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Contro il green pass obbligatorio per tutti i lavoratori!

 

 

Da tempo le organizzazioni di estrema destra, tra cui emerge “Forza Nuova”, nota formazione fascista, si sono mobilitate cercando di prendere la testa del movimento eterogeneo accomunato dall’opposizione alle misure restrittive con cui il governo ha caratterizzato, in una successione temporale piuttosto stretta, la sua “lotta al Covid-19” che si è incentrata, infine, nella vasta campagna vaccinale formalmente “non obbligatoria”, ma di fatto imposta a tutti i livelli, come l’introduzione del green pass ha dimostrato ampiamente.

Queste misure hanno previsto sanzioni sempre più pesanti nei confronti di coloro che non si vaccinano, a cominciare dai medici e dagli infermieri, per proseguire con il personale scolastico e gli studenti fino ad arrivare, con l’ultimo decreto, alla sospensione del salario per tutti i lavoratori che non possiedono il green pass, dal 15 ottobre reso obbligatorio per accedere al lavoro, al momento fino al 31 dicembre 2021, giorno di scadenza dello stato di emergenza decretato dal governo. Di sicuro, quindi, a questi lavoratori non verrà erogato il salario per due mesi e mezzo: è una multa vessatoria nei confronti di lavoratori che non si vaccinano non perché hanno paura dell’iniezione, non perché sono no-vax per principio, ma perché esprimono con questo rifiuto una profonda sfiducia nella gestione della pandemia e della sanità da parte del governo, in un sistema di imposizione dettato dagli interessi economici delle grandi multinazionali chimico-farmaceutiche e perché percepiscono in queste misure un più forte controllo sociale da parte della classe dominante.

I lavoratori in Italia, secondo le statistiche che comprendono sia i dipendenti che i lavoratori autonomi (le partite iva, per intenderci) sono circa 23 milioni. Di questi, più di 5 milioni e mezzo (dati riferiti dal TG3 dell’8 ottobre scorso), sempre secondo le statische, non si sono vaccinati. La pressione del governo per ottenere la vaccinazione dell’80% della popolazione entro settembre (risultato non ottenuto) e il suo completamento al 100% (come da accordi presi fin dal 2014 con le istituzioni internazionali) entro fine anno, vista l’ampia opposizione di una parte consistente della popolazione alla vaccinazione, si è dotata di uno strumento di ricatto ulteriore che consiste appunto nella sospensione del salario per tutti i lavoratori che non hanno voluto farsi vaccinare. Il fatto di legare questa misura al contemporaneo blocco dei licenziamenti per questi lavoratori è lo specchietto per le allodole con cui ingannare per l’ennesima volta i lavoratori: è la carota promessa dopo aver vibrato la pesante bastonata!

In diverse città, e soprattutto a Roma e a Milano, sabato 9 ottobre, diverse migliaia di persone sono scese a manifestare contro il green pass.

Ciò che ha fatto scalpore in questa giornata è stato l’assalto alla sede nazionale della Cgil a Roma da parte di un gruppo di militanti di “Forza Nuova” sostenuto da un migliaio di manifestanti. Era subito chiaro che questo assalto era stato organizzato, come d’altra parte era stato organizzata un’ iniziativa simile che aveva come obiettivo Palazzo Chigi, il palazzo del governo. Mentre i pochi poliziotti all’ingresso della sede della Cgil venivano facilmente sopraffatti e gli uffici interni della Cgil venivano devastati, Palazzo Chigi era presidiato un po’ meglio e i manifestanti non sono riusciti ad irrompere al suo interno.

Naturalmente tutte le forze democratiche al governo hanno gridato “no alla violenza, da qualsiasi parte arrivi”; chi lanciava moniti contro il fascismo che rialza la testa, chi metteva sullo stesso piano la violenza fascista e quella dei no-tav e dei no-vax, chi tentava di fare un parallelo tra i manifestanti di destra di Roma che gridavano “no gren pass” e i manifestanti guidati dai sindacati di base che gridavano “sindacati servi dei padroni”. Non potevano poi mancare le invettive contro il governo e la ministra degli Interni in particolare per non aver previsto i disordini visto che in piazza a Roma c’erano i militanti di Forza Nuova e i loro capi ben conosciuti dalle questure.

Alla violenza delle misure governative sintetizzate nel “green pass” la folla piccoloborghese, piena di rabbia e mossa da un malessere diffuso, interessata a coinvolgere nelle sue proteste anche i proletari, veniva indirizzata a colpire i simboli che rappresentano quella violenza: il palazzo del governo e il principale sindacato italiano, approfittando dell’imposizione del green pass anche per tutti i lavoratori.

Perché assaltare la sede nazionale di Roma della Cgil? La Cgil, assieme agli altri sindacati Cisl e Uil, si è immediatamente schierata a fianco del governo nella campagna vaccinale e nell’istituzione del green pass; ha condiviso le stesse motivazioni della Confindustria e del Governo in merito alla campagna vaccinale, perché condivide pienamente l’obiettivo della ripresa economica e la rimessa in moto della macchina del profitto capitalistico; non ha organizzato alcuno sciopero contro la sospensione del salario per i non vaccinati, richiedendo invece un patto col governo e i tamponi gratis per i lavoratori non vaccinati. I sindacati si sono dimostrati assolutamente conseguenti nella loro opera collaborazionista e antioperaia, opera che conducono fin dalla seconda guerra mondiale, riducendosi ad essere degli sgherri in tuta da lavoro al servizio dei capitalisti e del potere borghese. Hanno perfettamente ragione i sindacati di base a chiamarli servi dei padroni; nello stesso tempo, l’estrema destra ha gioco facile nell’indicare la triplice sindacale come corresponsabile dell’imposizione del green pass in generale, ma, puntando la propria violenza in particolare contro il sindacato più importante, la Cgil, essa intende minacciare preventivamente il proletariato nel caso volesse reagire in modo indipendente dai sindacati collaborazionisti nelle proprie azioni di lotta e di sciopero. In realtà, l’attacco alla Cgil non è motivato dal fatto di essere un sindacato “di classe”, come era la CGL del 1921-22, che organizzava sul terreno della lotta di classe il proletariato italiano rendendolo permeabile all’influenza del partito comunista rivoluzionario nella lotta per la rivoluzione, ma di essere un sindacato collaborazionista che cala troppo le brache e non difende la “libertà di scelta” dei cittadini, lavoratori, padroni o padroncini che siano.

Ovviamente le forze parlamentari di sinistra e di centro hanno alzato le grida contro “il fascismo”, contro lo “squadrismo”, inneggiando alla democrazia e alla Costituzione, diventano così per l’ennesima volta l’altoparlante degli interessi della conservazione sociale. Ma le stesse forze parlamentari di destra,  Lega e Fratelli d’Italia in particolare, si sentono in dovere di “fare di tutta l’erba un fascio”, ossia di dichiarare di essere contro “ogni” violenza” che venga da “quattro imbecilli” e da “pochi criminali” (Salvini), o da “delinquenti che usano ogni pretesto per mettere in atto violenze gravi e inaccettabili” (Meloni), o dagli anarchici insurrezionalisti o dai No-Tav. Il solito ritornello “contro ogni violenza” – ma non quella dello Stato che invece è da considerare legittima e insindacabile – è cantato di volta in volta da ogni gruppo di politicanti al riparo sotto le grandi ali dello Stato da cui dipendono i loro privilegi di casta, salvo rimestare nel torbido per ottenere un surplus di prebende e di mezzi di pressione a scopi privati.

 

I proletari non si devono far fuorviare dalla grancassa di un “antifascismo” che ha lo scopo di stringere ancor più le catene del lavoro salariato alle esigenze sempre più pressanti del profitto capitalistico; non si devono far fuorviare dagli inni al pacifismo e alla collaborazione interclassista quando la classe dominante, per mezzo dello Stato e di tutte le forze politiche, economiche e sociali a sua difesa, dimostra costantemente di disprezzare la vita dei lavoratori salariati: la dimostrazione più eclatante è data dagli infortuni e dalle morti sul lavoro a causa della sistematica e perenne mancanza di misure di sicurezza; nei soli primi otto mesi del 2021, secondo l’Inail, gli infortuni denunciati sono stati 349.449 (+8,5% rispetto alla stesso periodo del 2020) con ben 772 casi mortali, cioè 3 morti al giorno!!!, e non di Covid-19, ma di sfruttamento del lavoro salariato!

Era evidente fin dall’inizio della pandemia che l’azione del governo borghese – in tutti i paesi – cercava da un lato di tamponare in qualche modo una situazione che si stava aggravando di mese in mese e che stava affrontando in modo caotico e contraddittorio e, dall’altro, di adottare rapidamente delle misure atte a salvare l’economia nazionale e la sua capacità di fronteggiare, se non di battere, la concorrenza delle economie degli altri paesi. Per difendere gli interessi dell’economia nazionale entrata in una crisi più grave a causa della pandemia, il governo – che non a caso equiparava la situazione creatasi ad una situazione “di guerra” – doveva piegare il proletariato alle esigenze immediate del capitalismo nazionale. I capitalisti sapevano perfettamente che la crisi economica, aggravatasi anche socialmente a causa della pandemia,  avrebbe potuto spingere le masse proletarie a ribellarsi perché le loro condizioni di esistenza e di lavoro – già peggiorate notevolmente nell’ultimo decennio – sarebbe diventate ancora più dure. Aumentavano i licenziamenti, e quindi la disoccupazione, come aumentavano la precarietà del lavoro, il lavoro sottopagato e il lavoro nero. E, nonostante il fermo di molte attività in seguito alla “lotta contro la propagazione dell’infezione da coronavirus” e alla chiusura di moltissime aziende, altre aziende continuavano a lavorare a pieno regime sottoponendo i propri operai a ritmi di lavoro e a rischi sempre più gravi.

La crisi economica – aldilà della tanto sbandierata “ripresa” degli ultimi trimestri – ha mandato in rovina anche una fetta non indifferente di piccoloborghesi, nei settori classici in cui essi svolgono la loro attività (ristorazione, sport, turismo, divertimento, concerti, piccola distribuzione), settori che hanno inesorabilmente subito delle batoste. E, come spesso succede, sono questi strati sociali che, attraverso i partiti che danno voce al loro malessere, esprimono per primi la rabbia per la propria rovina sociale. Rabbia che li accomuna e che li spinge a manifestare in piazza; rabbia che si diffonde anche in alcuni strati proletari i quali, non trovando canali classisti in cui convogliarla, si accodano ai piccoloborghesi che, spesso, sono anche i loro “datori di lavoro”. D’altra parte sono gli stessi piccoloborghesi che cercano di coinvolgere i proletari nella propria protesta perché hanno bisogno di rafforzarla e di dimostrare che è “il popolo” a manifestare e a chiedere al governo e ai poteri economici di salvarli dalla rovina.

Ma i proletari, in quanto lavoratori salariati, in quanto senza riserve, la cui vita è in balia di un mercato in cui le disgrazie sono tutte convogliate verso le classi lavoratrici e i profitti e i privilegi verso le classi abbienti e ricche, non hanno alcun interesse da spartire con i piccoloborghesi, e tantomeno con i grandi borghesi. I loro interessi immediati, e tanto più storici, in quanto classe produttrice della ricchezza generale di cui si appropria esclusivamente la classe borghese dominante, rispondono ad un antagonismo sociale che non si sono inventati loro, ma che è generato dal modo di produzione capitalistico ed è sfruttato politicamente e socialmente dalla classe dominante per schiacciare i proletari nella sottomissione perenne alle esigenze del profitto capitalistico. La classe borghese dominante ha in mano sia il potere economico che quello politico, rappresentato dallo Stato, e quindi il potere sociale; poteri che usa per difendere esclusivamente i propri interessi di classe contro gli interessi della classe lavoratrice. In questo modo la lotta antagonista la conduce sistematicamente la classe borghese contro la classe proletaria, e queste ultime misure lo dimostrano per l’ennesima volta. Perché la lotta antagonista del proletariato abbia la forza di rispondere sullo stesso terreno e con gli stessi mezzi violenti della classe dominante borghese deve poter contare sull’organizzazione indipendente di classe del proletariato che è tutta da ricostruire, ma che sorgerà inevitabilmente dalla resistenza che i proletari riusciranno a mettere in campo contro la progressiva pressione e repressione borghese. Una lotta nella quale i proletari dovranno combattere contro la concorrenza che tra di loro viene alimentata appositamente dai capitalisti e dalle forze della collaborazione interclassista, separando gli obiettivi e i mezzi della lotta classista da quelli degli strati sociali piccoloborghesi che influiscono sul proletariato per la loro contiguità sociale: strati sociali che, però, si ribellano contro  “il sistema”, contro la “politica governativa” solo quando rischiano di piombare nella proletarizzazione perdendo la loro posizione sociale e i loro privilegi. I proletari che si lasciano trascinare nella ribellione piccoloborghese perdono non solo l’orientamento di classe – l’unico grazie al quale è possibile difendere i propri interessi immediati – ma anche la forza che potenzialmente posseggono proprio perché lavoratori salariati, perché produttori della ricchezza generale e quindi del profitto capitalistico. 

La democrazia, il riformismo, la collaborazione di classe, sono armi politiche che la borghesia utilizza per attenuare un antagonismo sociale che lo stesso modo di produzione capitalistico genera costantemente – e che la borghesia ribadisce in ogni atto e in ogni attività in tutte le situazioni soprattutto quelle più gravi –; un antagonismo che potenzialmente può mettere in movimento le masse proletarie soprattutto quando le condizioni di esistenza e di lavoro diventano insopportabili.

E’ di questo movimento sociale che la borghesia ha timore, del risveglio del proletariato come classe salariata, del suo agire riconoscendo che l’antagonista sociale non è l’immigrato clandestino, il disoccupato che per disperazione dà fuoco ai cassonetti della spazzatura, o i proletari del paese indicato come “nemico”, ma è la stessa classe borghese di casa che per difendere i suoi privilegi è disposta ad usare qualsiasi mezzo, legale o illegale, costituzionale o anticostituzionale.

L’autoritarismo che la borghesia esprime col pretesto della “lotta al Covid-19” è parte integrante del suo governare; il parlamentarismo e la democrazia con cui è rivestito sono solo un mantello che copre la realtà della sua dittatura di classe. La borghesia dei paesi della civiltà occidentale non ha il coraggio, perlomeno fino ad oggi, di mostrare il suo vero volto totalitario; e non ha interesse di mostrarlo finché il regime democratico riesce a paralizzare le masse proletarie. Usa il volto democratico per continuare ad ingannare le masse proletarie, per deviarne la lotta dal terreno dello scontro di classe al terreno per lei più favorevole, quello democratico e parlamentare. Ma la crisi economica e sociale, anticipata dalla crisi economica di sovrapproduzione che ciclicamente caratterizza tutto il periodo storico dell’imperialismo in cui siamo immersi da cent’anni, si sta avvicinando nuovamente a passi da gigante; perciò la borghesia tende ad accelerare la sue manovre per imbrigliare ancor più il proletariato schiacciandolo sotto il peso delle sue esigenze economiche, politiche e sociali, intossicandolo ancor più col veleno di una democrazia che non ha più alcun ruolo sociale, ma continua ad avere un ruolo politico nel deviare, isolare, frammentare, demoralizzare la massa proletaria.

E così, le reazioni ad un governo, come quello di Draghi che risponde ad una politica di “unità nazionale” sotto la quale imbrigliare una volta di più le masse proletarie, ma che pone come prioritaria, nella situazione di crisi, la difesa del grande capitale, esprimono ancor più, e con violenza, la rabbia degli strati piccoloborghesi che si sentono abbandonati alla loro sorte. E’ su questa rabbia che agiscono le organizzazioni dell’estrema destra; l’hanno sempre fatto e continueranno a farlo. Esse svolgono in realtà un doppio ruolo: da un lato, attirano la rabbia degli strati piccoloborghesi, li organizzano, ne guidano le manifestazioni, danno loro l’illusione che il “nemico del momento” siano i cosiddetti “poteri forti”, idealizzano un “patriottismo” che i poteri forti nazionali non difenderebbero a livello internazionale, sono pronti a sfasciare simboli e vestigia di quelli che ritengono i responsabili della loro rovina sociale; dall’altro lato, rappresentano il pretesto ideologico, e politico, per le organizzazioni “democratiche”, di cementare le masse proletarie sul terreno della collaborazione di classe col pretesto del cosiddetto “antifascismo”, dell’“antitotalitarismo”. Entrambi lavorano per consolidare la conservazione sociale, entrambi aspirano ad una società in cui tutte le classi sociali soddisfino le “proprie” aspirazioni, entrambi difendono il capitalismo nazionale di fronte alla concorrenza straniera, entrambi usano la democrazia per imporsi nell’agone politico come i campioni dell’efficienza economica, dell’abilità politica, della “coesione nazionale”, della difesa delle radici storiche e culturali del paese. Entrambi condividono la politica che ha segnato e segna la vittoria politica del fascismo, nonostante la sconfitta militare nella seconda guerra mondiale: la politica della collaborazione di classe.

Colpire i simboli dell’autoritarismo firmato Draghi è, quindi, diventato l’obiettivo immediato di molti oppositori. Il green pass è certamente uno di questi simboli. Ma ci sono oppositori e oppositori. Gli oppositori piccoloborghesi sono felicissimi quando gli immigrati clandestini vengono reclusi, espulsi, raccolti in campi di concentramento lontani dalla loro vista, rimandati nei paesi da cui si sono imbarcati, magari in Libia sotto le mani degli aguzzini torturatori, o non soccorsi in mare dove annegano a migliaia. L’importante è che tutto questo succeda lontano dai loro occhi e dalle loro case, ma, se si avvicinano troppo, fucili e pistole sono sempre a portata di mano. Sono però felici di poterli sfruttare peggio delle bestie nei campi e nelle officine, sotto ricatto a causa della loro “clandestinità”, costringendoli a vivere in tiguri, baraccopoli e in mezzo all’immondizia. Per essere liberi di condurre la loro meschina vita e di sfruttare il lavoro nero e il lavoro sottopagato a proprio piacimento, queste sanguisughe non amano imposizioni che mettano a rischio i loro sporchi affari. Il fisco lo aggirano grazie a scaltri commercialisti, ma il green pass è difficilmente aggirabile e allora cercano di rafforzare la loro protesta coinvolgendo i proletari. E’ anche contro questo coinvolgimento che i proletari devono combattere.

 

L’esempio dei portuali di Trieste è emblematico: il Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste (Clpt) ha dichiarato di scioperare ad oltranza, a partire dal 15 ottobre, se non viene tolto l’obbligo del green pass non solo per i lavoratori del porto di Trieste, ma per tutti i lavoratori. E’ questa impostazione, decisamente di classe, che gli ha fatto dichiarare che non accetteranno nemmeno i tamponi gratuiti promessi dalle aziende solo per loro purché vadano a lavorare: Non siamo in vendita!, è il grido che accomuna tutti i portuali di Trieste, sia quelli che si sono vaccinati sia quelli che non hanno voluto vaccinarsi.

E’ ciò che dovrebbero fare i proletari in tutte le aziende, di qualsiasi settore, seguendo l’esempio dei portuali di Trieste.

Si vedrà cosa succederà a Trieste il 15 ottobre: i portuali hanno dichiarato che non si muoveranno di un millimetro dal blocco del porto. La polizia che farà?, interverrà con la forza per liberare l’accesso al porto? Sembra che anche molti camionisti che debbono raggiungere il porto non abbiano il green pass, in particolare quelli che vengono dall’estero e che si sono vaccinati con lo Sputnik russo che non è accettato dall’Italia. E’ certo che la tensione si è accumulata in questo ultimo periodo e che il governo si trova di fronte ad un bivio: prendere a mazzate i portuali di Trieste per evitare il blocco del porto, che è tra i più importanti d’Italia, o soprassedere trovando la solita scappatoia della situazione eccezionale?

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

13 ottobre 2021

www.pcint.org

 

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