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Strage di Stato a Cutro: ad oggi 67 migranti morti annegati, ma potrebbero essere più di 100.

Sebbene avvertita in tempo per soccorrere il caicco con quasi 200 migranti a bordo, la Guardia Costiera italiana non si muove!

 

 

Nella notte del 26 febbraio, verso le 22:30, un caicco viene avvistato da un aereo di Frontex (Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera) che pattuglia il mare dall’alto. Il caicco, che trasporta quasi 200 migranti nella stiva, si trova a 40 miglia sud-est da Capo Rizzuto, in acque internazionali ma nella zona Sar italiana nella quale l’Italia è tenuta a prestare soccorso. Il mare è molto mosso, ha circa due metri d’onda, ed è in peggioramento, ma le motovedette italiane, sia della Guardia di finanza che della Guardia costiera, possono affrontare senza grossi problemi il mare in quelle condizioni. Perfino il fatiscente e sovraccarico caicco turco, partito da Smirne, ha tenuto il mare, tanto da giungere a poco più di 100 metri dalla costa calabrese di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone, dove però si è schiantato sugli scogli di una secca. Ed è qui che è avvenuta la strage di bambini, donne e uomini.

Dalla prima segnalazione da parte di Frontex alla tragica morte di decine di migranti passano 6 ore: in quelle sei ore la strage di Cutro poteva essere evitata, i migranti potevano essere soccorsi sia dalle motovedette della Finanza, sia dalle motovedette della Guardia Costiera. Le motovedette della Guardia di finanza, pur essendo in grado di prestare soccorso, non l’hanno fatto, sono tornate in porto; le motovedette della Guardia costiera non sono nemmeno partite pur avendo ricevuto l’allarme da parte di Frontex. E’ il centro di Roma della guardia costiera (Mrcc), che dipende dal ministero di Salvini, ad avere l’obbligo di coordinare i soccorsi marini quando un’imbarcazione rischia il naufragio. Ma, a quanto scrive «il Riformista» (1), quel centro di Roma non ha dato alcun ordine di operazione di soccorso. E infatti la Guardia Costiera rimane ferma in porto. «Questo naufragio – afferma Emergency – è frutto di precise scelte politiche» (2).  

Quel che si evidenzia dal comportamento delle autorità responsabili del mancato soccorso in mare è che esse non avevano alcuna intenzione di salvare in mare i «probabili naufraghi», ma di restare in attesa che il barcone arrivasse a riva per mettere in atto la classica operazione di polizia contro immigrati clandestini e scafisti. E’ il mancato soccorso in mare che ha causato la strage. Ad oggi, mentre scriviamo, sono stati trovati 67 cadaveri, 81 persone sono sopravvissute, anche perché sapevano nuotare e sono giunte a riva con le proprie forze.

Le alte autorità, a partire dal ministro degli Interni Piantedosi, sono giunte dopo che la strage era compiuta; naturalmente si sono subito vantate di aver messo le mani su alcuni scafisti e non si sono fatte mancare l’occasione per spargere le loro lacrime di coccodrillo per le decine e decine di morti tra cui molti bambini; e, come ormai da anni, hanno tirato in ballo il ruolo dell’Unione Europea che, sulla questione dei migranti... dovrebbe fare qualcosa di più...

Ma quel che è caratteristico dei cinici politicanti al governo, è che rovesciano la colpa dei morti in mare non solo sugli scafisti ma anche sui migranti stessi che, pur in condizioni di pericolo, si mettono in viaggio lo stesso. Gli scafisti: i colpevoli più facili da trovare, i boia che hanno il compito di ammassare folti gruppi di migranti in barconi fatiscenti portandoli vicino alla costa per poi abbandonarli al loro destino. Ma è chiaro come il sole che il traffico di esseri umani è superorganizzato. Partendo dall’alto, vi sono capi che hanno soldi e una manovalanza senza scrupoli ai propri ordini, che dispongono di luoghi, spesso veri e propri lager, dove tenere i migranti, sfruttandoli, derubandoli, violentandoli per poi ammassarli nei barconi; sono coloro che tirano le fila del business, quelli che organizzano i propri affari sulle disgrazie delle centinaia di migliaia di persone costrette a fuggire dalle guerre, dalle repressioni, dalla miseria, dalla carestia e dalla fame. Sono capi che hanno rapporti e legami con le autorità e i potenti locali: le inchieste in Libia hanno portato alla luce in modo inequivocabile situazioni di questo genere, di cui il governo italiano, non da oggi, approfitta per cercare di tener lontani dalle proprie coste più migranti possibile. Certo, non si può dire che la Turchia sia come la Libia; in Turchia il governo di Erdogan, “accolti” migranti dalla Siria, dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’Iran o dalla Somalia, li sfrutta sia come forza lavoro a bassissimo costo, sia come massa da usare come ricatto verso i paesi d’Europa – ricatto che è andato a buon fine, visto che finora la Germania ha erogato a Erdogan ben 6 miliardi di euro perché i migranti se li tenesse a casa sua. Ma la gran parte di questi migranti cerca di raggiungere i paesi del Nord Europa: Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia o Gran Bretagna. Perciò la Turchia, la Grecia, l’Italia non rappresentano la loro meta finale ma solo un ponte di passaggio. La loro dannazione sta nel fatto che i tempi e le modalità cosiddette legali della loro fuga dalle guerre, dalla miseria, dalla fame, dalla repressione, sono talmente lunghi e farraginosi da non coincidere mai con una sopravvivenza sopportabile nel proprio paese devastato da guerre e crisi. Perciò, la loro stessa condizione di precaria sopravvivenza li rende facili prede delle organizzazioni di trafficanti di esseri umani. Fuggire da quelle situazioni diventa, quindi, l’unica possibilità di vita, e cercano di farlo a qualunque costo; a costo anche della propria vita come succede ormai da più di quarant’anni a questa parte.

Ma qual è la causa delle guerre, delle repressioni, della miseria, della fame da cui fuggono se non un sistema sociale basato sul capitalismo e sulle sue fredde leggi del profitto, se non i regimi politici che difendono questo sistema anche a costo di distruggere case, città, fabbriche, coltivazioni, e di bruciare vite umane?

Dai governi dell’opulenta Europa non ci si può aspettare nulla di buono. E se succede, come nel caso dei profughi ucraini, che vi sia un occhio di riguardo per certi migranti, lo si deve soltanto ad un freddo calcolo di convenienza politica attuale di Stati che, per ragioni imperialiste di potere e di alleanza, hanno interesse ad “accogliere” una massa di migranti che fugge dalla devastante guerra in Ucraina per farne rapidamente forza lavoro a basso costo in paesi con un tasso di natalità in continuo decremento e che hanno bisogno di una forza lavoro già predisposta dalla guerra a piegarsi, senza protestare e senza pretese, alle esigenze capitaliste del paese che la “accoglie”. Meglio se questa forza lavoro è in massima parte femminile, perché ritenuta più docile, soprattutto se composta da madri con figli, visto che gli uomini sono stati forzati a rimanere a “combattere” e a morire per... una patria chel’ha sfruttata e avrebbe continuato a sfruttarla se non fosse fuggita all’estero. Nel trattare i migranti, la borghesia europea, ricca e bianca, applica cinicamente le politiche che meglio di altre difendono i suoi interessi, nell’immediato e nel futuro. Rimane il fatto che non tutte le fazioni borghesi (che normalmente si fanno concorrenza, e guerra, tra di loro) adottano le stesse forme politiche, pur avendo in generale lo stesso interesse capitalistico. Alcune fazioni trovano utile applicare atteggiamenti sociali più concilianti e “umanitari” per ottenere una piena collaborazione di classe e una pace sociale più duratura; altre fazioni preferiscono applicare atteggiamenti sociali molto più discriminanti tra la popolazione autoctona e le masse di provenienza straniera, per difendere con più forza gli strati borghesi di cui sono i rappresentanti, in genere strati di piccola e media borghesia. La differenza tra le varie fazioni borghesi non è poi così netta – salvo la grande borghesia che ha in mano saldamente il grande capitale, perciò il vero potere economico e finanziario del paese, e che scende in campo raramente e in situazioni di grave pericolo per il suo potere –, quindi le diverse politiche economiche e sociali adottate si distinguono non sui nodi di politica economica fondamentali, ma sulle forme più superficiali e più variabili. Ovvio, quindi, che, passando da governi trainati da forze politiche che si vogliono far recepire come riformiste e moderate, a governi trainati da forze politiche che si vogliono far recepire come molto schierate e determinate sul fronte nazionalistico, non solo ideologicamente ma anche praticamente, un tema così ostico come quello del flusso inarrestabile dei migranti è destinato a diventare il nodo intorno al quale il governo stesso gioca tutta la sua credibilità e la sua capacità di mantenere la pace sociale facendo pagare i suoi ulteriori costi in parte ai proletari autoctoni (aumentando la flessibilità del lavoro e, quindi, la sua precarietà, abbattendo i salari ed aumentando il debito pubblico il cui peso ricade sui giovani proletari di oggi e ricadrà sulle generazioni proletarie future), e in gran parte ai proletari immigrati consegnandoli di fatto, in gran parte, al caporalato e alla criminalità organizzata.    

Allora non c’è da stupirsi che un ministro come Piantedosi, di fronte alla strage di bambini causata da un soccorso statale non messo in opera, incolpi i genitori dei bambini che sono morti nel naufragio perché, date le avverse condizioni del mare, non dovevano partire...; o che un ministro come Salvini metta in cima alle sue priorità non il soccorso in mare dei naufraghi, ma il mettere le mani su qualche scafista e incarcerare e rimpatriare i “clandestini”... Nelle loro priorità non rientra certo quel sentimento umanitario che caratterizza ogni buon cattolico e al quale si rivolge insistentemente nelle sue nenie settimanali anche il papa. Sappiamo bene che, per combattere le cause delle guerre, della fame e della miseria da cui a milioni scappano alla ricerca di una sopravvivenza meno disgraziata, la carità non è mai stata e non sarà mai la soluzione; ma in mancanza di uno Stato che utilizzi una parte delle proprie risorse economiche per attenuare le conseguenze disastrose delle guerre e delle crisi economiche e sociali abbattutesi su masse incolpevoli, la carità e l’aiuto “umanitario” appaiono come manna che cade dal cielo e, a livello immediato, effettivamente un po’ di conforto ai derelitti lo portano. Ma gli stessi derelitti, gli stessi profughi, dopo i primissimi soccorsi – se hanno avuto la fortuna di essere stati soccorsi – si ritrovano perlopiù nelle condizioni di sopravvivenza del tutto precaria da cui erano fuggiti, sia sul piano lavorativo (per il quale vengono sottoposti spesso a condizioni di schiavitù o simili), sia su quello di vita quotidiana, quando non subiscono, in più, la discriminazione razziale.

La classe borghese dominante, soprattutto in periodi di crisi economica, si rivela più apertamente per il suo congenito cannibalismo sociale: la sovrabbondanza di masse che hanno perso tutto e che non hanno altro da offrire che la propria disperazione e la propria forza lavoro, mette la borghesia nelle condizioni non solo di sfruttare una parte di quelle masse come forze produttive a minor costo, ma anche di utilizzare le altre masse o come mano d’opera criminale (l’economia criminale è parte integrante dell’economia capitalistica), o come massa di pressione sugli occupati per abbatterne salari e pretese. Se poi una parte di queste masse perde la vita nella sua disperata fuga dalle guerre e dalla fame, allora è una “disgrazia”, una “sfortuna”, se non un “danno collaterale”...

Si celebrano funerali, si filmano i pezzi di legno dei barconi sfasciati, si raccontano le disgrazie di questa “povera gente”, si torna a intonare il solito ritornello del “non deve mai più succedere”; ma, come è successo e succede continuamente di fronte ad ogni tragedia, di fronte alle vite spezzate a causa di un terremoto, di una frana, di un’alluvione, di un grande incendio, di un infortunio sul lavoro, la realtà capitalistica e borghese ripresenta il conto, sempre più salato. Il cannibalismo sociale della società borghese non si ferma mai; per sconfiggerlo bisogna sconfiggere la società borghese, a partire dal suo potere politico. Per quanto questa meta sia lontana, è l’unico obiettivo storico che i proletari hanno come alternativa nella prospettiva del loro futuro. E parliamo di proletari, perché il 99 per cento dei migranti che scappano dalle guerre e dalla fame sono già proletari o lo sono diventati a causa delle guerre e della miseria. Parliamo di proletari perché costituiscono l’unica classe sociale che ha potenzialmente la forza per affrontare, contrastare e vincere la classe dominante borghese. E’ ben vero che la classe proletaria è la classe dei senza riserve, di coloro che non posseggono nulla se non la propria forza lavoro, e anche quando sono riusciti a possedere una casa o un pezzetto di terra ci pensa la crisi economica capitalistica a portarglieli via. Ma è la classe produttiva per eccellenza, è la classe lavoratrice di cui la borghesia – e quindi il capitale – non può fare a meno perché è dallo sfruttamento del lavoro salariato che i capitalisti estorcono il plusvalore che, a sua volta, attraverso il mercato, viene trasformato in profitto. Si tratta, perciò, di una forza virtuale che il proletariato può trasformare in forza cinetica, in reale forza di cambiamento, solo se la dirige verso l’obiettivo opposto a quello della borghesia: verso l’abolizione del lavoro salariato, l’abolizione della società divisa in classi, dunque la distruzione del capitalismo come base sociale del potere dominante borghese e come modo di produzione che mette le esigenze del mercato al di sopra di ogni esigenza della vita umana.

 Finché rimane in piedi il capitalismo, finché il potere politico rimane nelle mani della classe borghese, crisi, miseria, fame, guerre accompagneranno sempre i popoli di tutto il mondo; il futuro che la società borghese prospetta alle grandi masse proletarie del mondo è un futuro in cui aumenteranno i fattori di crisi e di guerra, aumenteranno perciò le migrazioni forzate di interi popoli alla ricerca di un po’ di pace e di un tozzo di pane da mettere sotto i denti. Per masse sempre più numerose nel mondo, questo futuro assomiglia come una goccia d’acqua al loro presente.

La lotta che i migranti mettono in atto per fuggire da un presente di miseria e di fame, e per sopravvivere in un paese in cui non vi siano guerra e miseria, è una lotta che merita di trovare, presso i proletari dei paesi in cui i migranti sbarcano, un sostegno che non si limiti ad un piatto caldo e ad una coperta per scaldarsi, che non si limiti ad un atto di carità che, di per sé, non risolve il gravissimo problema di sopravvivenza che i migranti si portano appresso, ma che rappresenti un sostegno di lotta, un sostegno di classe, perché questi migranti ci stanno dicendo che la loro condizione disgraziata di oggi, la loro vita spezzata, sarà la nostra condizione di domani, sarà la nostra vita spezzata di domani. La loro lotta di sopravvivenza è la lotta di sopravvivenza di ogni proletario, di ogni paese, di qualsiasi nazionalità. E’ una lotta che, oggettivamente, indica contemporaneamente la forza e la debolezza della classe proletaria del mondo. I migranti rischiano tutto, compresa la loro vita, pur di sottrarsi alle conseguenze delle guerre e della miseria; sono solidali tra di loro, insegnano il valore della solidarietà umana, ma la loro lotta inevitabilmente esaurisce la sua carica se non trova nei proletari del paese in cui sbarcano la stessa determinazione nel lottare contro le cause della loro migrazione forzata. Aver sopportato qualsiasi genere di violenza, di tortura, di schiavitù pur di raggiungere un paese dove sentirsi finalmente esseri umani e non bestie da macello, non servirà a molto se non trovano nei proletari dei paesi più ricchi e, al momento, senza guerra in corso, la stessa determinazione a vivere come esseri umani e non come bestie da macello.

Soltanto la lotta classista proletaria, la lotta che mette al suo centro la difesa degli interessi non solo immediati ma anche generali della classe lavoratrice, la lotta che fa sentire ogni proletario parte di un insieme di uomini e donne che vogliono cambiare il destino che la società borghese ha assegnato loro da quando sono nati; la lotta che si alimenta non solo con la volontà di sopravvivere in un mondo che distrugge, uccide, intossica la società umana e l’ambiente naturale, ma con l’organizzazione che non è la semplice somma di tanti individui diversi casualmente nelle stesse condizioni sociali, ma l’unione di forze che si muovono per obiettivi comuni, con metodi e mezzi di lotta comuni, che superano ogni calcolo egoistico e personale. Questa lotta classista può divampare alla condizione che i proletari riescano a superare gli ostacoli che la borghesia ha costruito in decenni e decenni di dominio, primo fra tutti la concorrenza tra proletari, tra proletari autoctoni e proletari immigrati, tra proletari maschi e femmine, tra proletari più istruiti e meno istruiti, specializzati e non specializzati.

E allora la lotta che già oggi può essere fatta deve iniziare proprio da qui, dalla lotta contro la concorrenza tra proletari e devono essere i proletari autoctoni, in questo caso i proletari italiani, a fare il primo passo, a organizzarsi insieme coi proletari immigrati, a lottare per salari equiparati tra autoctoni e immigrati, a lottare a sostegno dell’integrazione degli immigrati e contro ogni loro discriminazione, contro ogni obbligo burocratico che li sottopone ad una pena continua per ottenere un visto, un permesso di soggiorno, una casa in affitto, un posto all’asilo per i loro bambini; a lottare contro il lavoro nero e il lavoro sottopagato e a scendere in sciopero insieme anche quando vengono colpiti soltanto gli immigrati.

Se i proletari italiani non fanno questo passo, non solo si rendono complici delle discriminazioni e delle vessazioni attuate nei confronti dei proletari immigrati, ma si preparano, incoscientemente, a diventare essi stessi bestie da macello tutte le volte che la borghesia capitalistica deve affrontare una crisi economica, aziendale o nazionale, o addirittura una crisi di guerra.

 


 

(1) Cfr. https://www.ilriformista.it/ la-strage-di- cutro-si-poteva-evitare-perche -la-guardia-costiera- non- e-arrivata-345771/

(2) Cfr: https://www.today.it/ attualita/ migranti-morti- naufragio- calabria- polemica.html  

 

1 marzo 2023

 

 

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