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La devastazione delle alluvioni in Europa centrale, a cui il capitalismo ha aperto la strada
All'inizio del secondo fine settimana di settembre, le alluvioni hanno colpito l'Europa centrale (principalmente la Repubblica Ceca, la Polonia, l'Austria, la Slovacchia, l'Ungheria e la Romania) a causa di due sistemi frontali sulla regione e di piogge persistenti (ad esempio, le montagne di Jeseníky hanno ricevuto oltre 500 mm per m², superando le precipitazioni delle alluvioni del 1997). Al 19 settembre, 24 persone erano morte e decine di migliaia erano state evacuate.
Nella Repubblica Ceca, le alluvioni hanno colpito soprattutto la Moravia centrale, settentrionale e nordorientale e la Slesia, dove tra l'altro si trovano le aree economicamente più povere, e l'acqua ha inondato anche parti della terza città del paese, Ostrava, oltre a Jeseník, Hanušovice, Opava, Krnov e Litovel; i fiumi sono rimasti nei loro letti nella capitale, Praga, e nella seconda città più grande, Brno. In totale, 55 località hanno sperimentato la cosiddetta acqua dei 100 anni, cinque persone sono morte e otto risultano disperse, quasi 200.000 famiglie si sono trovate temporaneamente senza elettricità e una parte significativa senza segnale mobile.
La situazione in Polonia è stata molto più catastrofica che in Austria, Slovacchia o Repubblica Ceca. Nelle regioni meridionali, in tre giorni è caduta tanta acqua quanta ne è caduta in media nell'intero anno. Molte dighe e barriere non sono riuscite a resistere all' alluvione, così le città di Hlucholazy, Kladsko, Prudnik e Nisa e parti di Jelenia Góra e Wleń sono state inondate. Il gigantesco polder asciutto di Dolní Ratiboř ha protetto a lungo Wrocław, con i suoi 672.000 abitanti, che ha resistito all'assalto del fiume Odra con un'altezza di 644 cm. 11 persone persero la vita.
Noi diciamo che è il capitalismo che ha “aperto la strada” alle inondazioni, ma molti diranno che non è tutta colpa del capitalismo, e che molti di coloro che solo ieri criticavano il capitalismo oggi si ergono a difensori della società in sé, cioè della società borghese, proprio come facevano all'epoca del Covid-19. Ma alla domanda: che sistema è questo, chi decide l'organizzazione di questa società, le priorità, la direzione generale, la prevenzione, la protezione dell'uomo e della natura? La risposta è: il capitalismo, un sistema fondato sulla divisione in classi della società che determina l'esistenza della maggioranza della popolazione come l’enorme massa dei senza riserve, dunque lavoratori salariati o potenziali salariati, e altri strati poveri che vengono sfruttati e oppressi peggio delle bestie, che subiscono violenze e repressioni, nell'esclusivo interesse della valorizzazione del capitale, perseguendo una corsa sfrenata al profitto a detrimento della specie umana e dell’ambiente naturale.
Sebbene i meteorologi siano riusciti ad allertare per tempo e a modellare in anticipo il movimento delle masse d'aria, e persino a prevederne lo sviluppo e le precipitazioni in modo quasi esatto, l’ambiente è stato talmente distrutto dal regime capitalista che la sua capacità di far fronte a forti precipitazioni è molto limitata.
Il raddrizzamento dei fiumi e dei torrenti cechi nel XX secolo ha comportato la perdita di 160.000 chilometri di lunghezza dei fiumi, e i fiumi raddrizzati fanno scorrere l'acqua più velocemente, mentre le loro esondazioni naturali, che prevederebbero zone libere alluvionali, sono essenziali per affrontare l’episodico aumento della massa d’acqua dovuto alle piogge torrenziali. La borghesia non vuole toccare questi fiumi raddrizzati, perché di solito nelle loro zone alluvionali vi sono abitazioni e infrastrutture. Esistono solo piccoli progetti di controllo dei fiumi, di pochi chilometri al massimo, spesso su iniziativa di privati, che non portano a un cambiamento sistemico.
Nei campi, abbiamo perso l'infiltrazione dell'acqua con l'aratura di 49.000 chilometri di porche (1), mentre nei grandi campi privi di elementi di separazione (ad esempio, strisce di infiltrazione, porche ecc.), l'acqua può defluire molto rapidamente in un campo nudo, conferendogli una forza corrosiva che porta con sé l'erosione diretta. Il monitoraggio dell'erosione ha registrato oltre 440 eventi all'inizio di settembre, il numero più alto di tutto il monitoraggio storico, e la perdita di 21 milioni di tonnellate di soprassuolo per un valore di 4,2 miliardi di corone ceche (167.409.603 euro) – soprassuolo che richiede centinaia di anni per formarsi –, in totale, il 48% dei terreni agricoli coltivabili è degradato e il 60% è a rischio di erosione; tra il 2000 e il 2020, ogni giorno sono andati persi in media 17,9 ettari di terreno coltivato (328 km² di terreno coltivabile sono stati trasformati in terreno edificato), vale a dire che in quei 20 anni è andato perduto il 10% del terreno coltivabile della Repubblica Ceca, che però rappresenta ancora la maggior parte della superficie totale (l'11% del territorio è urbanizzato e circa il 5% è coperto da cemento o asfalto, e solo lo 0,3% è lasciato alla natura selvaggia).
In condizioni normali, il suolo in ottime condizioni può assorbire fino a 30 mm di pioggia in un'ora, una quantità equivalente a una forte precipitazione. Secondo gli esperti, questa cifra è per lo più irrealistica, poiché la maggior parte dei terreni della Repubblica Ceca è in condizioni tali da assorbire solo una minima quantità d'acqua in caso di piogge torrenziali estreme e diffuse; ad esempio, un documento governativo del 2017 emesso dal Ministero dell'Ambiente afferma che la capacità del suolo di trattenere l'acqua è diminuita del 40% dal 1950, il che significa un elevato scolo di acqua nei ruscelli e nei fiumi, a cui contribuiscono le aree edificate, i parcheggi e le altre superfici impermeabili – cioè, invece di trattenere l'acqua, questa viene convogliata nelle fognature e nei corsi d'acqua, causando anche l'abbassamento del livello delle acque sotterranee. Inoltre, il 90% del sottosuolo è compattato, cioè si comporta come una superficie impermeabile, riceve precipitazioni minime e non è quindi in grado di assorbire le piogge più intense, mentre l'assorbimento delle piogge dipende sempre dal contenuto di umidità iniziale e dal fatto che sia degradato, cioè se il suolo può assorbire l'acqua e se i suoi pori vengono riempiti, la maggior parte dei suoli oggi è essenzialmente secca fino a un metro di profondità.
Per contestualizzare, nella Repubblica Ceca – anche tenendo conto della sua posizione geografica strategica – si trova un quinto di tutti i capannoni e magazzini di produzione dell'Europa centrale e orientale (quasi sempre su terreni ex agricoli), e addirittura il maggior numero di capannoni e magazzini per abitante della regione: 11,7 milioni di metri quadrati!
Le organizzazioni ambientaliste sottolineano da tempo la mancanza di azioni per la protezione del suolo e dell'ambiente in generale. Di recente, il Ministero dell'Agricoltura ceco ha adottato misure per indebolire i requisiti ecologici, come l'abolizione dei terreni messi a riposo per la natura, cioè gli elementi paesaggistici, i maggesi e le strisce protettive, che ora stanno scomparendo di nuovo dal paesaggio o non vengono realizzati, il che, secondo gli ecologisti, è in contrasto con l'impegno formale del programma governativo di mettere a riposo un decimo dei terreni agricoli per la protezione della biodiversità (ad esempio, il 40% degli uccelli di campagna è già scomparso dal 1982), il che significa limitare le sovvenzioni agricole ai terreni improduttivi. Naturalmente, anche i governi precedenti non hanno avuto fretta di adottare misure paesaggistiche o di prevenzione delle alluvioni: per quanto riguarda la prevenzione delle alluvioni, un rapporto del 2020 della Corte dei Conti Suprema sostiene che tra il 2016 e il 2018 lo Stato ha investito solo un terzo dei fondi che aveva previsto.
Marek Výborný, il ministro dell'Agricoltura ceco, nel contesto delle recenti alluvioni, ha messo la parola fine a tutto: si è fatto sentire dopo una riunione dello staff di crisi, le alluvioni sono state “colpa” degli ecologisti, ovvero “se gli attivisti ecologisti non avessero ostacolato la costruzione della diga di Nové Heřminovy, i danni causati dalle alluvioni a Krnov e Opava sarebbero stati incomparabilmente minori”! La realtà è che – oltre al fatto che un polder asciutto ha molto più senso di una diga – non sono gli ecologisti i responsabili del ritardo nella costruzione, ma le condizioni di proprietà – l'acquisto dei terreni – e il generale disinteresse dello Stato, che vede come soluzione solo milioni di tonnellate di cemento e acciaio, mentre le organizzazioni ecologiste hanno avanzato proposte più complesse che prevedono “bacini più piccoli e altre misure parziali, dove almeno alcuni di essi avrebbero potuto essere costruiti molto tempo fa, rispetto alla complessità di un'unica grande diga, e visto che il paesaggio è privo di sfoghi naturali per i fiumi e di zone alluvionali restituite al loro stato naturale, che prevengono le inondazioni in modo più affidabile delle dighe”.
Questo contesto generale delle alluvioni dimostra come la prevenzione e la compatibilità tra uomo e natura non siano affatto una priorità nella società capitalista – e un’ulteriore esempio che dimostra l'influenza della società borghese è il fatto che dopo una massiccia ondata di aiuti, la settimana successiva alle alluvioni, si prevede un calo dei volontari di oltre il 70% nei giorni lavorativi: i proletari devono andare al lavoro, valorizzare il capitale, macinare profitti capitalistici per i capitalisti! Naturalmente, anche se il capitalismo rivitalizzasse l’ambiente – non certo in qualche anno ma in decenni e decenni –, si otterrebbe “solo” che una determinata alluvione venga distribuita su un periodo di tempo più lungo e non abbia un picco così grande, perché è impossibile eliminare completamente le alluvioni naturali. Anche un terreno sano ha i suoi limiti fisici, da un punto di vista “naturale”, il punto è che l'acqua non scorre via tutta insieme. Ma nel complesso, e non ci sono dubbi sul legame tra l'aumento delle alluvioni e il cosiddetto cambiamento climatico, si tratta di un problema sociale e quindi politico. Ma non va dimenticato l’aspetto economico per il quale il sistema capitalistico è sommamente interessato: ogni catastrofe cosiddetta naturale comporta occasioni ghiotte di investimenti e di profitto, sia nell’intervento d’emergenza sia nella ricostruzione. Tutte le catastrofi “naturali” avvenute finora sono sempre state sistematicamente occasione di profitto capitalistico.
I veri comunisti non sono indifferenti alle questioni che ricadono sulle spalle delle masse lavoratrici e diseredate della società borghese, anche se non si tratta direttamente della cosiddetta questione del salario e del posto di lavoro. Tuttavia, l’attenzione ai problemi “ambientali” non è una scivolata verso il movimento interclassista verde; i comunisti sono ben consapevoli che la base della società borghese è costituita dai rapporti sociali capitalistici, con la maggioranza della società – il proletariato moderno, cioè la classe operaia senza riserve – costretta con la forza a sottomettersi alla dittatura del lavoro salariato, a essere sfruttata, a non avere alcun controllo né sui frutti del suo lavoro sociale né tanto meno sulla terra e sull’ambiente in generale e a subire le conseguenze della lotta competitiva tra capitalisti e tra gli Stati che rappresentano l’interesse generale del capitalismo e lo sbocco inevitabile di questa lotta in conflitti armati.
Gli attivisti dell'ambiente e della società civile descrivono correttamente che i poveri e i paesi poveri soffrono incomparabilmente più degli altri, ma il massimo che riescono a proporre è un capitalismo dal volto umano, qualcosa che è di moda chiamare “società resiliente” (in pratica, una società in cui il Capitale non smette di dominare); nello studio Oxfam, ad esempio, gli accademici scrivono che “per essere resiliente, una società richiede comunque la collaborazione dei suoi membri” e deve “mettere in discussione le istituzioni sociali, economiche e politiche che forniscono sicurezza ad alcuni ma vulnerabilità a molti, e ridistribuire il potere e la ricchezza (e con essi i rischi)”. Invece di una critica impietosa che può essere solo comunista, culminante in un rovesciamento rivoluzionario della classe dominante borghese e in un salto verso una società di specie umana, senza classi, denaro e profitto, cioè il comunismo, gli accademici pensano a come far sì che le masse diseredate scoprano di non essere sole in una situazione difficile, a come rafforzare la loro fiducia nel funzionamento dei sistemi di aiuto, perché queste masse sono “emarginate e (...) lo Stato non gli ha fornito per anni un alloggio accessibile e decente o un'assistenza sanitaria di base” e quindi "non hanno motivo di avere fiducia".
Ma che senso ha lottare solo per parziali e temporanei rimedi ambientali quando il capitalismo imperialista genera le devastazioni della guerra, come quelle in corso in Ucraina, a Gaza, in Libano, i cui effetti tragici, dovuti alla disoccupazione, alle malattie, al ritrovamento di bombe aeree o di artiglieria di oggi e perfino della seconda guerra imperialista, continueranno a manifestarsi molti decenni dopo la loro fine?
Il compito dei comunisti è quello di entrare in tutte le fratture sociali – anche nei temi della distruzione capitalistica dell'ambiente in cui vive la specie umana – e con la loro arma della critica (prima che possa aver luogo la critica delle armi) amplificare la determinazione del proletariato a lottare contro tutto ciò che rappresenta la società borghese, per la conquista del potere politico e la distruzione dello Stato borghese, e in tale situazione dirigerla lotta rivoluzionaria delle masse proletarie all’instaurazione della dittatura proletaria fornendola della massima efficacia possibile. L’organo centrale della rivoluzione comunista è il partito politico di classe, il partito comunista internazionale, “che realizza la cosciente organizzazione di quell’avanguardia del proletariato che ha compreso la necessità di unificare la propria azione, nello spazio al di sopra degli interessi dei singoli gruppi, categorie o nazionalità; nel tempo, subordinando al risultato finale della lotta i vantaggi e le conquiste parziali che non colpiscono l’essenza della struttura borghese”. Quando parliamo di dittatura del proletariato e di partito, intendiamo la conquista del potere politico e la riorganizzazione della società da cima a fondo, dunque l'intervento nei rapporti economici dall'alto al basso, non le bugie sulle istituzioni della democrazia rappresentativa; non l'illusione con cui la classe dominante – e alla fine del diluvio, nella Repubblica Ceca si sono tenute elezioni suppletive regionali e del Senato – culla il proletariato facendogli credere che non la lotta rivoluzionaria, ma l' impotente urna elettorale gli consentirà di rovesciare la piramide sotto il cui peso è schiacciato.
La vera soluzione anche del problema “ecologico” può avvenire solo rafforzando il potere di classe del proletariato, non solo la sua difesa dagli attacchi del capitale alle sue condizioni di lavoro e di vita (e ambientali), ma anche la sua offensiva, sebbene tale prospettiva è oggi remota; e per questo è necessario rafforzare il partito di classe, il partito comunista rivoluzionario, saldo nella sua dottrina e nella critica, rafforzando programmaticamente e organizzativamente le lotte del proletariato, anche per conto delle altre masse diseredate, contro la società borghese, scagliandosi globalmente contro il fronte unito capitalista e il suo nugolo di lacchè e di poliziotti, contro l'influenza del collaborazionismo dei sindacati tricolore e dei falsi partiti operai, e di tutta la massa di intellettuali, accademici, sociologi, ecologisti che la borghesia usa per rincretinire e deviare il proletariato dalle sue lotte classiste.
I sacrifici che il proletariato, e in particolare i comunisti rivoluzionari, saranno chiamati a fare nel corso del movimento rivoluzionario saranno molto più pesanti che sotto l'attuale dittatura borghese;, saranno costretti a superare gli effetti della devastazione economica, delle repressioni e dei massacri di guerra, delle maggiori difficoltà, forse anche di un ambiente distrutto (queste realtà potrebbero riportare molti di coloro che simpatizzano idealmente per il comunismo a difendere la società borghese e i suoi inutili tentativi di umanizzarla). Ma non c'è altra strada: al dissesto sistematico del territorio non ci sono rimedi reali finché continuerà ad esistere la società del capitale. Il dissesto del territorio è parte integrante del dissesto economico che il sistema capitalistico genera costantemente, ed è il dissesto economico, quando raggiunge livelli insopportabili per il profitto capitalistico, che genera fattori di contrasto tra Stati e tra poli imperialistici tanto da avviare l’intera società alla guerra mondiale. Perciò noi sosteniamo che alla guerra imperialista che si prepara il proletariato deve opporsi con la guerra di classe.
(1) Porca: In agraria, striscia di terreno di varia ampiezza (detta anche prosa), sopraelevata sul livello del suolo e compresa tra due solchi, che ha lo scopo di smaltire celermente l’acqua di precipitazione
22 settembre 2024
Partito Comunista Internazionale
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