Back

Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                


 

Italia: un territorio che si sgretola sotto le frane, le alluvioni, i disboscamenti e con una cementificazione senza fine. Morti, feriti, sfollati? ...per il capitale sono danni collaterali e occasioni per nuovi affari!

 

 

Solo due settimane fa, tra il 2 e il 3 maggio, si sono registrati in Emilia Romagna eventi alluvionali di notevole gravità che hanno causato 2 morti, qualche migliaio di sfollati, vasti allagamenti di coltivazioni, città, borghi, interruzioni delle attività lavorative e delle comunicazioni soprattutto nella pianura bolognese del fiume Reno e dei suoi affluenti, nel ravennate e nel forlivese. Eventi fatali, eccezionali? NO, nessuna fatalità, nessuna eccezionalità, si tratta di eventi estremi la cui frequenza era prevista da diversi decenni dai climatologi e rispetto ai quali nessuna seria prevenzione è stata fatta.

Tra il 16 e il 18 maggio sono esondati ben 23 fiumi nell’area Bologna-Forlì-Cesena-Ravenna. Vi sono state 280 frane, oltre 400 strade interrotte e oltre 20mila sfollati (1). Ad oggi, si contano 14 morti, e l’impego dei sommozzatori porta a pensare che altri morti potrebbero essere ritrovati sepolti sotto le macerie e il fango.

Tragedie di questo tipo sono ormai una normale espressione della società borghese e del suo sistema capitalistico. Il caso dell’Emilia Romagna è in un certo senso emblematico, da diversi punti di vista. Non è una scoperta di oggi che di queste tragedie sia responsanile in modo determinante la progressiva cementificazione del suolo.

In 15 anni, dal 2006 al 2021, secondo i dati ISPRA, «in Italia sono stati consumati ulteriori 1.153 km² di suolo naturale o seminaturale a causa dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali» (2). Inutile dire che sono proprio le regioni italiane del Nord-Ovest e del Nord-Est, dove si sono registrati i più alti consumi di suolo, le regioni che determinano il PIL italiano, dove la crescita economica, sia in termini industriali che agricoli è decisiva; a queste regioni si aggiungono poi Campania e Puglia. I dati dell’anno 2021 dicono che gli ettari cementificati in più sono stati 883 in Lombardia, 684 in Veneto, 658 in Emilia Romagna, 630 in Piemonte, 499 in Puglia; rispetto all’anno precedente, quanto a consumo del suolo in percentuale eccellono Abruzzo, Piemonte, Campania ed Emilia Romagna.

Nessun territorio sfugge alla cementificazione. Soltanto nel 2021 gli ettari consumati sono stati: 75 nelle aree cosiddette “protette”, 1.270 nelle aree cosiddette “vincolate” per la tutela paesaggistica – tanto cara al turismo –, 1.353 nelle aree entro i 10 km dal mare, 992 in aree a pericolosità idraulica media, 371 in aree a pericolosità da frana e 2.397 in aree a pericolosità sismica. Se alla cementificazione aggiungiamo gli effetti del cambiamento climatico che si registra ormai da un secolo e che negli ultimi trent’anni è diventato particolarmente grave in termini di aumento generale dei gradi di calore (a causa dei gas-serra) – che comportano lunghi periodi di siccità e improvvisi cali di temperatura responsabili di fenomeni ciclonici sempre più frequenti ed estesi – si capisce come mai l’Italia, vista la sua particolare fragilità idrogeologica, stia andando in pezzi.

Sempre secondo i dati Ispra, le aree cementificate in Italia dal 2012 ad oggi «avrebbero garantito la fornitura complessiva di 4 milioni e 150 mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori».

Che la situazione si faccia sempre più grave ormai lo sanno anche le pietre. Ma che cosa hanno fatto i politicanti di ogni partito che si sono succeduti in tutti questi decenni al governo? Non hanno fatto altro che esaudire le necessità di Sua Maestà il Capitale, le sue esigenze di profitto, la sua vitalità anarchica e distruttiva, approfittando del potere che hanno in mano per ricavarne privilegi immediati e a lungo termine. Hanno blaterato in tutte le salse sulla salvaguardia degli ecosistemi e del territorio, hanno inventato leggi che formalmente avrebbero dovuto impedire la continua cementificazione e intervenire per riparare i danni delle precedenti cementificazioni, leggi che prevedevano anche risorse finanziarie per quegli interventi ma non sono mai state applicate; leggi che subivano costantemente deroghe di ogni tipo per facilitare la «crescita» e la «ripresa» economica, ma che contribuivano a peggiorare la situazione da tutti i punti di vista, sia idrogeologico, sia criminale. Nel 2017, per prendere un dato tra i più recenti, l’Emilia Romagna, la regione storicamente «di sinistra», per anni spacciata come il luogo migliore in cui vivere, la «motor valley», la «food valley» come ama chiamarla il suo presidente di regione Bonaccini, aveva approvato una legge urbanistica che prevedeva – a parole – di limitare il consumo del suolo a una quota del 3%. Attenzione, si parla di limitare, non di fermare il consumo del suolo, che a quella data era già oltre ogni misura sopportabile; e questo 3% ulteriormente consentito andava a sommarsi ai precedenti consumi di suolo esagerati, aggravando le condizioni di impermeabilità del suolo. Nella realtà, secondo l’ultimo rapporto Ispra, l’Emilia Romagna è stata la regione che più di tutte «ha esercitato consumo di suolo nelle aree alluvionali» e che nel 2020 e 2021 ha costruito più di tutte «nelle aree definite a pericolosità idraulica» (3).

Ma la natura, violentata in permanenza, si vendica e sorprende l’intera classe politica che, di fronte ai fenomeni ciclonici come quelli che si sono abbattuti sull’Emilia Romagna in queste due settimane, e che si abbatteranno nel futuro prossimo in altre regioni del centro e del sud italiani, come già è avvenuto in precedenza, non saprà fare altro che cercare giustificazioni per permettano di salvarsi il culo, incolpando Giove pluvio e le amministrazioni precedenti che non hanno fatto niente per rimediare al dissesto idrogeologico di cui l’Italia soffre da secoli. Le prime dichiarazioni di Bonaccini e delle autorità locali sono ormai un logoro ritornello: chiederemo lo stato di emergenza e l’aiuto da parte dello Stato. Parlano di maltempo e, naturalmente, di emergenza giocando sulle mappe coi diversi colori delle allerte (gialla, arancione, rossa, viola, a seconda della pericolosità); e, a disastro avvenuto o ancora in corso, fanno intervenire Protezione civile, Vigili del fuoco, carabinieri, polizia locale, sommozzatori consigliando agli abitanti delle zone colpite di «non uscire di casa», di «non andare in cantina», di «andare sui piani più alti o sui tetti»..., come dire alla gente, durante un nubifragio, di chiudere le finestre! Ma la presa in giro non è finita, perché arriva puntuale la pelosa «vicinanza alle popolazioni colpite» da parte del governo e del presidente della repubblica insieme alle dichiarazioni ormai scritte in fotocopia dei vari ministri coinvolti per i loro settori di competenza, in attesa che ... passi la bufera, per riprendere i soliti balletti delle “responsabilità» andando in cerca dei «colpevoli».

Ma la causa prima di quanto accadeva cercata nel sistema economico e sociale capitalistico e, ovviamente, nel potere politico della borghesia per la quale la difesa di questo sistema e della sua società e la difesa del suo Stato e dei suoi interessi di classe vengono prima di tutto. E se gli interessi del capitale richiedono, come ormai è evidente da lungo tempo, il brutale sfruttamento sia della forza lavoro umana che dell’ambiente, con feriti, morti e distruzioni varie, per la borghesia si tratta di disgrazie, di sfortuna, di fatalità e se proprio proprio si deve trovare qualche colpevole nelle istituzioni o nell’imprenditoria, ci penserà la Giustizia... mentre il governo provvederà a qualche misura economica che attenui, temporaneamente, il peso del disastro sulle singole persone. Come la storia dimostra, la prevenzione non è nelle corde della borghesia perché nella prevenzione rarissimamente si possono fare affari; gli affari si fanno sulle emergenze, perché di fronte all’emergenza cade tutta una serie di vincoli e di controlli e il denaro scorre a fiumi.

Non c’è catastrofe che fermi la borghesia: è una classe votata a distruggere per ricostruire, e a costruire per distruggere nuovamente. Lo dimostrano le guerre guerreggiate, locali, regionali o mondiali, che punteggiano tutto il corso di sviluppo capitalistico, e la sistematica distruzione dell’ambiente naturale. L’attuale situazione disastrosa in Emilia Romagna è solo il più recente esempio dell’incapacità della borghesia e del suo sistema sociale di dominare le forze produttive da essa stessa create nel tempo. Forze produttive che si concentrano in due grandi forze sociali antagoniste: il capitale, rappresentato dalla borghesia, e il lavoro salariato, ossia la classe proletaria la cui forza lavoro, finché resta succube della borghesia, viene utilizzata ai fini esclusivi della valorizzazione del capitale, cioè al persistere del suo dominio con tutte le tragiche conseguenze che ne derivano.

Nella cronaca delle ultime settimane si susseguono nei media le solite domande: era possibile prevedere questi fenomeni estremi e la zona e il momento in cui si sarebbero verificati?, era possibile prevenire le esondazioni dei fiumi e le loro conseguenze tragiche?, che cosa è stato fatto e che cosa non è stato fatto per evitare morti, distruzioni, danni all’agricoltura e alle varie attività? Ma la risposta dei poteri politici è costantemente deficitaria e deviante, e non può essere diversamente. Come nel periodo dell’esplosione della pandemia di Covid-19, ma in questo caso in aree più limitate, i potenti non sanno che pesci prendere. Chiedono aiuto agli scienziati (ieri ai virologi, oggi ai climatologi) perché spieghino questi fenomeni e diano qualche orientamento su che cosa bisognerebbe fare perché tragedie di questo tipo non succedano più. E allora emergono geologi, meteorologi, climatologi, più o meno famosi, che ripetono sempre le stesse cose: il clima si sta riscaldando sempre più, quindi bisogna intervenire sulla produzione industriale e sui consumi urbani per diminuire drasticamente la produzione di gas serra, e bisogna consumare meno suolo, ripristinando milioni di ettari decementificandoli, avere più cura dell’ambiente riforestando montagne, colline e pianure, costruendo lontano dagli argini dei fiumi ecc ecc. e soprattutto costruendo di meno. Campa cavallo..., parole utili per imbonire le masse, per far credere che i politici terranno conto dei consigli degli scienziati, per attenuare la rabbia della gente colpita magari più volte dalle stesse catastrofi e alla quale si promettono attenzione, qualche tassa in meno e qualche aiuto in denaro per riprendere la loro attività in un ambiente sociale che non cambia in meglio, ma che, con l’andare del tempo, peggiora sempre più.

La particolarità del disastro attuale in Emilia Romagna è data da fenomeni atmosferici che si sono susseguiti, con le stesse caratteristiche di intensità e violenza, a distanza di poco tempo l’uno dall’altro. Ad esempio, il meteorologo Luca Lombroso (4) ha detto che si tratta della caratteristica ciclonica che assumono i fenomeni temporaleschi, fenomeni che diventano sempre più estremi e che sono determinati da quella che viene chiamata depressione esplosiva, ossia un accumulo di moltissima energia che determina lo scontro tra le masse d’aria calda, del tutto sopra la media, provenienti dall’Europa dell’Est, nei Balcani, in Turchia e nel Nord Africa, e le masse d’aria fredda dell’Europa occidentale. Dell’estremizzazione dei fenomeni climatici, come questo, si sta parlando da qualche decennio, e le cause, in particolare, sono state individuate da tempo nelle attività industriali e nell’utilizzo di fonti energetiche fossili che generano gli ormai famosi gas serra. Riunioni, convegni e incontri mondiali ad ogni livello non fanno che mettere in risalto la necessità di intervenire, anche drasticamente, sui fatti economici e sulle abitudini dei consumi contratte da decenni per limitare la produzione dei gas serra attenuando, di conseguenza, i fenomeni climatici estremi. La decarbonizzazione è diventata la bandiera di tutti coloro che gridano alla salvaguardia del pianeta e della vita umana, governi compresi. Naturalmente, queste parole non fanno i conti con la realtà capitalistica, con la ricerca spasmodica del profitto all’interno di una concorrenza mondiale che si fa sempre più acuta e che spinge ogni governo a mettere in cima alle sue decisioni, non il clima e la protezione dell’ambiente e, quindi, della vita umana, ma la “crescita economica”, il PIL! E basta una crisi energetica qualsiasi, come la recente crisi provocata dai contrasti interimperialistici sfociata nella guerra russo-ucraina, con relative sanzioni contro il gas e il petrolio russi, per far rimettere in funzione le centrali a carbone in Germania, in Italia e in altri paesi europei, e per incentivare la produzione di energia attraverso queste centrali anche in Cina e in India che, come si sa, insieme agli Stati Uniti, sono tra i maggiori produttori di gas serra al mondo.

I fenomeni climatici estremi, dunque, sono destinati a divenire fenomeni sempre più normali, e andranno a colpire, più o meno improvvisamente, le diverse zone del pianeta in cui le depressioni esplosive di cui si è parlato sopra diventeranno sempre più frequenti.

Le piogge torrenziali, le tempeste che durano giorni e che rovesciano in pochissimo tempo 200-300-500 mm di pioggia nella stessa zona, sono fenomeni in cui la natura esprime il suo essere natura, in cui essa sfoga le enormi quantità di energia che accumula nel tempo. I vecchi che hanno già vissuto periodi di alluvioni che hanno distrutto vite, case, coltivazioni, attività umane di ogni genere, dicono che prima o poi la natura si riprende quello che le è stato tolto: in questo caso i fiumi, i torrenti si riprendono lo spazio che è stato loro sottratto. L’opera dell’ingegno umano è stata notevole in ogni periodo storico; i fiumi sono stati deviati, tombati per costruirci sopra strade, interrotti da dighe per costruire centrali idroelettriche, canalizzati per facilitare l’irrigazione dei campi e arginati con paratie di cemento per permettere di sfruttare ogni metro possibile di terreno edificabile ecc. Solo che la natura, violentata dal capitalismo come mai nelle società precedenti, dimostra per l’ennesima volta di essere indomabile, di non essere al servizio del capitalismo. E’ l’uomo che deve adattarsi alla natura, non il contrario. La grande caratteristica del capitalismo è di trattare la natura, il suolo, il sottosuolo, l’acqua, l’atmosfera, lo spazio come una sua proprietà, come una merce, allo stesso modo in cui tratta il lavoro salariato. Il capitalista compra e vende la terra e il sottosuolo, i corsi d’acqua e i mari, come non avessero una loro forza intrinseca; usa i grandi mari e gli oceani come fossero a sua disposizione: li attraversa con ogni tipo di imbarcazione inquinante e ne sfrutta ogni possibile risorsa utile al profitto; li usa anche come discarica quando deve liberarsi di scorie il cui smaltimento adeguato costerebbe troppo. Lo fa perché è cattivo? No, lo fa per accumulare profitti, per risparmiare il più possibile nei costi di produzione e per rinnovare i cicli di valorizzazione del capitale da cui trae i suoi profitti. Potrebbe non farlo? No, perché il profitto capitalistico ne soffrirebbe troppo; i capitalisti esistono perché esiste il capitalismo e agiscono secondo le leggi oggettive del capitalismo. Quel che fanno di propria volontà è di aggiungere ai danni che il capitalismo già provoca all’ambiente e alla salute umana ulteriori danni dovuti alla loro ingordigia, alla sfrenata concorrenza tra di loro, ai loro cinici comportamenti generati dalla sete di potere e dalla difesa dei loro specifici interessi di classe.

I territori attraversati dai fiumi subiscono inevitabilmente gli interventi del capitalismo; se da un lato i fiumi e i laghi costituiscono una fonte di profitto per le più diverse attività industriali e commerciali attuate grazie alla loro presenza, dall’altro lato possono costituire un problema soprattutto per le città che sono sorte sulle loro sponde e che, come detto, tendono ad espandersi edificando e cementificando fin nei loro letti. Fenomeni atmosferici estremi come quelli che stanno avvenendo ci sono sempre stati, ma la differenza tra il periodo storico industriale e quello pre-industriale sta appunto nella loro aumentata frequenza e violenza. Ciò vuol dire che l’attività umana sotto il capitalismo è corresponsabile di questi fenomeni, e gli stessi scienziati borghesi non hanno più difficoltà ad ammetterlo. Il bello è che vengono pagati per fare le ricerche, per mappare il mondo intero distinguendo le diverse aree, per fare le previsioni meteo (utilissime soprattutto non solo per i trasporti ma anche per le operazioni di guerra), ma delle conseguenze pratiche che bisognerebbe mettere in atto sul piano economico e sociale dati i risultati delle loro ricerche, i ceti politici non ne tengono assolutamente conto … perché vorrebbe dire andare contro gli interessi economici, finanziari e politici delle diverse fazioni del potere borghese.

Il caso dell’Emilia Romagna, come abbiamo visto, è in un certo senso emblematico.

La pioggia torrenziale è caduta su un territorio con un livello di antropizzazione elevatissimo, tra i più alti mai registrati. Questa regione è la terza a più alto consumo di suolo: oltre il 9%, con punte dell’11% nelle province di Modena e Reggio Emilia e del 10% nella provincia di Forlì-Cesena, la zona attualmente più colpita dalle piogge e dalle alluvioni. Ed è una regione stretta tra il corso del Po a nord e l’Appennino tosco-emiliano a sud-sudovest, percorsa da una notevole quantità di fiumi, fiumiciattoli, torrenti, canali grazie ai quali è possibile irrigare i vasti campi della pianura, ma che, in caso di depressione esplosiva, diventano i vettori di enormi quantità di acqua che, nella loro corsa veloce verso valle, travolgono con forza incontenibile tutto ciò che incontrano. Il disboscamento delle alture, la mancata cura del territorio collinare e dei letti dei fiumi, la progressiva cementificazione del suolo contribuiscono a fare di questi fiumi e torrenti l’arma con cui la natura si riprende lo spazio che gli è stato tolto. La terra, soffocata dal cemento e dall’asfalto, è diventata impermeabile e non assorbe più come un tempo l’acqua delle piogge; in più, resa secca dai lunghi periodi di siccità, respinge essa stessa l’acqua della pioggia, facendola scorrere in superficie. Presa in un’enorme tenaglia, da un lato il riscaldamento del clima che provoca lunghi periodi siccitosi e dall’altro la continua cementificazione del suolo, la natura ci ricorda che le tragedie che ci colpiscono sono provocate per il 99% dalla combinazione di produzione senza limiti di gas serra e di livelli assurdi di consumo del suolo, il cui vero responsabile è il sistema capitalistico; un sistema che non è in grado di rimediare ai danni che provoca all’ambiente e alla vita sociale, un sistema che storicamente ha decretato il suo fallimento e che deve essere distrutto per sempre e sostituito da un sistema economico e sociale che ha per fine la soddisfazione dei bisogni della vita umana, non del mercato, e in armonia con la natura.

Per quanto sia lontano nel tempo questo traguardo, per quanto oggi ancora appaia invincibile il sistema sociale borghese e per quanto la sua economia appaia l’unica in grado di rispondere alle esigenze della vita sociale, se gestita “in modo diverso”, la realtà di oltre due secoli di capitalismo dimostra che il suo sviluppo non comporta il raggiungimento di una società felice, armoniosa, distributrice di benessere in ogni angolo del mondo, ma il ribadimento del brutale sfruttamento delle risorse naturali e umane ai fini esclusivi del privilegio di una minoranza assoluta di borghesi che comanda sul mondo e dell’oppressione della vastissima maggioranza dell’umanità che è costretta con la forza a subire tutti gli effetti dannosi del potere borghese e capitalistico. Nel tempo sono state avanzate proposte di riforme di ogni genere, per attenuare i fenomeni di crisi della società e per indirizzare il capitalismo verso una gestione più “umana” e più attenta ai bisogni sociali; ma è il capitalismo stesso ad aver risposto: nessuna riforma sociale o politica è in grado di modificare le dure leggi del modo di produzione capitalistico. Quest’ultimo ingoia ogni riforma, ed ogni tentativo di modificarne il corso storico oggettivo fallisce miseramente. Anche se, di fronte ad ogni crisi economica e sociale su cui si inceppa, il capitalismo trova delle misure per superarla, in realtà, non queste misure non fanno che accumulare ed estendere i fenomeni di crisi successivi, acutizzandoli in modo inarrestabile. Nemmeno le più devastanti guerre mondiali verificatesi finora sono riuscite a soddisfare la fame di profitto che il capitalismo autoalimenta. Nemmeno la catastrofe del Polesine del 1951 coi suoi 101 morti e le decine di migliaia di sfollati, i 100 mila ettari di campagna alluvionata, decine di migliaia di capi di bestiame affogate, oltre mille case distrutte e ponti, strade, linee ferroviarie devastati; o quella del Vajont del 1963, con 2.000 morti e 1.300 dispersi di Longarone e l’intera cittadina distrutta; o quella di Firenze del 1966 con i 35 morti e danni incalcolabili sia al centro città che in tutta la provincia; o quella di Sarno e Quindici nel 1998 con 161 morti, o le continue alluvioni di Genova nel 1970, 1992, 1993, 2011, 2014. Nessuna di queste catastrofi, per rimanere nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale e nei casi più eclatanti, ha insegnato qualcosa alla classe dominante borghese italiana: si è continuato a disboscare, a consumare suolo, a costruire nelle aree alluvionali e di pericolosità sismica, a non fare la manutenzione dei fiumi, dei torrenti e dei canali e ad investire nelle attività produttive di maggiore redditività piuttosto che nella salvaguardia ambientale e nella gestione della fragilità congenita del territorio italiano.

Ogni tragedia, come quest’ultima in Emilia Romagna, è il risultato di una guerra, locale e parziale quanto si voglia, ma combattuta non con le tradizionali armi degli eserciti, ma con altre armi di “distruzione di massa”: le armi del profitto capitalistico che distruggono vite, attività, animali, case, infrastrutture non solo nel presente ma anche nel futuro.

Contro tutto questo, aldilà dei soccorsi d’emergenza assolutamente necessari, soltanto i proletari possono percepire un compito molto più alto e con una visione del futuro storicamente e realmente positiva: il compito di farla finita con questo sistema economico e sociale capitalistico, farla finita con il potere borghese che di questo sistema è il difensore ricavandone i privilegi soltanto se continua a schiacciare le masse proletarie e lavoratrici sotto le leggi del profitto capitalistico; leggi materiali che condizionano totalmente anche i borghesi i quali, per mantenere la loro posizione sociale, non possono fare altro che essere la guardia armata degli interessi del capitale. La lotta contro le conseguenze tragiche delle alluvioni, come negli altri casi di incendi, di crolli, di terremoti o di guerra, è una lotta che, per avere effetti duraturi a vantaggio degli interessi generali delle masse lavoratrici, deve avere un obiettivo più lontano, più incisivo, dunque un obiettivo storico perché non si torni, per altra via, a subire le leggi dittatoriali del capitale e della borghesia.

La solidarietà che nell’emergenza si concretizza attraverso i soccorsi verso la popolazione colpita dall’alluvione è senza dubbio importante perché tampona all’immediato le conseguenze più tragiche di quanto è successo. E in questa solidarietà emerge l’aiuto disinteressato dei lavoratori, della popolazione locale che cerca di tamponare le falle evidenti delle istituzioni. Ma, di per sé, la solidarietà emergenziale finisce nel momento in cui i poteri politici decretano che quell’emergenza è terminata. E allora ognuno è ricacciato nei limiti della sua situazione personale precedente al disastro; ognuno poi se la deve cavare per conto proprio, se la deve vedere con le istituzioni e con lo Stato centrale che, in realtà, sono i principali responsabili politici del disastro. In poco tempo tutto viene dimenticato, e un altro disastro, un’altra emergenza, in un altro luogo tornerà a distrarre dai disastri precedenti, in una infinita rincorsa di situazioni da tamponare, in cui le autorità giudiziarie cercheranno gli ennesimi “responsabili” e in cui i politici alzeranno la voce per cercare nuovi consensi e nuove occasioni per riaffermare i propri privilegi.

La lotta contro tutto questo non può che essere una lotta classista, perché contro la classe borghese che è la vera responsabile di ogni tragedia sociale, soltanto la classe storicamente avversa, il proletariato, la classe dei lavoratori salariati, può avere la forza sociale per opporsi ad un potere politico che si rinnova continuamente al solo scopo di mantenere la situazione economica e sociale nei limiti del capitalismo, dunque all’interno della sua catastrofica evoluzione. La classe dei lavoratori salariati rappresenta nei fatti, nella materialità economica e sociale, l’unica forza in grado di opporsi alla politica borghese, l’unica forza sociale che può far saltare il potere politico dei rappresentanti della borghesia sostituendosi ad essi per dirigere tutte le forze produttive esistenti verso la prospettiva di cambiare completamente il loro orientamento generale. Gli obiettivi non saranno certo quelli di salvare le imprese e i loro affari, mantenere in piedi i rapporti sociali e le relazioni economiche e finanziarie che caratterizzano l’impianto capitalistico per il quale prima di tutto vanno salvati gli affari, le aziende e i loro sistemi organizzativi di produzione e di distribuzione. Gli obiettivi saranno quelli di mettere la produzione e la distribuzione al servizio degli uomini e non gli uomini al servizio della produzione e della distribuzione; e già questa impostazione apre alla società un’altra prospettiva, in questo caso sì di crescita, ma di crescita delle forze produttive indirizzate a soddisfare le esigenze di vita della comunità umana e non del profitto capitalistico e delle esigenze di sopravvivenza della classe dominante attuale.

C’è stato un tempo in cui, durante la guerra imperialista del 1914-18, i proletari, che non avevano alcuna intenzione di morire per una patria che li aveva mandati a massacrarsi contro altri proletari, hanno attuato una tattica, quella del disfattismo; si ribellavano agli ufficiali, magari disertavano, ma si ricollegavano con i proletari che non erano al fronte ma continuavano a lavorare nelle fabbriche e qui agivano contro la guerra con scioperi e manifestazioni, solidarizzando tra di loro e con i loro “fratelli” soldati. Quel disfattismo diventava rivoluzionario nella misura in cui veniva organizzato e politicamente diretto dal partito di classe, inserendo quella tattica nel quadro generale della lotta di classe contro la borghesia per la conquista del potere politico.

Oggi non siamo in quella situazione, in nessuna parte del mondo, ma per i proletari la condizione di essere piegati agli interessi borghesi e capitalistici oggi, anche in situazioni tragiche come quelle determinate dalle alluvioni, come dalle morti sui posti di lavoro e dall’immiserimento costante di larghe masse lavoratrici, li consegna ad essere domani piegati agli stessi interessi borghesi, ma in una situazione tragica molto più generale, appunto una situazione di guerra.

Ecco perché prima che i proletari si ritrovino nella condizioni di essere mandati in guerra come carne da cannone, essi devono reagire sul terreno della lotta classista in ogni situazione in cui la classe borghese entra in difficoltà; cioè nei casi in cui le aziende entrano in crisi e licenziano, nei casi in cui è lo Stato stesso a torchiare il proletariato precarizzando sempre più il lavoro, riducendolo a semplice prolungamento dei mezzi di produzione rendendo il suo uso flessibile secondo le richieste del mercato, e nei casi in cui accadono tragedie come i morti e i danni da alluvioni, la cui causa va ascritta per il 99% alla borghesia e alla sua gestione politica e sociale. Come nel caso della disoccupazione, non sono soltanto i proletari colpiti dal licenziamento ad essere interessati a lottare contro la disoccupazione, ma anche gli altri proletari che ancora lavorano per rafforzare la lotta dei disoccupati alla quale sono i soli a poter dare una mano, e perché gli occupati di oggi possono diventare i disoccupati di domani, così come i disoccupati di oggi erano proletari che fino a ieri avevano un lavoro: la loro sorte è materialmente intrecciata, e sono gli stessi borghesi capitalisti ad intrecciarla. I proletari devono uscire dalla gabbia individuale in cui li costringe la borghesia ed esprimersi su un altro terreno, quello appunto della lotta contro la classe borghese che succhia il sangue ai proletari in tutte le situazioni, di pace e di guerra, di crisi o di crescita economica, alluvionati o meno.

Lottare contro gli effetti del dominio capitalistico sulla vita sociale, significa unirsi a difesa di interessi comuni, soprattutto nelle situazioni critiche. E che cosa c’è di più critico per i proletari che perdere il lavoro, perdere la casa, perdere i propri cari in un’alluvione la cui responsabilità è tutta della borghesia assetata di profitto e carica di disprezzo per la vita umana?

Le istituzioni borghesi, di fronte ad una tragedia come quella emiliano-romagnola, hanno l’interesse politico di dimostrare una certa benevolenza nei confronti di tutti gli alluvionati, ma è indubbio che avranno a cuore soprattutto la sorte delle imprese agricole e delle industrie che possono ricominciare a produrre profitto, e a ripresentare al mondo il tanto declamato “made in Italy” agro-alimentare. I proletari non saranno certo i primi ad essere avvantaggiati dai milioni che lo Stato sta mettendo a disposizione per far fronte ai danni, e ancor meno i proletari di altre nazionalità. Anche in questo si dimostra come il borghese aiuta il borghese, mentre il proletario è lasciato alla propria sorte. Ma è logico che sia così, perché viviamo in una società divisa in classi e in un periodo in cui la classe borghese diventa sempre più autoritaria e guerrafondaia, e non solo perché all’orizzonte c’è la guerra in Ucraina sostenuta economicamente -  politicamente e militarmente dalla borghesia nazionale che si è infilata nelle trattative per la ricostruzione, “gli affari innanzitutto!”, alla faccia dei proletari russi e ucraini che si massacrano a vicenda per interessi delle rispettive borghesie - ma perché si avvicinano tempi in cui i contrasti tra le varie potenze imperialistiche si stanno trasformando da contrasti economico-commerciali in contrasti economico-militari. E allora anche le situazioni critiche determinate dalle alluvioni che quest’anno hanno cominciato a colpire e continueranno a colpire l’Italia, diventano per la borghesia occasioni di affari nel versante della ricostruzione, e di controllo sociale nei confronti del proletariato verso il quale verrà impiegato alla grande il ricatto del posto di lavoro per chi ce l’ha e potrebbe perderlo, del salario anche se basso e precario. Una ragione in più per i proletari per unire le proprie forze sul terreno della lotta classista, della lotta contro la concorrenza tra proletari e della solidarietà classista che i proletari occupati e non colpiti dall’alluvione possono portare ai proletari alluvionati.

La rivendicazione minima dei proletari alluvionati deve puntare al salario pieno per tutto il periodo in cui non potranno lavorare e ad una casa in cui abitare con la propria famiglia senza pagare luce, acqua, gas, telefono, tasse varie e trasporti pubblici almeno fino a quando la situazione generale non sia tornata alla normalità precedente. Queste cose non si ottengono se non con la lotta, una lotta in cui uniscono le forze sia i proletari colpiti dall’alluvione sia gli altri proletari.

 


 

(1) Cfr. https://www.quotidiano.net/cronaca/alluvione-emilia-romagna-10e1e7da

(2) Cfr. https://www.fanpage.it/live/alluvione-emilia-romagna-news-di-oggi-allerta-meteo-rossa-9-morti-migliaia-di-evacuati-bonaccini-come-un-terremoto/

(3) Cfr. – anche in https:// www. snpambiente.it/ 2022/07/26/consumo-di-suolo-dinamiche-territoriali-e-servizi-ecosistemici-edizione-2022/ - anche in “il fatto quotidiano”, 19 maggio 2023.

(4) Cfr. https://www.quotidiano.net/cronaca/alluvione-emilia-romagna-10e1e7da

 

19 maggio 2023

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

www.pcint.org

 

Top  -  Ritorno indice  -  Ritorno archivi