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Negato il diritto all'aborto negli Stati Uniti d'America

 

 

L'abolizione del diritto federale all'aborto negli Stati Uniti d'America da parte della Corte Suprema ha suscitato sconcerto nel mondo occidentale. Dai partiti più marcatamente socialdemocratici e parlamentaristi ai partiti (autoproclamati) “marxisti” di opposizione si sono levate grida contro questo affronto ai diritti umani, affronto reso apparentemente ancora più grave dal fatto che sia un paese “avanzato” ad aver attuato una simile politica. Noi, dal nostro canto, riteniamo invece che questo sia una conferma delle nostre tesi sulla democrazia e sulla pretesa “civiltà” della società borghese odierna. Se vogliamo andare ad affrontare in modo più organico la questione, però, pare opportuno percorrere una breve storia del diritto di aborto negli USA, con qualche nota sulla situazione in Italia.

Negli USA il diritto di aborto è stato istituzionalizzato sul piano federale dalla sentenza Roe contro Wade, nel 1973. Prima di questa sentenza, l'aborto era regolato dalle leggi di ogni stato in modo indipendente, cosa che rendeva illegale lo stesso in tutti i casi per un gran numero di stati (almeno 30), date le scelte delle amministrazioni locali di tendenza conservatrice e cristiana. Il caso di Jane Roe, pseudonimo di Norma McCorvey, risultò particolarmente importante nello sviluppo del diritto negli Stati Uniti. La donna, nata e vissuta nel cosiddetto profondo sud, sposatasi a 16 anni, decise di intentare causa allo stato del Texas per la sua legislazione antiabortista mentre era in attesa del terzo figlio. L'avvocato difensore dello stato fu proprio Wade, da cui la causa prende il nome. La Corte Suprema degli Stati Uniti, interpellata nel dibattito dopo 3 anni di processi, sostenne che la costituzione degli USA (in particolare il 14° emendamento) doveva garantire la limitazione dell'ingerenza statale sull'individuo anche nell'ambito dell'aborto. Questa sentenza ebbe una portata epocale, costringendo un gran numero di stati a cambiare le loro legislazioni in merito all'aborto e aprendo direttamente la strada al diritto federale d'aborto. In questa storia, si può notare sicuramente come, benché ovviamente vi fossero delle evidenti pressioni sociali, la sentenza sia stata un passo essenzialmente giuridico da parte di una ristretta cerchia di burocrati: possiamo dunque intendere questa liberalizzazione come un processo (come accade spessissimo nel sistema capitalistico moderno) di limitazione degli attriti di classe tramite delle concessioni per l'alleviamento delle fatiche della vita delle proletarie.

Per completare lo scenario, bisogna notare come in Italia si sia parlato, con la legge 194 del '78, di controllo dell'aborto e non di liberalizzazione dello stesso. Le grandi lotte (strumentalizzate dalle varie correnti politiche borghesi) per raggiungere questo risultato, tra caos, opposti referendum, voti in parlamento e comizi contrapposti hanno portato ad un risultato decisamente subottimale, com'è da attendersi dalla legislazione borghese. Inoltre, in Italia la percentuale di obiettori di coscienza è elevatissima, minando in questo modo la possibilità, per le giovani proletarie, di accedere con sicurezza e discrezione all'aborto. La pressione delle famiglie reazionarie, la scarsa accessibilità al servizio e le condizioni generalizzate di difficoltà portano a grandi problemi e a delle evidenti debolezze della legislazione italiana in merito. La questione non è dunque chiusa nemmeno in Italia, e siamo sicuri, come diciamo da più di quarant'anni a questa parte, che «soltanto un potere dittatoriale della classe operaia potrà imporre agli interessi oggi dominanti di non dominare» (1).   

Negli USA, dunque, l'ultima sentenza della Corte Suprema ha ribaltato la sentenza Roe contro Wade, causando un ritorno indietro, dal punto di vista legislativo, di quasi 50 anni. E mentre il trumpismo esulta per il grande risultato conseguito, comincia la polemica dei democratici sulla questione, in un infinito dibattito degno delle peggiori università di teologia del medioevo. Chi paga per queste manovre politiche spregiudicate? Che domande! I 40 milioni di donne in età fertile che vivono ora in stati antiabortisti (rappresentanti il 58% di quelle presenti negli USA, come ricorda il Centro per i diritti riproduttivi), in estrema parte proletarie. Ancora una volta, una questione riguardante anzitutto le condizioni delle donne proletarie diviene un pretesto per dare maggiore forza alle istituzioni democratiche borghesi, alimentando una polemica tra forze che non potranno mai risolvere realmente i problemi e le contraddizioni di questo sistema. Anzi, questa sentenza è ancora una volta la prova di quanto sia fallimentare il sistema della democrazia, di quanto sia solamente uno strumento della classe borghese per portare avanti le sue istanze in barba ad una astratta “volontà popolare”. Il proletariato non potrà mai ottenere delle condizioni di vita realmente umane ed un sistema che guardi ai suoi interessi, se non forgiandolo con la sua rivoluzione classista internazionale: solamente la dittatura del proletariato potrà risolvere le contraddizioni dello Stato capitalista, eliminando le contraddizioni della democrazia insieme alla democrazia stessa.

In che posizione ci mettiamo noi marxisti rivoluzionari, dunque? Come sempre, in quella della continuità e dell'invarianza del marxismo. Noi abbiamo sempre chiesto «l'aborto completamente libero, gratuito, assistito, esteso alle minorenni» (2), ma non nel nome di un misero umanitarismo socialdemocratico. Noi riteniamo che questa sia una rivendicazione complementare a tutte le altre rivendicazioni per il miglioramento della vita delle donne proletarie, dunque «occorre battersi in difesa di tutte le condizioni di vita e di lavoro che assillano le donne proletarie in primo luogo» (ibidem). È un fatto importantissimo che queste rivendicazioni siano intese in senso essenzialmente classista, e non come delle lotte estemporanee e disorganiche: senza questa considerazione, si scade nella mania riformista del borghese, e non si continua nel solco della decisione rivoluzionaria del proletario.

L'azione della Corte Suprema è senza dubbio reazionaria e antiproletaria, perché va a colpire non solo le donne in generale, ma le proletarie in particolare, visto che le donne borghesi, come hanno sempre fatto, se non possono abortire nello Stato in cui vivono, possono permettersi di farlo in altri Stati dell’Unione o addirittura all’estero. Alle donne proletarie rimane l’aborto clandestino, pagato a caro prezzo, spesso con la vita.

Il terreno controrivoluzionario, affermava Marx, è dialetticamente e storicamente anche il terreno rivoluzionario. Così il terreno della reazione più odiosa come quella contro la dignità e il corpo delle donne, diventerà dialetticamente il terreno della  ripresa della lotta di classe negli USA, come in qualsiasi altro paese. Senza un inquadramento di classe del problema, reagire a questa sentenza reazionaria con i soliti e impotenti metodi del dibattito parlamentare, credendo nelle promesse dei democratici e del presidente Biden di venire in aiuto alle donne, significa ricadere nelle illusioni della democrazia borghese, legittimandola per l’ennesima volta.  

Non sarà il voto a cambiare la società, ma solamente la dura lotta di classe. Riferendoci al caso italiano e vedere come il problema sia già stato affrontato dal partito (in relazione al referendum per l’abrogazione della legge 194 in Italia, sopra nominata), possiamo leggere nell’articolo del 1981 citato: «Questa legge, quindi, non va difesa (e andare a votare, sia pure il no, la difende). Essa va rimessa, sì, in discussione, ma dalla lotta delle donne, che va preparata da un lavoro di agitazione, propaganda, organizzazione, in primo luogo nelle fabbriche, nei posti di lavoro, abbracciando non una sola, ma in blocco tutte le rivendicazioni che difendono concretamente le condizioni delle proletarie, poiché solo con il loro apporto fondamentale potrà attuarsi la difesa delle donne in generale».  

Noi non ci associamo dunque al grido di indignazione dei democratici americani, europei, asiatici o africani, perché il nostro grido è uno solo, da quasi due secoli: proletari di tutti i paesi, unitevi! Nel nome di questo motto, prepariamo la riscossa mondiale della classe operaia.

 

PROLETARIE! ORGANIZZATEVI PER CONQUISTARE UN REALE DIRITTO DI ABORTO!

SALARIATI, DONNE E UOMINI, UNITEVI

PER LA RIPRESA DELLA LOTTA DI CLASSE!

VIVA LA RIVOLUZIONE SOCIALE INTERNAZIONALE!

 


 

(1) Cfr. “Aborto: solo con la lotta proletaria, con la sua organizzazione si può agire per gli interessi proletari”, il programma comunista, n. 6/1981 (vedi www.pcint.org., Archivi, il programma comunista 1952-1983).

(2) Ibidem.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

4 luglio 2022

www.pcint.org

 

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