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Haiti: necessità imperativa della lotta di classe di fronte a una devastante crisi politica e sociale

 

 

STATO DI EMERGENZA E BANDE CRIMINALI AL SERVIZIO DEL POTERE

 

Il 17 marzo il governo haitiano ha dichiarato lo stato di emergenza in vari distretti della capitale per la lotta alle bande, in seguito agli scontri che hanno provocato la morte di 4 poliziotti; ha precisato che questo stato di emergenza potrebbe estendersi nel tempo. Se l’impennata della criminalità negli ultimi mesi è innegabile, in un Paese devastato dalla povertà, bisogna sapere che, per tenere il passo con la collera crescente dei proletari e delle grandi masse, il governo del presidente Jouvenel Moïse non fa ricorso solo alla repressione poliziesca “classica”, ma anche a bande criminali che compiono estorsioni armate e vari crimini: nel 2018 queste bande hanno massacrato più di 70 persone e commesso numerosi stupri nel quartiere Saline della capitale; dal 2018 al 2020 ci sono stati più di 10 massacri commessi da queste bande filogovernative nella capitale, che hanno provocato più di 300 morti. Non c’è dubbio che il governo utilizzerà lo stato di emergenza per rafforzare il proprio potere.

Moïse ha vinto una prima elezione nel 2015, che però è stata annullata a causa di una “massiccia frode”; alla fine è stato eletto nel novembre 2016 – con  circa il 10% dell’elettorato. Il suo mandato sarebbe scaduto il 7 febbraio di quest’anno, ma ha deciso di resistere per un altro anno sulla base di vari cavilli legali.

Sebbene affermasse di essere vicino all’ex presidente americano Trump, ha ricevuto un sostegno inequivocabile dall’amministrazione Biden alle sue pretese di rimanere al potere (così come quello dell’ONU e dell’Unione Europea). Sostenuto dalla maggior parte delle grandi famiglie della borghesia haitiana (oltre che dai capitalisti della Repubblica Dominicana per cui Haiti è il secondo mercato esterno), Moïse aveva beneficiato dell’aiuto dell’amministrazione Obama per arrivare alla presidenza: quel che detta l’atteggiamento dell’imperialismo americano, a prescindere dal presidente in carica, sono soprattutto gli interessi delle imprese americane presenti nelle zone franche del paese dove i proletari sono soggetti ad uno sfruttamento bestiale (1).

Il mandato di Moïse coincide con una grave crisi sociale nel paese; secondo la Banca Mondiale, il 60% della popolazione (stime ufficiali nel 2012) viveva al di sotto della soglia di povertà (reddito inferiore a 2,5 dollari al giorno) di cui il 25% in “estrema povertà” (inferiore a 1,2 dollari al giorno). Secondo un rapporto Onu, quasi un terzo dei bambini è malnutrito: “l'insicurezza alimentare” colpisce 4 milioni di persone (su 11 milioni di abitanti). La disoccupazione e la sottoccupazione colpiscono il 60% della popolazione attiva, l’80% degli occupati è nel settore informale. Gli ultimi dati ufficiali noti danno un’inflazione superiore al 23%, mentre gli aumenti salariali previsti nel bilancio per i dipendenti pubblici sono generalmente molto inferiori. Il salario minimo, che non supera i 3 euro al giorno (250 gourdes), in generale non viene rispettato...

Inoltre, l’economia, che era già in recessione nel 2019, avrebbe dovuto registrare nel 2020 secondo le stime del FMI un calo del PIL del 4%.

Il malcontento provocato da questa situazione sociale catastrofica è stato acuito dalle rivelazioni dello scandalo Petrocaribe: gli aiuti forniti dal Venezuela sotto forma di consegne di petrolio a basso costo sono stati dirottati; nessuno dei progetti pianificati ha visto la luce; tra i 2 e i 4 miliardi di dollari sarebbero finiti, secondo un'inchiesta giudiziaria, nelle tasche di politici, uomini d’affari, ex presidenti e dell’attuale presidente! Queste rivelazioni hanno scatenato nel 2019 numerose manifestazioni, represse violentemente, per protestare contro la corruzione e per chiedere le dimissioni del presidente. Con il parlamento non più in carica dall’inizio del 2020 (non si sono svolte le elezioni legislative), Moïse governa attraverso decreti. Vuole indire un referendum per cambiare la Costituzione e tenere nuove elezioni alla fine di quest’anno - quel che l’opposizione contesta, chiedendo le sue dimissioni.  

 

UNO SCIOPERO GENERALE CON ORIENTAMENTI INTERCLASSISTI

 

All’inizio di febbraio i sindacati riuniti nel “Collectif des syndicats haïtiens pour le Respect de la Constitution de 1987” hanno chiamato i lavoratori ad uno sciopero generale di 48 ore; questo appello, sostenuto dai partiti di opposizione, è stato ampiamente seguito. Le rivendicazioni: fine del clima di violenza e di impunità e la cacciata di Moïse. Il portavoce del Collectif Syndical ha invitato “tutti i settori” del paese a contribuire a porre rimedio alla “crisi sistemica” che colpisce il paese. Ma questa concertazione di tutte le classi può che andare a vantaggio delle sole classi sfruttatrici e a scapito delle classi sfruttate! Infatti la crisi sistemica che colpisce il paese, o meglio che colpisce i proletari e le masse povere, è dovuta al sistema capitalista: senza combattere questo sistema, e associandosi al contrario ai capitalisti, è impossibile porvi rimedio! I proletari haitiani hanno imparato nella loro carne che la democrazia borghese con le sue elezioni non è che una triste commedia, al servizio della classe dominante e dei suoi padrini imperialisti quanto lo fu la dittatura di Duvalier.

La salvezza non può venire da una buona Costituzione e da una “vera” democrazia, dalla sostituzione di Moïse da parte di un politico borghese dalla riconosciuta integrità – gli oppositori hanno così giocato la ridicola farsa di nominare un “presidente di transizione” senza alcun potere: questi borghesi e piccolo borghesi non vogliono soprattutto mettere in discussione il capitalismo e le loro prospettive sono solo trappole destinate a placare la collera degli sfruttati.

Lo sciopero generale ha mostrato la forza dei proletari, capaci di trascinarsi dietro le masse povere; ma ha anche dimostrato che questa forza viene deviata dai partiti borghesi e piccolo borghesi dell’opposizione democratica al servizio del rattoppamento del dominio borghese e del salvataggio del capitalismo haitiano.

È essenziale rompere con questo orientamento imposto al proletariato dai sindacati, agenti di collaborazione tra le classi. L’unica via d’uscita sta nella lotta intransigente in difesa degli interessi di classe dei proletari e delle masse sfruttate, indipendentemente e contro tutte le classi possidenti e i loro servi.

Per resistere al sistema capitalista e nella prospettiva di rovesciarlo, il proletariato di Haiti dovrà intraprendere la via della lotta e dell’organizzazione di classe, staccandosi completamente dall’interclassismo e dalla collaborazione con le forze borghesi – e dovrà trovare l’appoggio del proletariato dei paesi imperialisti che ha la responsabilità di lottare contro le azioni della “propria” borghesia nei paesi dominati.

 


 

(1) Dopo essere sfuggito alle grinfie del colonialismo francese sconfiggendo gli eserciti napoleonici che vennero a ristabilire la schiavitù, Haiti cadde poi sotto il tallone dell’imperialismo americano, che fu in particolare il pilastro della dittatura Duvalier (1957-1986). Il ripristino della democrazia non ha cambiato nulla. Wikileaks ha rivelato gli interventi a tutti i livelli dell’ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, nella sua carica di “delegato speciale” delle Nazioni Unite per Haiti in seguito al terribile terremoto del 2010, e di sua moglie Hillary, segretario di Stato nell’amministrazione Obama, negli affari interni del paese; tra l’altro. Proprio loro si sono opposti all’aumento del salario minimo “in stretta collaborazione con i proprietari delle fabbriche nelle zone franche”. https://www.thenation.com/article/archive/wikileaks-haiti-let-them-live-3-day   Democratici e Repubblicani sono ugualmente partiti filo-imperialisti e antiproletari.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

8 aprile 2021

www.pcint.org

 

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