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Election day, una delle tante tappe di un percorso in cui il cadavere della democrazia borghese viene fatto camminare per dare l’impressione di essere ancora viva e di servire a qualcosa

 

 

Il 20 e 21 settembre prossimi, per l’ennesima volta, i proletari sono chiamati ad andare a votare.

Gli ingredienti del piatto che viene offerto alla massa elettorale sono: la conferma della legge costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari, sottoposta a referendum popolare; l’elezione dei presidenti e delle relative giunte di 7 regioni (presidenti che vengono giornalisticamente chiamati da tempo “governatori”, anche se l’ordinamento italiano non prevede questa figura perché le regioni non sono Stati) e l’elezione dei sindaci di circa 1.178 comuni.

Si tratta, quindi, di votazioni politiche, per quanto riguarda il referendum (che si sarebbe dovuto tenere in primavera, ma il Covid-19 ci ha messo lo zampino...), che si è sommato alle votazioni amministrative già stabilite.

Il piatto forte è costituito dal taglio dei parlamentari che, da 945 (630 deputati e 315 senatori) passerebbero a 600 (400 deputati e 200 senatori).

I partiti parlamentari dell’arco costituzionale da anni sostenevano che si doveva snellire il parlamento; varie proposte di legge sono state presentate in parlamento anche più di vent’anni fa, notoriamente dai partiti di cosiddetto centro-sinistra, ma non si sono mai trasformate in decreti di legge. Ora, l’attuale coalizione di governo tra PD e M5S, assurda e inaspettata quanto la precedente M5S-Lega, si è decisa e così, passato il lockdown per Covid-19, il mercato dei consumatori di schede che hanno “diritto di voto” (sono 51.559.898, di cui 4.616.344 all’estero) viene bombardato da migliaia di proclami sia per il sì che per il no al taglio.

Il lato comico della vicenda è che molti rappresentanti politici, parlamentari e non, che fino a ieri erano sostenitori del taglio – il decreto legge sul taglio dei parlamentari, votato in parlamento l’8 ottobre 2019, è passato con larghissima maggioranza –, da mesi hanno iniziato un fuoco di sbarramento contro il sì. La loro motivazione? La riduzione drastica dei parlamentari significa dare un taglio alla democrazia perché il “popolo” non avrà più una vera rappresentanza “dei territori” come l’ha avuta fino ad ora; non è vero che il taglio corrisponda ad un risparmio consistente, perché, per ogni legislatura si risparmieranno al massimo 500mila euro; il parlamento sarà ridotto a un insieme di portavoce dei capibastone – le direzioni dei partiti – e non del popolo elettore, ecc. ecc. Ovvii i motivi dei sostenitori del sì al taglio: il parlamento sarà più efficiente, costerà meno, meno partiti parlamentari meno passaggi parlamentari, meno intralci al lavoro parlamentare e così via.

 

Ma che cos’è il parlamento?

Secondo i dettami costituzionali il parlamento è l’unico organo dello Stato che viene eletto direttamente dal popolo. Chi crede nella democrazia parlamentare crede che il parlamento sia una entità al di sopra di tutto, al di sopra delle classi sociali, al di sopra degli interessi particolari, al di sopra dei contrasti che oppongono sul terreno economico, politico, sociale, religioso, ideologico, i gruppi sociali e i partiti politici perché le sue regole – basate sulla maggioranza – trasformano le camere parlamentari in camere di compensazione dove tutte le proposte, del governo e dei singoli parlamentari, volte al bene del popolo, delle sue esigenze e i dei suoi interessi, vengono amministrate, di volta in volta, col miglior respiro politico possibile...

Qual è invece la realtà?

Il parlamento è, come detto, un organo dello Stato. Ma lo Stato non cade dal cielo; è, da sempre,  l’organizzazione politica della classe dominante, perciò noi comunisti rivoluzionari lo definiamo Stato borghese, perché è la classe borghese, la classe dei capitalisti, dei proprietari dei mezzi di produzione, dei proprietari terrieri, che detiene il potere economico e perciò il potere politico.

Non è un caso che tutte le leggi e le decisioni più importanti che i governi borghesi emanano riportano alla “crescita economica”, che diventa la “questione centrale” da cui tutto dipende, e naturalmente alla buona salute delle imprese, al buon funzionamento delle banche.

Ma crescita economica, per il capitalismo, significa valorizzazione del capitale, significa produzione e riproduzione di capitale e, quindi, di profitto capitalistico. Ma anche il capitale non è caduto e non cade dal cielo: la storia della sua origine, della sua accumulazione e del suo sviluppo è radicata nella storia della proprietà privata, nella storia della lotta tra le classi proprietarie e le classi espropriate e nullatenenti, tra le classi borghesi e le classi proletarie. Proprietà privata e Stato sono due elementi della civilizzazione borghese e capitalistica che sono stati alla base dello sviluppo capitalistico nel mondo, ma che, proprio sulla spinta di questo sviluppo hanno imposto alla classe borghese di costringere le masse contadine e proletarie a lottare al suo fianco contro le vecchie classi padronali e feudali. E’ da allora che le classi popolari sono state “educate” non solo a farsi sfruttare nelle officine e nelle manifatture, ma anche a interessarsi agli elementi-base della politica, a condividere gli ideali di libertà, di eguaglianza e di fraternità con i quali la borghesia rivoluzionaria giustificava le sue ambizioni a diventare classe dominante. La democrazia borghese nasce rivoluzionaria e solo a questa condizione riesce a coinvolgere le grandi masse proletarie e contadine e a farle combattere per abbattere i vecchi regimi. Ma il capitalismo, per le sue caratteristiche economiche di sviluppo, ad un certo punto sfugge al controllo del capitalista che, col tempo, da padrone-produttore diventa sempre più un giocatore di borsa, un compratore/venditore di azioni che, per mantenere il sistema economico che gli ha permesso e gli permette di appropriarsi tutta la produzione sociale e, perciò, per avere tutti i privilegi che da questa appropriazione gli derivano, deve da un lato continuare ad ingannare il popolo, e in particolare il proletariato perché gli fornisce la forza lavoro quotidiana che sfrutta per estorcergli il plusvalore, con i vecchi ideali di libertà, di eguaglianza, di fraternità, in una parola di democrazia, e dall’altro lato deve sottostare alle ferree leggi del profitto capitalistico che, nel corso del tempo, hanno preso totalmente il sopravvento sulla classe borghese tanto da trasformarla in uan classe del tutto superflua, una classe che non ha più nulla di positivo da dare alla società.

I contrasti economici tra gruppi borghesi e tra Stati, le rivalità nazionali, le guerre, gli egoismi nazionali, i razzismi, le diseguaglianze sociali sempre più marcate, le violenze di ogni tipo nella vita quotidiana, le oppressioni, tutto questo costituisce la realtà dell’opulenta società borghese, è la realtà che i borghesi fanno fatica a nascondere e che con la democrazia, con le sue pratiche, con le sue illusioni tentano ancora di far digerire alle masse proletarie come se quella drammatica realtà potesse essere in qualche modo rimediata e superata.

Ieri le elezioni politiche per cambiare governo, oggi un referendum per far passare una legge che in sé non cambia assolutamente nulla per le grandi masse proletarie che continueranno ad essere oppresse, costrette da un vile sistema economico e sociale ad affrontare un’incertezza di vita sempre più profonda e a sottostare ad un modo di produzione che ormai non riesce più a garantire la sopravvivenza ad una parte sempre più grande di popolazione. E non parliamo solo di Italia, perché la democrazia e i suoi orpelli hanno infettato tutto il mondo cosiddetto civile.

Una sopravvivenza che è stata messa a dura prova anche quest’anno, quando è esplosa la pandemia da Covid-19, e che ha svelato la generale incapacità di tutto il sistema capitalistico, a livello mondiale, di prevedere e saper affrontare con la necessaria efficienza una malattia che si è dimostrata, e si dimostra ancora, particolarmente virulenta. I 30 milioni di contagiati nel mondo, secondo le statistiche ufficiali, non sono che un primo step, perché i virologi, pur facendosi la guerra gli uni con gli altri, su una cosa non possono non essere d’accordo: che del Covid-19 possono sapere che muterà continuamente, differenziandosi in ceppi da un continente all’altro se non da un paese all’altro, e che l’impotenza a cui è esposta l’intera società è determinata soprattutto dal diktat dell’economia capitalistica che non si può fermare, pena il disastro completo a livello mondiale. Le grancasse americane, inglesi, francesi, tedesche, cinesi, giapponesi e chi più ne ha più ne metta, intorno alla ricerca spamodica del vaccino anti Covid, non fanno che aumentare le illusioni circa i rimedi a questa pandemia, ma sanno bene che sia i tempi della scoperta di un vaccino efficace sia quelli della sua disponibilità mondiale non sono dettati da priorità scientifiche, ma da priorità capitalistiche di profitto. Anche il vaccino, ammesso che quando sarà pronto sia realmente efficace e non comporti danni collaterali, anche a lunga scadenza che la scienza borghese non è in grado di prevedere in così poco tempo – diventerà un’arma di pressione e di ricatto da parte delle potenze che riusciranno a procurarselo, allo stesso modo di qualsiasi altra arma finanziaria, come qualsiasi arma di guerra.

 

L’election day del 20-21 settembre prossimi è una delle tante tappe di un percorso in cui il cadavere della democrazia borghese viene fatto camminare per dare la sensazione che sia viva e che possa servire ancora a qualcosa.

Al proletariato rimane il compito di scuotersi dal lungo sonno in cui è piombato da decenni e di cominciare a riconoscere il fetore di una democrazia in putrefazione, e di uscire dal girone infernale in cui è piombato riconoscendosi come classe antagonista, come classe che, anche solo per interesse di sopravvivenza, deve lottare con le unghie con i denti non solo contro la classe dei capitalisti, ma contro tutta quella folla di servitori della borghesia che si vestono da rappresentanti dei lavoratori ma che, in realtà, difendono soltanto il loro piccolo, angusto e sporco mestiere, in parlamento e fuori dal parlamento, di opportunisti e collaborazionisti.

Inutile dire che noi siamo sempre stati astensionisti, perché al metodo della democrazia, parlamentare o presidenziale che sia, abbiamo sempre opposto il metodo della lotta di strada e la preparazione rivoluzionaria, ma il vero problema per i proletari, oggi, è quello di riorganizzarsi in quanto proletari, in modo autonomo e indipendente da qualsiasi interferenza borghese e da qualsiasi apparato legato alla borghesia. Solo così, rimettendo al centro della propria lotta e della propria vita gli interessi di classe, i proletari riusciranno a sollevarsi dal drammatico ripiegamento su stessi in cui sono caduti.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

18 settembre 2020

www.pcint.org

 

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