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Pandemia, crisi economica e lotta di classe in India

 

 

SCIOPERO GENERALE

 

Il 26 novembre scorso, l'India ha vissuto senza dubbio il più massiccio sciopero generale della sua storia: all’appello di tutte le Confederazioni e le organizzazioni sindacali (1) con l'eccezione di Baharatiya Mazdoor Sangh legato al BJP, il partito al potere, di organizzazioni contadine e studentesche ecc., 250 milioni di lavoratori salariati sono stati chiamati a uno “sciopero generale industriale panindiano” di 24 ore. L'appello è stato ampiamente seguito, anche se la mobilitazione è stata disomogenea nei 28 Stati che compongono il paese. Secondo la dichiarazione sindacale congiunta:

Gli stati di Kerala, Pondicherry, Odisha, Assam e Telangana hanno indicato una cessazione totale del lavoro. Il Tamil Nadu ha riferito il fermo completo in 13 distretti, mentre nel resto dei distretti industriali erano in corso scioperi. Jharkhand e Chhattisgarh hanno detto che lo sciopero è stato seguito al 100%, anche alla BALCO [complesso industriale statale di produzione di alluminio]. Punjab e Haryana hanno segnalato che, la mattina, gli autobus per il trasporto pubblico su strada non erano usciti dai loro depositi la mattina ” ecc.

Lo sciopero ha colpito banche, trasporti, porti, poste e telecomunicazioni, l’industria petrolifera, le acciaierie, le miniere di carbone e altre, il settore automobilistico, tessile, le piantagioni e molti altri settori.

La piattaforma delle rivendicazioni includeva essenzialmente il ritiro delle recenti leggi anti-operaie, la fine delle privatizzazioni, l'abolizione della riforma delle pensioni, i sussidi ai poveri e a coloro con redditi inferiori alla soglia dell'imposta sul reddito.

Il governo del BJP (partito nazionalista di estrema destra) diretto dal primo ministro Modi  da quando è salito al potere ha perseguito una politica volta ad aumentare il saggio medio di profitto nell’economia adottando diverse misure liberali e anti-operaie. Questa liberalizzazione doveva portare ad un’accelerazione della crescita economica, conformemente col piano strabiliante di fare dell'India, il secondo paese più popoloso del pianeta (1,4 miliardi di abitanti), una delle grandi potenze mondiali. Mentre il valore del suo PIL è salito al 6 ° posto nel mondo, subito dietro la Gran Bretagna e davanti alla Francia, questo risultato è stato contestato da un’agenzia di statistica governativa, la NSSO (2). Ma, soprattutto, se guardiamo al PIL pro capite, l'India è intorno al 130 ° posto nel mondo, all’incirca al livello del Congo (3) - segno della persistente debolezza del suo sviluppo capitalistico La crescita economica dell'India non è riuscita a mantenere le promesse di Modi, al punto che all'inizio del 2020 era già la peggiore degli ultimi 42 anni.

Da quel momento la crisi economica si è scatenata, aggravata pesantemente dalle misure prese dal governo contro il Covid-19. Gli ultimi dati noti mostrano un calo del 20% del PIL nel secondo trimestre e l’FMI, che in primavera stimava che l'India sarebbe stato uno dei pochi paesi a registrare una crescita della sua economia nel 2020, ora prevede un calo senza precedenti pari al 10-11% del PIL.  

 

PROTEGGERE I BURGHESI DAL VIRUS A COSTO DELLA SALUTE DELLE MASSE

 

Quando si è scoperto che la pandemia si era diffusa nei bassifondi e nei quartieri sovraffollati delle grandi città, il governo ha decretato durante la notte un rigoroso confinamento (durerà da fine marzo a luglio). Quasi 20 milioni di lavoratori precari hanno perso immediatamente il lavoro; il 90% della forza lavoro sarebbe impiegata nel “settore informale” con un minimo di copertura sociale, senza diritto all’indennità di disoccupazione e alla pensione di anzianità (4). Molti di questi lavoratori, essendo migranti, non avevano altra scelta che tornare nella loro regione di origine dove potevano sperare almeno in un sostegno familiare. Migliaia di treni e autobus affollati (5), senza alcuna delle misure sanitarie annunciate, hanno rimpatriato milioni di lavoratori nelle campagne. Portavano con sé il virus, ma per i borghesi delle metropoli urbane ciò che contava era allontanare la minaccia per la loro salute rappresentata da queste masse di lavoratori indigenti. E tanto peggio se nelle campagne le strutture sanitarie, già precarie nelle città, sono assolutamente insufficienti! In ogni caso sono disponibili strutture ospedaliere private e perfettamente attrezzate per la borghesia...

I dati ufficiali dei contagiati e dei morti a causa della pandemia non sono credibili: 147.000 morti a fine dicembre mentre, secondo alcuni ricercatori, il numero reale dovrebbe essere moltiplicato almeno per 6, se non altro perché solo una piccola minoranza di morti ha diritto a un certificato di morte. L'India sarebbe quindi il paese che ha pagato il prezzo più alto per la pandemia.

 

LE CONSEGUENZE DELLA CRISI SUI PROLETARI

 

Non ci sono ancora statistiche ufficiali sulla disoccupazione attuale (gli ultimi dati pubblicati a giugno coprono lo scorso anno), ma uno studio di inizio aprile ha stimato il tasso di disoccupazione al 24% (6), in forte aumento in seguito al confinamento. Nel suo rapporto di giugno sulle conseguenze sociali della crisi sanitaria in India, l'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha scritto che da 350 a 430 milioni di lavoratori, colpiti dal confinamento, potrebbero perdere il lavoro, o avere una riduzione delle ore di lavoro e comunque una perdita di salario.

In realtà, le autorità politiche hanno utilizzato il pretesto della crisi sanitaria per raddoppiare gli attacchi alle condizioni proletarie; questi attacchi erano stati a lungo richiesti dai circoli capitalisti nazionali e internazionali che, delusi dalle misure “troppo limitate” del governo Modi, chiedevano una “deregolamentazione” profonda del mercato del lavoro, una “riforma” agraria e fiscale. Gli attacchi anti-operai sono iniziati in diversi Stati amministrati dal BJP decidendo di sospendere “temporaneamente” (da 1000 a 1500 giorni), le norme del codice del lavoro esistente nel settore formale: estensione della durata della giornata lavorativa a 12 ore e settimana di 72 ore (a volte non retribuite come straordinari come in Uttar Pradesh e Gujarat), sospensione della contrattazione collettiva e di vari diritti sindacali e, in Uttar Pradesh, sospensione dell’applicazione dei diritti del lavoro per tutte le aziende per un periodo di 3 anni!

Queste misure avevano provocato una risposta sindacale nella forma di una “giornata nazionale di protesta” lo scorso 22 maggio (i leader sindacali osservavano uno sciopero della fame quel giorno!), nel bel mezzo di un periodo di confinamento. Era già stato convocato uno sciopero generale l’8 gennaio per protestare contro le misure anti-operaie del governo e denunciare il fatto che la “Indian Labour Conference” (riunione centrale della collaborazione di classe) non veniva convocata dal 2015. In effetti, questi giorni rituali di sciopero generale servono come valvola di sfogo per fugare il malcontento dei proletari; non hanno alcun effetto sulla determinazione della classe dominante di intensificare i suoi attacchi contro i proletari e le masse: il governo Modi ha così fatto passare a settembre delle leggi che limitano il diritto di sciopero e “riformano” la sicurezza sociale, per sopprimere i vantaggi di molti lavoratori informali ecc.

 

AGITAZIONE CONTADINA

 

Allo stesso tempo ha promulgato 3 leggi per riformare l'agricoltura al fine di consentire uno sviluppo capitalista accelerato. La cosa più scottante è la fine dei prezzi d’acquisto dei prodotti agricoli garantiti dallo Stato, che provocherà una diminuzione del reddito per i contadini e la scomparsa di tante piccole fattorie non redditizie (I 9 decimi delle piccole aziende avrebbero meno di 0,8 ettari). Queste leggi hanno provocato un’ondata di lotte contadine che si sono accentrate nel movimento “Delhi Chalo” (Andiamo a Delhi): migliaia di contadini si sono diretti verso la capitale per esprimere la loro opposizione alle leggi. Ora sono decine di migliaia ad accamparsi nella periferia di Delhi. La propaganda governativa li accusa di essere “separatisti”, avversari della “indianità”, manipolati da stranieri ecc., non ha avuto presa sul movimento e sul suo sostegno in gran parte dell'opinione pubblica.

Al momento in cui scriviamo, le discussioni sembrano essere sul punto di aprirsi tra le organizzazioni contadine che riuniscono i proprietari terrieri più fortunati, chi dirige il movimento e il governo. Non sappiamo quale sarà il risultato, ma non c'è dubbio che qualsiasi compromesso sarà sulle spalle dei contadini più poveri, per non parlare dei senza terra. La questione agraria è di grande importanza in un paese in cui oltre il 40% della forza lavoro lavora in campagna. La borghesia indiana è pienamente consapevole che uno sconvolgimento delle campagne avrebbe conseguenze disastrose per l'ordine sociale e politico del paese.

La profonda crisi in cui è immersa l'India spinge inesorabilmente i proletari alla lotta. Oltre a questi scioperi generali, negli ultimi mesi si sono già verificate ondate di dure lotte in alcuni settori: in particolare tra gli insegnanti, i lavoratori del cemento e dell’automobile. A questo proposito, la lotta dei lavoratori Toyota a Bangalore contro una direzione di lotta sostenuta dal governo dello Stato di Karnakata è emblematica della combattività dei lavoratori; iniziata all’inizio di novembre contro l'intensificarsi dei ritmi di lavoro, dura tuttora nonostante la serrata della direzione e l'ordine di ripresa del lavoro emesso dalle autorità.

I proletari indiani hanno una lunga storia di lotte operaie; ma finora non sono stati in grado di avere organizzazioni genuinamente classiste per condurre queste lotte o un partito di classe che le guidasse contro il capitalismo, fuori dai vicoli ciechi “popolari” interclassisti e contro le divisioni comunitarie, religiose ed etniche che la borghesia alimenta di proposito per paralizzarli.

È un problema che non può essere risolto dall’oggi al domani, ma la necessità è sempre più pressante, in un momento in cui le tensioni sociali e gli scontri tra classi tendono a diventare esplosivi.

 


 

(1) La più importante è l'INTUC, legato al Congress Party (il principale partito borghese in India) che afferma di avere 33 milioni di aderenti; poi ci sono delle confederazioni legate a vari partiti di sinistra che non hanno di “comunista” che il solo nome, avendo dimostrato la loro devozione allo Stato borghese, come l'AITUC legata al Partito Comunista dell'India (dichiarati 14 milioni di membri) ecc.

(2) Il National Sample Survey Office, che dipende dal Ministero delle Statistiche, ha rilevato che quasi un terzo delle società utilizzate per questo calcolo non esisteva proprio! Per ritorsione il governo ha deciso di abolire la NSSO...

(3) Una pubblicazione dell’FMI secondo la quale il Bangladesh l'avrebbe superata l’anno prossimo ha scioccato la stampa indiana: 5 anni fa il PIL pro capite dell’India era del 25% superiore a quello del suo vicino, generalmente disprezzato per la sua povertà…

(4) Nel 2017-2018, l’85% dei lavoratori era impiegato nel settore informale e il 5% nel settore formale, ma nelle stesse condizioni precarie del primo. Cfr. ILO brief, giugno 2020.

(5) Alcuni sono persino tornati a piedi come hanno mostrato i media e ci sono state vere rivolte di lavoratori affamati.

(6) Cfr. Center for Monitoring India Economy, 7 aprile

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

28 décembre 2020

www.pcint.org

 

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