Back

Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                


 

Assessore della Lega gira per Voghera con una Beretta 22, colpo in canna, pronta a sparare. In un alterco con un cittadino marocchino, ma con documenti italiani, spara e lo uccide

 

 

Mentre stanno venendo fuori, a fatica, notizie su altri episodi di violenze contro i detenuti dopo il caso eclatante di Santa Maria Capua Vetere, come a Melfi e in altre città, per un paio di giorni prende spazio nelle prime pagine dei media il tragico episodio di Voghera in cui un assessore leghista, tale Massimo Adriatici, spara ad un cittadino marocchino, Youns El Boussettaoui, che muore sul colpo.

Tra le varie versioni date dall’assessore stesso (mi ha aggredito, sono caduto a terra, non so come sia partito il colpo), da alcuni testimoni e dal video di una telecamera di sorveglianza puntata sullo spiazzo dove è successa la tragedia, emerge una situazione per la quale non sembra per niente strano che un politico di destra se ne vada in giro armato, pronto anche a sparare se lo reputa “necessario”. Ad esempio, “la Repubblica” del 23 luglio scrive: «nell’Italia degli amministratori pubblici che esibiscono la pistola, il primato spetta a sindaci, assessori e parlamentari leghisti, eccezion fatta, a sinistra, nel 2012, per il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano di Sel, che festeggiò (incautamente) la sua vittoria con alla cintola una calibro 38 special». Chi segue anche solo genericamente le notizie politiche, si ricorderà del sindaco di Treviso, Giancarlo Gentilini, quello che parecchi anni fa fece togliere tutte le panchine dai parchi perché i senzatetto e gli “extracomunitari” non potessero usarle come fossero i loro “letti”,  che rivendicava  il diritto al porto d’armi, come il sindaco di Padova, Massimo Bitonci, anche se non la usarono mai; o del sindaco di centrodestra di Solesino, in provincia di Padova, Elvy Bentani che aveva dotato i vigili urbani di mitragliette e giubbotti antiproiettile, naturalmente «per mantenere l’ordine e la sicurezza nelle strade».

Da alcuni decenni il clima politico da “tolleranza zero” che, in particolare, i politici del centro destra hanno costruito, soprattutto contro gli immigrati che scappavano e che ancora scappano da guerre, repressioni, fame e miseria – considerati tutti, di default, potenziali criminali – ha reso praticamente “normale” che non fossero soltanto le “forze dell’ordine” ad avere il compito di usare la forza e le armi, ma anche qualsiasi “cittadino” che si sente in dovere di difendersi con le armi da eventuali aggressori, in casa o per strada. Poi arriva l’assessore di Voghera, Massimo Adriatici, che se ne va in giro a fare il “giustiziere”, colpo in canna, pronto a sparare. Ed è arrivato il momento che quella pistola l’ha usata.

 

Nel caso specifico, sembra che Youns El Boussettaoui, 39 anni, il giorno prima avesse dato fastidio a qualche avventore di un bar e da quel bar era stato allontanato. L’assessore “sceriffo”, saputa la cosa, è andato a cercarlo (la Repubblica, 23 luglio 2021), lo ha affrontato, Youns ha reagito dandogli una manata, l’assessore è caduto a terra ma ha trovato il tempo e il modo di mirare al petto e sparare. Youns El Boussettaoui cade a terra e muore.

In un primo tempo l’assessore viene incriminato per omicidio volontario, poi l’accusa si trasforma in “eccesso colposo di legittima difesa”, un’accusa ben più lieve che permette al giudice di non mandarlo in prigione, ma agli “arresti domiciliari”. La macchina della giustizia ovviamente è sempre molto cauta quando deve indagare su personaggi politici o sulle forze dell’ordine. Il caso di Genova 2001, con la “mattanza” alla Diaz e a Bolzaneto, lo ha dimostrato chiaramente.

Ma l’assassinio di Youns El Boussettaoui – perché è chiaro che di assassinio si tratta – ha spinto alcuni testimoni a non rimanere nell’ombra e ha mobilitato molti cittadini “italiani-stranieri”, cioè italiani ma di origine marocchina, romena, pachistana, senegalese, afgana, sudamericana, perfino cinese, che hanno manifestato a Voghera, sabato 24 luglio in solidarietà con la sorella di Youns, Fatima. Un cartello portava la foto dei bambini di Youns e la scritta: Papà doveva essere aiutato, non ammazzato!

Ecco, in queste poche parole è condensata la situazione di Youns, che aveva di recente perso il lavoro, e in cui vivono moltissimi immigrati, costretti a subire, oltre la violenza economica in termini di sfruttamento e di lavoro nero sottopagato, e oltre a venire gettati sul lastrico quando non servono ai facili profitti dei padroni, anche l’emarginazione, il dileggio perché stranieri, e a diventare talvolta i bersagli preferiti di “giustizieri” istituzionali o privati. Non c’è come gettare una massa di immigrati nel sottoproletariato, nella condizione di rubare per sopravvivere o di farsi risucchiare dal mondo sporco della droga, per dare ai civilissimi benpensanti italiani argomenti per fare di tutta l’erba un fascio, per trattare gli immigrati come feccia da spazzar via, da lasciar morire in mezzo al mare, da rinchiudere come clandestini in quei veri e propri campi di concentramento a cielo aperto e che servono solo per “identificare” e per “espellere”, non certo per “accogliere” e “integrare”.

 

E’ compito del proletariato, e dei proletari italiani prima di tutto, mostrare a queste masse di immigrati-clandestini di far parte della stessa classe, della classe dei senza riserve, dei proletari, di coloro che per vivere sono costretti a farsi sfruttare fino all’ultima goccia di sudore e di sangue; dimostrare che la vera solidarietà di classe si esprime nella lotta contro i poteri borghesi – non importa di che colore si tingano – perché se la destra ama mostrare i muscoli e le pistole, la cosiddetta sinistra ama nascondersi fra le righe delle leggi, della propaganda buonista e populista, delle chiacchiere su “nessuno deve rimanere indietro” mentre sono sempre di più quelli che vengono respinti, ma punta agli stessi obiettivi: il sacro rispetto delle leggi, la crescita economica, il buon andamento delle aziende… cioè la difesa del capitalismo e del potere borghese garantendone la continuità nel tempo e nello spazio.

 La lotta proletaria di classe, nella quale tutti i proletari si devono sentire coinvolti, stranieri e autoctoni, a qualsiasi nazionalità appartengano, è un obiettivo lontano, visti i disastri prodotti dall’opportunismo e dal collaborazionismo stalinista e post-stalinista. Ma è l’unico obiettivo per cui lavorare e per il quale i comunisti rivoluzionari ci saranno sempre!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

25 luglio 2021

www.pcint.org

 

Top

Ritorno indice

Ritorno archivi