che sia stata la notizia della sospensione dei colloqui con i famigliari, prevista dalle misure anti-coronavirus, che abbia fatto scoppiare le proteste in tutta Italia in diversi penitenziari. Ma pensiamo che la paura di pervenire ad un contagio, viste le condizioni precarie e di sovraffollamento cui versano le carceri, che ha visto, tra l’altro un caso, conclamato positivo nel carcere di Modena, sia il vero motivo dell’esplosione della protesta. Gli istituti di pena erano già al limite del collasso per le condizioni disumane in cui vivono i reclusi, con celle sovraffollate e dove i diritti minimi come il servizio sanitario e l’igiene sono precari o inesistenti. In articoli precedenti ci siamo già occupati del problema delle carceri dove si stigmatizzavano le proteste dei detenuti anche molto violente e la costituzione di organismi esterni al carcere in cui amici e parenti sostenevano le proteste dei congiunti, in particolare del carcere di Poggioreale di Napoli.

Questa volta le proteste sono state nazionali e hanno raggiunto livelli di esasperazione clamorosi con sfoghi di rabbia e di violenza che si sono espresse in occupazioni , incendi, distruzioni di interi padiglioni ed infermerie, agenti carcerari presi in ostaggio e con tanto di occupazione stradale e striscioni dei familiari in strada e degli stessi detenuti sui tetti dei penitenziari. In molti casi ci sono stati tentativi di evasione che sono riuscite effettivamente nel circondariale di Foggia.

Il bilancio di questa rivolta è eclatante. A Modena ci sono stati, al momento che scriviamo, una decina di morti. Altre vittime si segnalano in altri istituti di pena, come a Rieti. Le autorità sostengono che questi decessi sono perlopiù causati da overdose, o comunque da cause ancora da accertare. A Pavia i detenuti del carcere di Torre del Gallo hanno preso in ostaggio e picchiato due agenti di polizia penitenziaria. Essi dopo essersi impossessati delle chiavi hanno liberato decine di carcerati. Scontri tra gli stessi carcerati tra chi era contro la protesta e chi pro.

A Napoli, nel carcere di Poggioreale, i detenuti si sono barricati e hanno fatto uscire il personale ferendo lievemente due agenti. La protesta è poi continuata sui tetti del penitenziario con l’appoggio esterno dei familiari, organizzati in un comitato denominato “Parenti e amici dei detenuti del carcere di Poggioreale e di Pozzuoli”, con blocchi stradali e slogan anti governativi al grido di libertà per tutti i carcerati. L’esempio è stato seguito dai detenuti del carcere di Secondigliano, alla periferia della città, con un blocco del traffico. Lo stesso a Bari, dove i familiari dei detenuti che erano riuniti per protesta, gridavano all’indulto, all’amnistia o agli arresti domiciliari.

A Frosinone altri detenuti, circa cento, si barricavano all’interno del carcere incendiando e distruggendo interi reparti. Una risposta  analoga veniva dai detenuti di Alessandria, Vercelli e Palermo. A Melfi erano 7 le persone prese in ostaggio.

I media rilevano, al momento, che le proteste coinvolgano dai 27 ai 29 penitenziari. Il bilancio, ad oggi, sarebbe di 19 evasi, 41 agenti feriti, circa 14 morti tra Modena e Rieti tra i detenuti e danni per 35 milioni di euro.

Il governo – è ovvio – dichiara inaccettabili le violenze di questi giorni, mentre l’opposizione inneggia al pugno di ferro verso chi protesta e disobbedisce. Ma le proteste di questi giorni rimettono sul tavolo la questione del sovraffollamento delle carceri. Per stemperare gli animi il governo ha concesso gli arresti domiciliari a quei detenuti che potevano usufruirne già da prima delle rivolte, l’aumento del numero di telefonate ai parenti per tutti e le mascherine protettive.

Sono, in realtà, palliativi con lo scopo di frenare la rabbia dei proletari detenuti. Nel frattempo, si eseguono spostamenti di detenuti in altri padiglioni o in altre carceri. Le proteste continuano anche in altri istituti di pena al punto che gli inquirenti ipotizzano una regia di pochi elementi che fomenterebbero e dirigerebbero le rivolte. Ma le esplosioni di protesta sono con ogni probabilità spontanee e, semmai, la spinta delle proteste mette in evidenza gli elementi più decisi e determinati.

Col peggioramento delle condizioni generali di vita, le contraddizioni si acuiscono notevolmente spingendo i proletari meno garantiti alla lotta. I proletari all’interno delle carceri subiscono, in più, le vessazioni e le umiliazioni da parte del personale carcerario. Le lettere che sono riuscite a pervenire ai famigliari dei reclusi descrivono un clima ai limiti della sopportazione umana dove, alla carenza delle condizioni igieniche e sanitarie, si aggiungono pestaggi e ricatti.

Mentre il governo  approfitta della ormai conclamata pandemia da coronavirus per militarizzare il territorio e i posti di lavoro, si accentua la pressione sulle condizioni di vita dei proletari soprattutto sugli strati più marginali e meno protetti come sono appunto quelli in carcere.

Il grido di “Libertà, Libertà” che spontaneamente esce dalle celle e dai tetti dei penitenziari si collega idealmente alla protesta, spesso silenziosa, dei proletari schiavi nelle fabbriche e ai disoccupati che vivono di stenti senza una prospettiva per il loro futuro.

Solo la ripresa della lotta di classe potrà mettere in discussione questo sistema economico e politico basato sulla schiavitù salariale, sull’oppressione del proletariato e degli strati più deboli e nullatenenti della società; i proletari in carcere sono le sue vittime maggiori. Le proteste delle carceri di questi giorni sono un campanello d’allarme per la borghesia perché rappresentano, aldilà delle contingenze, un segnale di rottura della pace sociale che potrebbe coinvolgere le masse proletarie spingendole ad imboccare la via della lotta di classe, trasformando i proletari da classe per il capitale a classe per sé, in lottatori esclusivamente per le proprie necessità e per i propri interessi di classe, nella prospettiva rivoluzionaria di liberarsi definitivamente, sotto la guida del loro partito di classe, delle proprie catene per instaurare una società dove non ci sarà più alcuna oppressione e scomparirà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in quanto sarà abolito il capitale e il lavoro salariato, basi di questa bastarda società capitalistica.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

12 marzo 2020

www.pcint.org

 

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