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Cavalcavia Venezia-Mestre: una strage annunciata!

 

 

L’assenza criminale di manutenzione e di protezioni adeguate sul cavalcavia Venezia-Mestre ha trasformato un bus, che portava 36 campeggiatori di ritorno al Camping Hu In Town Venezia di Marghera, in una micidiale bara: 21 morti, tra cui l’autista, e 15 feriti, di cui alcuni molto gravi.

Il viadotto, costruito negli anni Sessanta, «non è mai stato oggetto di interventi di manutenzione straordinaria e rinforzo strutturale» (la Repubblica, 5/10/2023). Non solo la manutenzione è stata inesistente, ma quello che viene chiamato guardrail in realtà è una semplice ringhiera: «quello era un guardrail a unica onda alto un metro e mezzo e non il triplo, come sarebbe stato necessario», sono le parole di Giordano Biserni, presidente della Associazione Amici e Sostenitori della Polizia Stradale (Asaps) riportate dalla stessa “Repubblica”. Dai primi rilievi, alla procura di Venezia risulta che non ci sono segni di frenata, né urti o contatti con altri mezzi, mentre la velocità del bus negli ultimi cinquanta metri era bassissima, sembra addirittura di 6 km all’ora. Il bus, nel precipitare da dieci metri d’altezza si è capovolto; il suo impatto sul terreno poco distante dalla ferrovia che corre sotto il cavalcavia non è stato col fianco ma con il tetto, aumentando in questo modo lo schiacciamento mortale dei turisti.

Solo nel 2019, a sessant’anni di distanza, era partito il progetto per quello che chiamano «adeguamento normativo e consolidamento del cavalcavia»; si arriva al 2023 per la gara d’appalto di tutta la struttura che, secondo quanto dichiarato dall’assessore alla mobilità di Venezia, Boraso, vale 7,5 milioni di euro, di cui 3,3 arrivano dal Pnrr. Le cronache televisive hanno insistito nel dire che mancavano solo 3 km al campeggio di Marghera, in pratica una decina di minuti, quando il bus è precipitato nel vuoto; come dire... “poveri turisti, che sfortuna”...

Ma la realtà dei fatti non c’entra nulla con la sfortuna. Il crimine sta nel fatto che un’infrastruttura costruita in quel mondo non garantiva nessuna sicurezza né all’epoca della sua costruzione, né tantomeno nei decenni successivi, oltretutto con un traffico sempre in aumento e con mezzi di trasporto sempre più grandi e pesanti. Soltanto per caso, finora, su quel cavalcavia non era avvenuta alcuna tragedia. Ma è arrivato il 4 ottobre 2023, con un cantiere in attività (“mancavano solo 300 metri perché l’opera di adeguamento e consolidamento arrivasse sul punto in cui il bus è precipitato”, insiste la cronaca televisiva...), la restrizione della corsia, e forse un problema alla ruota anteriore destra – come ipotizzato da un collega di Alberto Rizzotto, l’autista del bus precipitato – o un malore o una leggera manovra sbagliata dell’autista è bastato per far strisciare il bus sulla ringhiera troppo bassa e troppo debole, fino a farlo precipitare.  

Per l’ennesima volta, la mancanza di interventi necessari e tempestivi sui viadotti per garantire la sicurezza dei veicoli che li percorrono è stata la vera causa di una strage. Ma questa è la causa principale di tutte le morti e di tutti i feriti avvenuti sui ponti e viadotti italiani, che si accompagna alla sfrenata cementificazione delle zone collinari e montagnose nelle quali è appunto la montagna a franare.

Tutti ricordano la strage, del 14 agosto 2018, del Ponte Morandi, il viadotto di Genova che collega la A7 con la A10 e i suoi 43 morti e le 566 famiglie che, per sicurezza, hanno dovuto abbandonare le loro case sottostanti. Anche in quel caso, come nei precedenti, le indagini hanno rilevato non solo la mancanza assoluta di una seria manutenzione, ma anche il criminale atteggiamento di coloro che dovevano monitorare con grande attenzione la tenuta delle pile e che invece si sono limitati a guardarle distrattamente e a riempire burocraticamente i moduli assicurando che non c’erano particolari problemi... finché la pila 9 è crollata...

Ma la serie di stragi, limitandosi solo all’ultimo decennio e solo ai ponti e ai viadotti, è lunga.

28 luglio 2013, sulla A16, vicino a Monteforte Irpino, un pullman ha un guasto ai freni, sbanda e, a causa della mancata resistenza del guardrail autostradale, precipita per 30 metri dal viadotto Acqualonga; 40 le vittime, e fino a quella data era stato il più grave incidente stradale in Italia, ma poi venne la strage del Morandi...

Sempre nel 2013, nella notte tra il 21 e il 22 ottobre, crolla un ponte a Carasco, nell’entroterra ligure nei pressi di Chiavari, provocando la morte di due persone; e nel novembre dello stesso anno, durante un’alluvione in Sardegna, cede un ponte sulla provinciale Oliena-Dorgali, muore un poliziotto e altri tre rimangono feriti.

7 luglio 2014, crolla un tratto del viadotto Lauricella lungo la strada 626 tra Ragusa e Licata, in provincia di Agrigento. Ferite 4 persone. 2 marzo 2015, collassa la quinta campata del viadotto “Italia” della Salerno-Reggio Calabria, tra Laino Borgo e Mormanno, muore un operaio romeno che stava lavorando sul viadotto.

Il 28 ottobre 2016 collassa un cavalcavia sulla provinciale 49 Milano-Lecco all’altezza di Annone: 1 morto e 4 feriti. 9 marzo 2017, il ponte di Osimo, vicino ad Ancona, frana, nel tratto dell’autostrada A14 Adriatica: muore una coppia, altre due persone rimangono ferite. Nel 2018, il 18 aprile, crolla il viadotto a Fossano, in provincia di Cuneo, nessuna vittima; poi, nell’agosto, la tragedia del Ponte Morandi.

Nel 2019, il 24 novembre, cede un tratto dell’autostrada A6, la Torino-Savona, a causa di una frana, nessuna vittima né feriti. 8 aprile 2020, crolla il ponte ad Albiano, sulla strada tra Santo Stefano di Magra e Massa Carrara – un ponte che secondo l’Anas «non aveva criticità» – un ferito non grave, anche perché in piena pandemia il traffico era praticamente assente.

 

Nessuno in Italia controlla i ponti!

 

Basta guardare un po’ indietro nel tempo per rendersi conto che la prevenzione, intesa come attività permanente in ogni settore dell’attività umana, non è una priorità per il capitalismo; anzi, quasi sempre è considerata un ostacolo al giro sempre più vorticoso degli affari delle costruzioni, impedendo il sempre maggiore aumento senza soluzione di continuità della parte di capitale che corrisponde al lavoro morto di Marx – il capitale costante, di cui le infrastrutture sono la parte preponderante – per sfruttare sempre più, intensificandolo, il lavoro vivo, cioè il lavoro salariato, il capitale variabile. E della prevenzione non fanno parte soltanto i controlli e la manutenzione dei manufatti dopo che sono stato costruiti e utilizzati, ma anche i materiali con cui vengono costruiti sui quali normalmente i capitalisti cercano di risparmiare sia in qualità che in quantità, come nel caso di vari edifici crollati come burro nel terremoto dell'Aquila. E quasi sempre, nel verificare le cause dei crolli o della scarsa tenuta delle protezioni emergono proprio risparmi sui materiali usati per la costruzione dei manufatti. Se poi mancano anche i controlli e le periodiche manutenzioni, ecco l’interminabile serie di tragedie annunciate!

«Nessuno in Italia controlla i ponti», era un editoriale pubblicato su “La Stampa” il 20 gennaio 1967 (1); il 18 gennaio erano crollate le due campate centrali del ponte monumentale di Ariccia sulla via Appia, che papa Gregorio XVI, nell’Ottocento, aveva deciso di far costruire per superare più direttamente il dislivello di ben 321 metri che c’è tra Albano e Ariccia, in direzione di Genzano e quindi di Roma e che successivamente, sotto papa Pio IX, fu inaugurato nel 1854. La sua tenuta non ebbe problemi per 90 anni, fino al febbraio 1944 quando venne bombardato dagli anglo-americani. Certo, in quei lunghi anni non c’era ancora il pesante e intenso traffico del secondo dopoguerra, ma sopra ci passarono comunque i carriarmati senza problemi. Ricostruito a guerra finita, resse per neanche 20 anni, fino al gennaio 1967, quando crollò travolgendo alcune auto che transitavano sotto, causando 5 morti. All’epoca ipotizzarono un attentato, ma ben presto verificarono che si trattò di mancati controlli e mancata manutenzione. Va ricordato che all’epoca non erano iniziate le privatizzazioni e quasi tutto era sotto il controllo dello Stato. Naturalmente i giornali di allora misero in evidenza la mancanza di una legislazione adeguata e che obbligasse a frequenti controlli e necessari interventi. E oggi? Nulla è cambiato, siamo ancora ai mancati controlli e ad una manutenzione spesso raffazzonata se non inesistente. E il ponte Morandi lo ha tragicamente dimostrato per l’ennesima volta. Anche per il ponte di Ariccia gli abitanti del luogo avevano segnalato, già due anni prima del crollo, delle fessure nel viadotto alle autorità competenti, che dimostrarono di essere “competenti” solo sulla carta, ma di fatto criminali, come in seguito in tutti i moltissimi casi di cui abbiamo ricordato sopra i più noti dell’ultimo decennio.

Ad ogni tragedia scatta il solito ritornello dei governi: non deve mai più succedere in un paese civile come il nostro... Anche nel 1967 venne emanata una circolare dei Lavori Pubblici (la n. 6736/61/Al del 19.07.1967) che stabiliva l’importanza della «vigilanza assidua del patrimonio delle opere d’arte stradali e delle operazioni di manutenzione e ripristino» (2); questa circolare ordinava che si mettesse in atto un’ispezione trimestrale, eseguita da tecnici e un’ispezione annuale eseguita da ingegneri che avevano il compito di documentare la loro attività attraverso rapporti scritti. Ispezioni? E chi le ha mai viste sugli oltre 500 ponti dell’epoca?

A proposito, le infrastrutture quali ponti, viadotti, cavalcavia, dighe vengono chiamate «opere d’arte». Si sa, l’Italia è uno dei paesi in cui è concentrato un alto numero di “opere d’arte” di ogni tipo, opere d’arte che vanno protette, conservate con grande cura, difese da ogni possibile “incidente”. Una statua, un quadro, un libro, un reperto archeologico possono essere graffiati, strappati o rubati (e in tal caso le autorità intervengono immediatamente), ma un ponte, un viadotto, un cavalcavia, una volta completati rimangono lì, senza che li tocchi più nessuno (a parte un terremoto), a mostrare al mondo la creatività, la tecnica, l’ingegno, le soluzioni adottate, la stabilità e la durata e, naturalmente, il loro disegno. Orgoglio e vanto nazionale di una terra che ha dato i natali a Leonardo, Raffaello, Tiziano, Donatello, Bramante, Palladio e compagnia, inneggiando costantemente alla grande storia di Roma antica che – ma guarda un po’ – i ponti li sapeva fare e duravano secoli.

Quanti ponti, viadotti, cavalcavia ci sono in Italia? Lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni dovrebbero avere una loro esatta mappatura, sennò su quali “opere d’arte” i tecnici farebbero le ispezioni trimestrali e gli ingegneri la loro ispezione annuale? Tutto era stato lasciato al caso quando lo Stato era padrone di tutti i ponti, i viadotti, i cavalcavia e di tutte le strade e le autostrade; da quando sono iniziate le privatizzazioni il “caso” è diventata la norma; ogni società concessionaria decideva praticamente per conto proprio quali e quante ispezioni fare nell’arco non del trimestre o dell’anno, ma  dell’intero periodo di concessione. Dopo tante tragedie e, soprattutto, dopo i 43 morti del ponte Morandi, lo Stato, attraverso il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, il 1° luglio 2022 emana un decreto che stabilisce le altisonanti «Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza ed il monitoraggio dei ponti esistenti» (3).

Prendendo in considerazione solo il periodo dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, sono passati 76 anni prima che il governo dell’Italia repubblicana decidesse di dare ufficialmente le «linee guida» per classificare e gestire i rischi dei ponti esistenti. Attualmente i ponti in Italia sono 1 milione e mezzo; il 24%, cioè 360mila ponti, sono stati costruiti prima del 1961; il 28%, cioè 420mila sono stati costruiti tra il 1961 e il 1980, il 33%, ossia 495mila tra il 1981 e il 2000, mentre il restante 15%, cioè 225mila sono stati costruiti dopo il 2000. Insomma il 52%, ossia 780mila ponti, hanno più di 40 anni (contro una media nei paesi del G7 che si attesta fra i 20 e i 30 anni). Dalle notizie che si hanno sulle cause dei crolli, è evidente che la loro costruzione non corrisponde per niente a criteri di sicurezza. Solo negli ultimi anni circolano dati che appaiono abbastanza certi sul loro numero, e su quanti sono effettivamente a forte rischio di crollo. I dati del Politecnico di Milano del 2021 rivelano che su 61mila ponti indagati ben 1900 presentano «altissimi rischi strutturali» e più di 18mila viadotti presentano «criticità necessitanti di interventi di manutenzione» (4). Inoltre, giusto per non farsi mancare niente, secondo un’indagine del 2018 dell’Anas, ben 1425 ponti risultano di proprietà e gestione non identificata; il che significa che, pur essendo normalmente utilizzati dal traffico automobilistico, la loro manutenzione è nella mani... di Dio.

Il sistema capitalistico, perfino nella gestione della proprietà privata e pubblica, riesce a confondere talmente le carte, da non poter dare certezza di che cosa posseggono davvero i padroni e di che cosa sono effettivamente responsabili...

Resta però la certezza che, quanto a prevenzione e, quindi, a manutenzione dei ponti, dei cavalcavia e dei viadotti i loro padroni – siano enti pubblici o privati – nemmeno le più grandi tragedie riescono a far rimediare ai danni causati dall’incuria e dall’incompetenza delle “autorità competenti”: troppo forte la ricerca del massimo profitto con il minimo di costi, in questi casi come in tutte le più semplici o complesse attività economiche. Se questo sistema sociale sa solo piangere lacrime di coccodrillo di fronte ad ogni tragedia che si somma alle precedenti in un continuum senza fine, e lascia sostanzialmente che le cose continuino ad andare secondo le leggi del profitto capitalistico, è un sistema sociale da cancellare dalla faccia della terra. Finora è il capitalismo che ha cancellato dalla faccia della terra le vite di bambini, donne, uomini di ogni età, nelle tragedie stradali, ferroviarie, aeree, nei posti di lavoro, nelle guerre. Non sarà mai troppo tardi che sia il capitalismo, questo sistema sociale disumano ed assassino, ad essere cancellato dalla faccia della terra, ma perché ciò avvenga è necessario che la classe dei veri produttori, la classe dei salariati, la classe che rappresenta il lavoro vivo, si sollevi, unendo le forze in un movimento rivoluzionario nazionale e internazionale perché la specie umana riconquisti la dimensione umana della sua vita, della sua attività quotidiana, del suo futuro.

La rivoluzione proletaria e comunista sarà la più grande e risolutiva opera d’arte che l’umanità potrà realizzare.

 


 

(1) Cfr. https://www.ilmamilio.it/c/news/9370-quando-crollo-il-viadotto-di ariccia-e-i-giornali-titolavano-in-italia-nessuno-controlla-i-ponti.html, 20/08/2018.

(2) Cfr https://www.fleetmagazine.com/sicurezza-ponti-italia/, 14/08/2023.

(3) Ibidem.

(4) Cfr https://www.fleetmagazine.com/sicurezza-ponti-italia/, 14/08/2023.

 

6 ottobre 2023

 

 

Partito Comunista Internazionale

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