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Guerra russo-ucraina: pace imperialista all'orizzonte...
Non si sa quando la guerra russo-ucraina si fermerà per lasciare lo spazio a una pace, che non potrà essere che imperialista, cioè una pace che non risolverà i motivi profondi del conflitto scoppiato fin dal 2014 in Crimea e nel Donbass. Una pace che sospenderà per un certo periodo questo particolare conflitto ma che non sarà risolutiva rimescolando le carte e gli interessi "locali" in vista di contrasti ben più decisivi in quadranti ben più ampi e mondiali. La pace imperialista non è che un periodo di tregua tra un conflitto armato che si spegne e un conflitto armato che si riaccende. La storia del capitalismo imperialista non ha fatto altro che dimostrare che le borghesie dominanti dei paesi economicamente e finanziariamente più forti non sono in grado di eliminare dal loro futuro la guerra guerreggiata. La volontà delle borghesie dominanti, anche le più forti del mondo, non ha alcun potere sulle leggi fondamentali del capitalismo di cui esse non sono che la rappresentazione politica che si traduce in organizzazioni statali il cui compito è quello di difendere innanzitutto gli interessi del proprio capitalismo nazionale, e poi gli interessi del capitalismo in generale dal quale ogni capitalismo nazionale dipende. Al di là, dunque, della volontà o meno di "pace" che la borghesia ucraina o russa, e dei loro reciproci sostenitori, vogliano perseguire, resta il fatto che questa guerra, come qualsiasi guerra nella fase imperialistica del capitalismo, è una delle risposte che la borghesia adotta sistematicamente quando si trova di fronte a una crisi economica profonda. Come afferma il Manifesto di Marx-Engels, i mezzi che la borghesia adotta per superare le sue crisi economiche – che sono crisi di sovraproduzione nelle quali vengono distrutte quantità sempre crescenti di beni, di mezzi di produzione e di forza lavoro salariata – consiste nel rendere i mercati abituali più ricettivi alle quantità sempre maggiori e diversificate di merci prodotte e conquistare nuovi mercati. E' la caduta del saggio medio di profitto del capitale che mette in crisi sistematicamente il capitalismo impedendogli di svilupparsi senza limiti e pacificamente. Se in una determinata area del mondo gli Stati borghesi convivono in pace – ad esempio in Europa, dalla divisione in due della Germania fino al crollo dell'URSS –,altre aree del mono hanno invece subìto le conseguenze della potente pressione esercitata dagli interessi imperialistici contrastanti di questa o quella potenza, di questo o quel blocco di potenze.
Con le diverse fasi di guerra che hanno coinvolto le repubbliche della ex Jugoslavia nel primo quinquennio degli anni Novanta del secolo scorso, si è aperto il periodo della sistematica instabilità della pace in Europa. Non è casuale che le guerre in Jugoslavia coincidessero con il crollo dell'URSS e con la riunificazione delle due Germanie. Questa riunificazione che, per un certo verso è stato un boccone indigesto non solo per la Russia, ma anche per gli Stati Uniti, ha segnato un punto di svolta nel quadrante europeo – e quindi anche mondiale – nel senso che la potenza industriale tedesca, rinata dopo la sconfitta nella seconda guerra imperialista, tendeva a riconquistare in Europa e nel mondo un ruolo che le era stato negato, sia dagli Stati Uniti che dalla Russia, proprio in ragione della sua sconfitta nella seconda guerra mondiale. Ma nei confronti della Russia la Germania ha avuto sempre un rapporto di grande ambiguità: dal punto di vista economico la Russia ha sempre rappresentato per la Germania un importante fornitore di materie prime e un mercato di sbocco della propria produzione industriale (tanto più nel periodo in cui l'impero russo dominava sui paesi dell'est Europa); ma dal punto di vista politico rappresentava un avversario che per ben due volte nelle guerre mondiali si è trovato contro. Dopo il crollo dell'URSS e l'inevitabile sganciamento da Mosca dei paesi dell'est Europa, per finire nelle fauci dell'imperialismo americano ed europeo-occidentale, la Germania ha continuato a subire il controllo militare da parte dell'America attraverso la Nato; e si sa che il controllo militare è il mezzo più importante per il controllo politico. La Russia, da parte sua, per ragioni essenzialmente economiche, commerciali e finanziarie non poteva e non può, in genere, fare a meno di avere rapporti molto stretti con la Germania ed è grazie a questo reciproco interesse che, dagli anni Novanta in poi, la Russia è diventata la maggior fornitrice di gas naturale e petrolio della Germania e, attraverso di essa, dell'Europa (gas di cui l'Italia ha fruito notevolmente diventandone il secondo importatore europeo, dopo la Germania). Potevano gli Stati Uniti lasciare che fra la Germania – e quindi, lo si voglia o no ammettere, l'Europa – e la Russia si radicasse un rapporto che, in previsione di uno scontro di interessi imperialistici con la Russia, avrebbe costituito un ostacolo non indifferente?
La Nato e i dollari, sono diventati così il mezzo con cui rompere il rapporto privilegiato che avevano Russia e Germania. Non per caso il 1999 segna l'avanzata della Nato in tutto l'est Europa, a partire da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, per proseguire poi, tra il 2004 e il 2020 con l'accorpare tutti i paesi dell'est Europa, compresi i balcanici Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord allungando le mani, come si sa, anche sull'Ucraina e la Georgia. Oggi la Russia, con l'adesione alla Nato di Finlandia e Svezia, si ritrova non solo accerchiata ma, di fatto, assediata lungo i suoi confini occidentali.
La guerra che l'Ucraina e la Russia si stanno facendo, indirettamente dal 2014, direttamente dal 2022, tra i suoi obiettivi ha avuto certamente l'adesione o meno alla Nato, ma non solo. Che l'Ucraina facesse una guerra contro la Russia soprattutto a favore degli Stati Uniti e, in seconda linea, a favore dell'Europa occidentale, era evidente da subito, cioè da quando nell'aprile 2022, due mesi circa dopo l'invasione subita da parte delle truppe russe, l'Ucraina di Zelensky era disposta a trattare con Mosca la fine del conflitto al centro del quale c'erano la Crimea e le regioni russofone del Donbass (1). Furono gli angloamericani a convincere Zelensky ad accettare lo scontro armato con i russi, scontro per il quale garantivano sostegno finanziario, politico e militare per tutta la durata della guerra. L'obiettivo degli Stati Uniti, guidati da Biden, e degli europei accodatisi a Londra e a Washington, era di indebolire economicamente, e quindi politicamente la Russia a tal punto da costringerla a venire a patti con le potenze atlantiche che avrebbero naturalmente imposto le loro condizioni.
La mossa era certamente azzardata, vista la forza militare russa, ma l'orgoglio ucraino e l'interesse delle frazioni borghesi ucraine legate agli Usa e all'Europa occidentale, hanno giocato a favore della continuazione della guerra, a maggior ragione grazie alle continue rassicurazioni di sostegno all'Ucraina "fino alla vittoria". Era evidente da subito che le potenze occidentali non avrebbero inviato le proprie truppe in Ucraina in appoggio all'esercito di Kiev, vista la forza numerica delle truppe russe mobilitabili sul terreno, ma l'impegno assicurato riguardava il sostegno in miliardi di dollari e di euro e in armamenti da parte di tutti i membri della Nato. Ciò non escludeva che gli angloamericani inviassero in Ucraina i loro specialisti per addestrare i soldati ucraini a utilizzare gli armamenti forniti e i loro uomini dei servizi segreti.
Dal 24 febbraio 2022, giorno di inizio dell'invasione dell'Ucraina da parte russa, ad oggi, 19 novembre 2024, sono passati 1000 giorni di guerra, bombardamenti, massacri, sfollamenti, miseria, fame e freddo per milioni di ucraini; e per decine di migliaia di soldati russi non è andata meglio, prigionieri anche loro di una guerra in cui sono stati intruppati a forza e nella quale, anche fra di loro, si è estesa la pratica della diserzione e della corruzione per evitare di essere mandati al fronte, tanto da spingere il governo di Putin a inviare in Ucraina soldati dalle regioni asiatiche della Russia e, perfino, soldati nord coreani generosamente offerti come carne da cannone da Kim Jong-un.
Il tremendo castello di illusioni e false speranze con cui gli Atlantisti hanno spinto milioni di ucraini a subire distruzioni e massacri, è fragorosamente caduto mesi fa, quando la fantomatica "controffensiva" ucraina avrebbe dovuto rigettare oltre confine le truppe russe. Le diserzioni da parte ucraina, la legge marziale, la pressione del governo Zelensky presso i paesi europei nei quali si sono riparati milioni di ucraini fuggendo dai bombardamenti massici delle loro città e dei loro villaggi, perché li rispedissero in Ucraina per farne carne da cannone, raccontano una realtà ben diversa da quella propagandata dalle borghesie occidentali e ucraine. Non solo, ma una guerra che forse solo Mosca aveva all'inizio ipotizzato di breve durata, dimostratasi poi molto più dura e lunga sia per la forte resistenza dell'esercito ucraino, sia per il forte sostegno finanziario e in armamenti da parte delle potenze occidentali, a partire dagli Stati Uniti, si è rivelata una politica per nulla lungimirante.
L'obiettivo di piegare economicamente la Russia e di isolarla internazionalmente non è stato raggiunto, e non sarà raggiunto nemmeno proseguendo la guerra per altri 1000 giorni, semmai gli occidentali lo volessero. I 14 piani di sanzioni economiche con cui le potenze occidentali hanno tentato di piegare la Russia non hanno avuto il risultato previsto: l'hanno indebolita economicamente? Sì, soprattutto perché non ha potuto accumulare i miliardi di profitti dalle forniture di gas, petrolio, prodotti alimentari, di alta tecnologia ecc. come faceva prima della guerra, e perché i suoi capitali depositati nelle banche occidentali sono stati congelati. Ma queste sanzioni hanno avuto un risvolto particolarmente negativo soprattutto per le economie dei paesi europei occidentali che hanno dovuto subire aumenti considerevoli per il proprio rifornimento energetico, basilare per l'apparato industriale di tutti i paesi. Ma guarda un po', chi ne ha beneficiato? Gli Stati Uniti naturalmente – ad es. col gas naturale liquefatto, molto più caro del gas naturale che forniva la Russia – e, in seconda battuta, la Norvegia che è diventata di colpo la prima e insostituibile fornitrice di gas naturale per diversi paesi europei, alla faccia della riduzione progressiva delle fonti fossili...
Qual è il paese europeo che ha subito il danno maggiore da questa guerra e dalle sanzioni contro la Russia? La Germania che già nel secondo decennio del nuovo secolo registrava un sensibile calo della spinta economica rispetto al decennio precedente, e che con la pandemia di Covid-19 – come d'altra parte la maggior parte dei paesi capitalistici avanzati – accusava un'ulteriore frenata, recuperando in positività nel post-pandemia temporaneamente solo all'inizio del 2022, ma ripiombando in recessione dalla fine del 2022. E' ovvio che il maggior costo dell'energia e un'inflazione scattata al +8,7% hanno contribuito decisamente alla recessione. E il 2023 non è andato meglio, visto che il Pil tedesco ha subito una flessione dello 0,3% e che il Pil del 2024 ricalca sostanzialmente lo stesso dato negativo. Questa situazione non favorisce certo un ulteriore sforzo a sostegno dell'Ucraina nella guerra contro la Russia, che assume sempre più le caratteristiche di una guerra di logoramento nella quale la Russia resiste e si difende molto meglio dell'Ucraina. D'altra parte, già nel 2023 gli "aiuti" tedeschi a Kiev erano diminuiti drasticamente. Se, come sta succedendo, è la Germania – la potente economia che da sola, negli ultimi trent'anni, ha fatto per l'economia europea da volano positivo anche per le altre economie nazionali – ad andare in crisi, la crisi inevitabilmente è destinata a espandersi progressivamente a tutta l'Europa. E crisi significa aumento del costo della vita, aumento della disoccupazione, riduzione degli ammortizzatori sociali, aumento della concorrenza tra proletari, aumento delle tensioni sociali. E chissà che il proletariato tedesco non si svegli dal lungo sonno in cui è precipitato da decenni.
La Germania, dopo il 24 febbraio 2022, non poteva tenere una posizione "equidistante" fra Russia e Ucraina,. Gli obblighi in quanto membro della Nato e le pressioni subite dalla maggior parte degli altri paesi dell'Unione europea, dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, l'hanno spinta a prendere le difese dell'Ucraina contro la Russia, anche se con quest'ultima da anni aveva stabilito ottimi rapporti economici e politici. E' evidente che in questa guerra la Germania ha lavorato contro i suoi interessi nazionali. Ha addirittura dovuto subire la distruzione del gasdotto Nord Stream – quello che attraverso il Mar Baltico portava il gas naturale russo in Germania, e da qui in Europa –, distruzione che, in un primo tempo, era stata attribuita addirittura ai russi (?!!) ma che si è poi rivelata come opera dei servizi segreti ucraini, e di cui certamente americani e inglesi erano al corrente. La distruzione di questo gasdotto si aggiunge ai gravi danni che sta subendo la Germania rispetto ai suoi lucrosi affari con la Russia precedenti il 24 febbraio 2022; ed è certamente qualcosa che la borghesia tedesca non dimenticherà facilmente e che si aggiungerà alle umiliazioni che ha subìto fin dalla fine della seconda guerra mondiale, attenuate in parte, ma solo in parte, dalla riunificazione del paese dopo la caduta del muro di Berlino di cui proprio in questi giorni ricorre il 35° anniversario.
LA DISPERATA INCURSIONE UCRAINA OLTRE CONFINE
Il 6 agosto scorso, con l'incursione militare di terra nella regione russa di Kursk, a nord di Belgorod e confinante con la regione ucraina di Sumy, , Zelensky ha sorpreso la Russia con un'azione molto azzardata anche se si è svolta in una regione di importanza non decisiva nel conflitto russo-ucraino. Mentre le truppe russe, lentamente ma progressivamente continuano a conquistare chilometri quadrati nel Donbass, e mentre si avvicina l'inverno in un'Ucraina colpita seriamente nelle sue riserve energetiche indispensabili non solo per la produzione, ma anche per il riscaldamento delle abitazioni, questa operazione è stata ideata per sollevare il morale delle truppe ucraine andando a "colpire i russi a casa loro" nella speranza di poter utilizzare, in seguito, i territori occupati nella regione di Kursk come moneta di scambio per quelli occupati dai russi nel Donbass.
Che l'Ucraina non abbia alcuna possibilità di vincere questa guerra – aldilà delle sparate di Zelensky relative alla controffensiva fino "alla vittoria" – è un fatto evidente non da oggi. E non sono certo le tonnellate di armi e i miliardi di dollari e di euro che gli imperialismi occidentali hanno erogato, e stanno ancora erogando, al governo di Zelensky a dare una svolta decisiva a favore dell'Ucraina. E' sempre più evidente che, a fronte degli obiettivi della Russia in terra ucraina (reimpossessarsi della Crimea e delle regioni russofone del Donbass), gli obiettivi dell'Ucraina di ricostituire una sovranità totale su tutto il territorio nazionale corrispondente a quella che era la seconda repubblica sovietica dell'ex URSS (Crimea e Sebastopoli comprese) erano e sono molto lontani dal potersi realizzare. Le tensioni con il governo di Kiev tra la popolazione russofona maggioritaria di Crimea e le popolazioni russofone del Donec’k e del Luhans’k, si sono inevitabilmente trasformate in scontri tra nazionalisti russi e nazionalisti ucraini (gli uni contro gli altri sobillati appositamente da Kiev e da Mosca), tali per cui l'autonomia promessa da Kiev alle regioni di Donec’k e Luhans’k, sottoscritta dagli accordi di Minsk, non si è mai attuata.
Va ricordato che gli accordi di Minsk ( I e II ) – perorati dalla Francia di Hollande e dalla Germania della Merkel che intendevano svolgere il ruolo dei "pacificatori" per permettere agli affari di entrambi i paesi di prosperare al meglio e di dimostrare alla Russia di Putin (al potere dal 1999) di avere un'influenza decisiva nello stemperare le tensioni che si stavano accumulando in tutta l'Europa dell'est – in realtà sono stati una presa in giro perché sia Kiev che Mosca hanno continuato a soffiare sul reciproco nazionalismo. Gli scontri armati tra le milizie separatiste filo-russe del Donbass e la gendarmeria e l'esercito ucraini sono stati il pretesto per la Russia di inviare i propri militari in Crimea e nel Donbass "a difesa" della popolazione russofona, ma con il vero obiettivo di rimettere le mani su questi territori. Aldilà della propaganda ucraina e occidentale che accusava la Russia di mirare alla ricostituzione del vecchio impero zarista, partendo appunto dall'Ucraina che non era ancora entrata né nella Nato né nell'Unione Europea, sta di fatto che – come ogni imperialismo – anche l'imperialismo russo ha fame di territori economici, di popolazione salariata da schiavizzare e di ricchezze minerarie e agricole che certamente in Ucraina non mancano. E non c'è come la leva del nazionalismo esacerbato da entrambe le parti per trasformare lo scontro politico ed economico in politica di guerra. D'altra parte è evidente che questa guerra è stata voluta e preparata sia dall'imperialismo russo che dagli imperialisti europei e americano.
Ma che fine avrà questa guerra?
Tutti i "piani di pace" che le varie cancellerie del mondo, Ucraina compresa, hanno redatto e proposto non sono stati che continue iniziative per ingannare soprattutto i proletari ucraini e russi che vengono sistematicamente massacrati sui fronti di guerra e nelle città, e i proletari d'Europa e d'America affinché accettino le condizioni di vita peggiorate che questa guerra comporta anche per loro; "piani di pace" che si trasformano in cumuli di carta destinati a prendere polvere e ad essere velocemente dimenticati (2). Tutti questi "piani di pace" partivano dall'ipotesi che l'Ucraina – sostenuta finanziariamente, politicamente e militarmente come di fatto era dalle potenze occidentali – potesse "vincere" la scommessa di riconquistare i territori occupati dai russi, mettendo la Russia in seria difficoltà grazie anche alle sanzioni economiche e finanziarie che l'Occidente stava emanando a mitraglia. Ma dopo due anni e mezzo di guerra, la situazione sul terreno mostra che tutta quella propaganda era un enorme castello di carte a fronte del quale la realtà era costituita da centinaia di migliaia di morti e feriti da ambo le parti (3), dalla distruzione di molte città, di molte fabbriche e di infrastrutture, dalla fuga di milioni di famiglie ucraine nei paesi dell'Europa occidentale e dal progressivo radicarsi dell'occupazione militare da parte russa non solo della Crimea ma di quasi l'intero Donbass.
Nonostante questa evidenza, Zelensky, in previsione dei futuri negoziati con la Russia, ha annunciato, nel suo discorso serale del 18 settembre, il suo "Piano della vittoria" (4): «Tutte le disposizioni, tutti i principali punti, gli allegati necessari con i dettagli del Piano sono stati definiti. Tutto è stato elaborato. La cosa più importante ora è la determinazione ad attuarlo. [...] Non c'è e non può esserci alcuna alternativa alla pace, nessun congelamento della guerra o altre manipolazioni che portino semplicemente l'aggressione russa a un'altra fase, abbiamo bisogno di una sicurezza affidabile e duratura per l'Ucraina e, per estensione, per tutta l'Europa. E' questo a cui stiamo lavorando».
Il "piano per la vittoria" di Zelensky prevede: l'adesione immediata dell'Ucraina alla Nato e il dispiegamento di sistemi di difesa avanzati in Ucraina, l'utilizzo di armi a lungo raggio in territorio russo, il sostegno e la continuazione delle operazioni militare nella regione russa di Kursk, il rifiuto della creazione di "zone cuscinetto" in Ucraina, la sostituzione di truppe statunitensi presenti in Europa con truppe ucraine, e altri punti tenuti per il momenti segreti. E' questo "piano" che Zelensky ha presentato a entrambi i candidati alla presidenza degli Usa e all'assemblea dell'Onu, nella speranza che, se il vincitore delle elezioni fosse stato Trump (come è accaduto), lo avrebbe accolto in continuità con il sostegno finora dato dall'Amministrazione Biden.
LA GUERRA, PER L'UCRAINA, È PERSA
E mentre Zelensky continua a blaterare sulla vittoria di domani, l'oggi degli esperti militari inglesi e americani sottolinea l'impossibilità della vittoria sulla Russia e della necessità di lavorare per la fine della guerra e per il dopoguerra, nel quale l'interesse occidentale sarà di trovare un accordo con la Russia che non sia estremamente penalizzante per l'Ucraina. E' evidente che anche nei negoziati futuri saranno gli americani a dettare le condizioni che l'Ucraina dovrà accettare, appoggiati ciecamente dagli inglesi, mentre l'Unione europea dovrà fare buon viso a cattiva sorte.
La risposta di Trump non si è fatta attendere. Zelensky viene accusato di essere responsabile della guerra con la Russia: Non avrebbe mai dovuto permettere che quella guerra iniziasse. E' una guerra persa (5), e accusa Biden di averla provocata. E suggerisce che l'Ucraina potrebbe dover cedere parte del proprio territorio alla Russia per raggiungere un accordo di pace. Questa proposta viene contestata da Zelensky che, soprattutto rivolgendosi alla popolazione ucraina e ai suoi soldati che stanno invece vivendo tutto il peggio della guerra, alza la voce e ribadisce: l'integrità territoriale dell'Ucraina non è negoziabile (6). Ma anche da parte del Regno Unito, che è stato insieme a Washington l'artefice dell'affondamento del negoziato dell'aprile 2022 (veri istigatori della guerra contro la Russia), arriva un ammonimento.
Frank Ledwidge, ufficiale e consigliere della missione inglese in Afghanistan nel 2007-2008, e in Libia durante e dopo la guerra nel 2011-2012, fin dall'inizio della guerra russo-ucraina ha sempre perorato la causa ucraina e occidentale, confidando che gli armamenti occidentali forniti all'esercito ucraino avrebbero avuto ragione delle truppe russe. Ma già nel maggio del 2023 alla domanda: L'Occidente vuole davvero che l'Ucraina vinca la guerra?, rispondeva: Se sì, deve aumentare il sostegno militare. Nel settembre dello stesso anno ammoniva: Il tempo sta per scadere per la controffensiva dell'Ucraina. I suoi alleati saranno cruciali in ciò che accadrà in seguito. Ma un anno dopo, il 24 settembre 2024, pubblicava su «The conversation» questo commento: L'Ucraina non può sconfiggere la Russia. Il meglio che l'Occidente può fare è aiutare Kiev a pianificare un futuro sicuro nel dopoguerra! (7).
Pianificare il dopoguerra, in questo caso, non significa pianificare il successo, ma la sconfitta dell'Ucraina e, quindi, dell'Occidente. E' un correre ai ripari, visto che la guerra per Kiev è persa, prima di fare la stessa figuraccia fatta in Afghanistan, in Iraq, in Libia. La credibilità della superpotenza americana verrebbe ulteriormente intaccata e spingerebbe molti paesi del cosiddetto "Sud del Mondo" ad affiancarsi alla Cina e alla Russia attraverso il Brics. E' improbabile che le cancellerie occidentali non abbiano tratto un minimo di lezioni dalle sconfitte delle disastrose guerre in Afghanistan, in Iraq e in Libia. Nel caso della guerra russo-ucraina è emerso sempre più il tentativo, in particolare da parte degli angloamericani, di indebolire in modo considerevole la Russia, piegandola ad accettare un ruolo subalterno non solo in Europa, ma nel mondo; obiettivo non raggiunto, se non parzialmente, e conseguito attraverso il massacro di centinaia di migliaia di ucraini e la distruzione di mezzo paese. Finora , per la guerra dell'Ucraina, gli Stati Uniti hanno speso, in aiuti finanziari e in armamenti, 85 miliardi di dollari, mentre l'Unione Europea ne ha spesi 118 (che corrispondono all'incirca al bilancio europeo di un anno). Ovvio che non sono soldi regalati, sono prestiti a lungo termine che l'Ucraina non solo di oggi, ma soprattutto di domani, pagherà molto cari in termini di sudditanza politica e economico-finanziaria dai capitali euroamericani. La tanto sbandierata "sovranità nazionale" è andata a farsi fottere, in realtà, già dal giorno dopo il crollo dell'URSS e la dichiarazione di indipendenza dell'Ucraina: in un primo tempo a causa dell'influenza di Mosca, successivamente a causa dell'influenza di Washington.
Le ragioni degli imperialismi più forti non hanno nulla a che vedere con il benessere dei paesi più deboli, con la democrazia e l'umanitarismo, con la difesa" della "sovranità nazionale" e dei "diritti"; hanno ragioni molto più pragmatiche e ciniche: allargare e rafforzare il loro dominio su più paesi e più mercati possibile, affrontando gli inevitabili contrasti con gli imperialismi avversari con ogni mezzo a disposizione, politico, economico, finanziario e, non ultimo, militare, facendo fare materialmente la guerra, se si presenta l'occasione, come in questo caso, ad altri popoli.
Ma anche quando, come in Afghanistan, in Iraq o in Libia e in altre parti del mondo, gli imperialisti che hanno condotto la guerra non traggono direttamente il vantaggio che prevedevano e se ne vanno scornati, resta il fatto che un risultato di grande importanza (ma normalmente tenuto nascosto) lo raggiungono egualmente nella misura in cui ottiene che il proletariato dei paesi coinvolti nelle loro guerre non si ribella all'ordine capitalistico e imperialistico imposto, non si organizzi sul terreno di classe, non si muova nella prospettiva di sfidare le borghesie dei propri paesi sul terreno della guerra di classe, sul terreno per eccellenza rivoluzionario, trasformando la guerra imperialista in guerra civile per la conquista del potere politico. Vinta o persa la guerra contro lo Stato o gli Stati nemici, resta il fatto che, se il proletariato dei paesi belligeranti non si solleva contro le rispettive borghesie dominanti, ma partecipa alla guerra, magari convintamente come è stato nella guerra del 1939-45, dal lato nazifascista come dal lato "antifascista", la borghesia internazionalmente vince e su questa vittoria di classe costruisce il suo dopoguerra, la sua pace imperialista.
COSA CAMBIA CON TRUMP ALLA CASA BIANCA?
Molte ipotesi si sono fatte e si stanno facendo rispetto alla vittoria elettorale di Trump nelle presidenziali americane. Nella sua campagna elettorale, iniziata fin dall'assalto di massa a Capitol Hill del gennaio 2021, Trump, vantandosi che sotto la sua presidenza l'America non è scesa in guerra con nessuno, ha annunciato che "in 24 ore" la guerra tra Russia e Ucraina sarebbe finita. Aldilà della sparata, caratteristica di un vanaglorioso come Trump, va detto che i rapporti personali con Putin possono giocare un certo ruolo anche rispetto a questa guerra. Ovviamente, gli interessi internazionali dell'imperialismo americano sovrastano di gran lunga i rapporti personali tra il capo della Casa Bianca e quello del Cremlino. Ma sullo sfondo si può evidenziare una differenza tra le fazioni borghesi che sostenevano Biden e la guerra in Ucraina e le fazioni borghesi che sostengono Trump. Queste ultime hanno prioritariamente interesse a contenere l'espansionismo cinese e a impedire che tra Cina e Russia si rafforzi un legame antioccidentale, che creerebbe molti grattacapi sia all'America che all'Europa occidentale. Secondo Trump la guerra tra Russia e Ucraina avrebbe potuto non scoppiare, ma non ha detto come e non dice chiaramente come pensa di finirla. Una cosa però è certa: il vero nemico, attuale e futuro, degli Stati Uniti non è la Russia, ma la Cina. E il vero problema per Washington è di fare in modo che Cina e Russia non si compattino. Secondo Biden, a questo risultato si sarebbe potuto arrivare attraverso l'indebolimento economico e finanziario della Russia raggiunto con la guerra in Ucraina per la quale i paesi europei si sono compattati subendo/accettando gli ukase angloamericani sulle sanzioni contro Mosca e sull'accorpamento dell'Ucraina nella Nato. Questo risultato avrebbe indebolito la Russia a tal punto da non essere più un alleato "affidabile" per la Cina, allontanando così Mosca da Pechino e avvicinandola nuovamente all'Occidente. Era d'altra parte chiaro che, rispetto alla guerra russo-ucraina, aldilà delle sparate dell'ex primo ministro Medvedev sull'uso dell'atomica contro l'Occidente qualora la guerra in Ucraina si trasformasse in guerra della Nato contro la Russia, l'interesse reale delle potenze occidentali non è mai stato quello di ingaggiare una guerra contro la Russia. Basti solo tener conto della situazione delle scorte di armamenti da parte degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei paesi dell'Unione Europea a partire dalla Germania e dalla Francia, per capire che nessuna di queste potenze è pronta attualmente a una terza guerra mondiale. Ciò non significa che non si stiano preparando – come d'altra parte la Russia, la Cina e perfino la "pacifica" India – a una guerra mondiale. Di fatto, la guerra russo-ucraina è servita, molto più della guerra in Afghanistan, in Iraq o in Libia, a saggiare sul reale terreno di guerra la capacità militare, politica e organizzativa, dei diversi protagonisti, anche se tutto ciò ha in un certo senso svuotato gli arsenali occidentali, ma ha nello stesso tempo fornito l'occasione di sbarazzarsi di armamenti vecchi e obsoleti, di testare armamenti di nuova generazione, di mettere in campo e provare la guerra dei velivoli senza pilota – i famosi droni – e di provare sul campo la tenuta delle truppe di terra in una guerra che si è rapidamente trasformata in guerra di logoramento, in guerra di trincea, a riprova che è sul terreno, alla fin fine, che la guerra si può vincere o perdere.
Con Trump alla Casa Bianca, aldilà della sua imprevedibilità, tornano in primo piano alcune questioni di importanza decisiva rispetto al futuro delle potenze imperialiste. La questione Europa, cioè del tentativo di compattamento politico e militare che i paesi membri dell'Unione Europea vorrebbero o potrebbero attuare e l'interesse da parte americana di tenere l'Europa in generale succube della politica di Washington. La questione della Germania, che nell'Europa unita o disunita ha e avrà sempre grande importanza. La questione della Russia, cioè se questa potenza diventerà l'anello debole o l'anello forte nel blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti, o del blocco orientale guidato dalla Cina. La questione della Nato, cioè la questione di un'organizzazione militare che reggerà o meno di fronte all'acutizzarsi dei contrasti fra le diverse potenze imperialistiche, contrasti che, inevitabilmente, faranno da base alla rottura delle attuali alleanze e al loro rimodellamento. La questione del Medio Oriente, dove si concentrano contrasti economici, finanziari, politici e militari che possono trasformarsi in casus belli sia locali sia di ordine mondiale da un momento all'altro – come d'altra parte sta già avvenendo con le iniziative di Israele non solo contro i palestinesi, ma anche contro ogni forza e ogni paese sotto l'influenza dell'Iran, il "nemico alla porta di casa". La questione dell'Indo-Pacifico, area che peserà sempre più nei rapporti e nei contrasti tra tutte le potenze imperialistiche e che, con ogni probabilità, assumerà il peso che ha avuto l'Atlantico nel secolo scorso. La questione Africa, continente gonfio di ricchezze naturali di cui sono ghiotti i capitalismi avanzati e nel quale Cina e Russia stanno avanzando da tempo sottraendo territori all'influenza delle vecchie potenze coloniali e nel quale gli Stati Uniti non hanno definito un importante piano di investimenti e di intervento; anzi, con il primo governo Trump, e poi col governo Biden, hanno ridotto consistentemente l'impegno economico e diplomatico verso questo continente. D'altra parte, la politica protezionista che caratterizzerà l'Amministrazione Trump, come da impegni elettorali, probabilmente tenderà a tenere l'Africa ancora in sottordine tra le priorità americane.
E infine la questione interna agli Stati Uniti, per la quale Trump, per attirare il voto delle classe operaia e della classe media, ha premuto molto sulla necessità di migliorare le loro condizioni di vita, lottando contro l'inflazione, quindi contro il rialzo del costo della vita, e contro le importazioni straniere (in particolare dalla Germania, dall'Europa in genere e dalla Cina) alzando i dazi. L'altro corno del problema riguarda l'immigrazione, verso cui la Casa Bianca in mano a Trump adotterà una politica repressiva molto più diretta di quanto non abbia fatto Biden; l'annunciata vasta deportazione di centinaia di migliaia di immigrati illegali, che è stato uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale, con ogni probabilità si ridimensionerà parecchio perché l'economia americana – come del resto l'economia di qualsiasi altro paese – ha bisogno di sfruttare vasti strati di proletari illegalmente presenti nel territorio nazionale sia perché il costo della loro manodopera è sensibilmente più conveniente rispetto ai proletari autoctoni, sia perché sono ricattabili non solo economicamente, ma socialmente, sia perché vengono utilizzati come arma di pressione sul costo del lavoro dei proletari regolarmente contrattualizzati e sindacalizzati.
Per l'America, come d'altra parte per l'Europa o per la Cina, gli anni avvenire non si presentano come anni di espansione economica, ma come anni in cui la lotta contro la crisi di sovraproduzione sarà ancora più dura di quanto non sia stata finora. La tanto sospirata crescita, che viene misurata sempre più in uno zero virgola... in più o in meno rispetto l'anno precedente, non sarà il denominatore comune delle economie più avanzate; sarà invece il cruccio di tutte le economie avanzate e obbligherà le borghesie dominanti a premere sempre più sulla classe proletaria per estorcere dal suo lavoro sempre più plusvalore e a contrastare la concorrenza estera con ogni mezzo, compreso quello militare. E, mentre le tensioni sociali tenderanno a crescere, la guerra diventerà la situazione permanente non solo nelle aree esterne all'Europa o al Nord America, ma anche al loro interno. Le diverse fazioni borghesi saranno costrette a darsi battaglia le une contro le altre per sopraffare gli interessi avversari, il che non significa che ci sarà la guerra di tutti contro tutti, ma che, come in economia si sono sviluppati i monopoli, i trust, le multinazionali, così si sviluppano e continueranno a svilupparsi sul terreno politico-militare i blocchi facenti capo all'imperialismo prevalente. Un blocco, che i media si sono abituati a chiamare "occidentale", costituitosi dalla seconda guerra imperialista mondiale intorno all'Inghilterra e alla Francia, si è sviluppato col primeggiare degli Stati Uniti. L'altro blocco imperialista che si oppose a questo, si costituì intorno alla Germania di Hitler e al Giappone di Hirohito, con un'Italia mussoliniana a fare da contraltare storicamente inaffidabile, come si dimostrò non appena la guerra volgeva a favore degli Alleati. Un altro blocco era rappresentato dall'URSS stalinizzata. Sono questi tre blocchi che si sono dati battaglia, prima sul terreno della concorrenza politica ed economica, poi sul terreno direttamente militare riducendosi, di fatto, in due blocchi contrastanti con il passaggio della Russia dall'intesa con la Germania, una volta che la Germania l'ha improvvisamente attaccata, all'intesa con gli Stati Uniti. Non è detto che non succeda nuovamente in un futuro scontro di guerra mondiale, magari non nella stessa forma. Ed è forse in quest'ultima prospettiva che l'America di Trump mira a un futuro capovolgimento di schieramenti: sarebbe infatti molto più conveniente, per l'America, scontrarsi con la Cina avendo al proprio fianco la Russia che non dovendo affrontare Cina e Russia in un solido blocco avversario.
DOPO LA GUERRA IMPERIALISTA, LA PACE IMPERIALISTA
La pace imperialista a cui dice di tendere Trump nella guerra russo-ucraina, potrebbe andare in questa direzione: attirare la Russia nell'area di influenza occidentale per allontanarla dall'area di influenza cinese. Naturalmente per attirare la Russia a Ovest, data la sua inevitabile fame di territori economici che l'ha spinta a far la guerra all'Ucraina, e dato che la guerra sta andando a favore della Russia e contro la tanto sbandierata "vittoria" ucraina e occidentale, il conflitto armato va terminato per mettersi a negoziare. Perché il negoziato di pace abbia la possibilità di andare a buon fine, e dato che né gli Stati Uniti, né l'Europa e tanto meno la Russia e la Cina hanno interesse, oggi, a farsi la guerra, l'unica posta in gioco è i pezzi di Ucraina che la Russia si è già annessa: Crimea e parte del Donbass.
Si sta entrando nel terzo anno di guerra, e i più impantanati e senza una via d'uscita vittoriosa sono gli occidentali; lo stanno ammettendo, più o meno apertamente, gli americani, gli inglesi e i tedeschi. L'Ucraina, in tutto questo, in realtà, ha giocato un ruolo secondario fin dall'inizio con l'illusione di potersi sedere un giorno al tavolo dei potenti alla pari, viste le centinaia di migliaia di morti messi sul piatto della bilancia e una buona parte del paese da ricostruire, a tutto vantaggio dei capitalisti euroamericani che si sono già dati da fare per iniziare a dividersi la torta. Non c'è di meglio che un paese distrutto da ricostruire per dare fiato all'economia capitalistica. Dunque, quel che succederà d'ora in poi riguarda più il come che il quando terminare questa guerra. Ovvio che saranno gli americani e i russi a dettare le condizioni, sono loro che devono trovare un punto d'incontro e ciò non potrà che essere a discapito dell'Ucraina che potrà tornare a bearsi della sua "indipendenza", della sua "sovranità territoriale" e di una ripresa economica e "pacifica" su un territorio monco rispetto al 1991. Potrebbe finire, probabilmente, come nel 1953 tra Corea del Nord e Corea del Sud, con una linea rossa da non oltrepassare da una e dall'altra parte; è però più probabile che assomiglierà a una separazione sempre pronta a saltare, non accettata né da parte degli ucraini del Donbass né da parte dei russofoni del Donbass, e sulla quale i russi potrebbero comportarsi come gli israeliani nei confronti dei territori palestinesi. La pace russo-ucraina sarà più una tregua di guerra che non un periodo di sviluppo pacifico dell'uno e dell'altro paese.
MANCA LA LOTTA DI CLASSE DEL PROLETARIATO
Nessun accordo tra borghesie dominanti e imperialiste ha portato e porta benefici alle popolazioni coinvolte nei contrasti tra Stati, e tanto meno porta la pace e la prosperità ipocritamente decantate come risultato della buona volontà dei governanti. Soltanto la lotta di classe del proletariato dei paesi che entrano in guerra e la solidarietà proletaria sovranazionale hanno la possibilità di fermare la guerra imperialista, trasformandola nell'unica guerra con cui è possibile giungere a una vera pace: la guerra civile, la guerra di classe del proletariato contro la propria borghesia e contro le borghesie degli altri paesi belligeranti. La rivoluzione proletaria in Russia nell'Ottobre 1917, in piena guerra imperialista mondiale, ha dimostrato, proprio con la lotta di classe proletaria e con la guerra civile contro le classi guerrafondaie di casa propria, giungendo a conquistare il potere politico, di poter imporre la pace col "nemico" anche a costo di perdere territori; una pace, d'altra parte, che doveva essere difesa strenuamente contro i continui attacchi da parte degli eserciti imperialisti, chiamando i proletari di tutti i paesi alla rivoluzione nei loro paesi.
La situazione storica attuale in cui si stanno svolgendo, un decennio dopo l'altro, guerre in ogni angolo del mondo, è ben diversa da quella in cui il proletariato europeo e russo lottarono, nei primi vent'anni del secolo scorso, sul terreno rivoluzionario contro le rispettive borghesie dominanti. Il proletariato russo, europeo e mondiale, traditi dall'opportunismo socialdemocratico e stalinista in quegli anni, sono stati piegati sistematicamente agli interessi delle proprie borghesie nazionali – fossero fasciste, democratiche o falsamente "socialiste" -– con l'illusione di poter partecipare a un benessere diffuso grazie alla grandezza e alla potenza economica della "patria", accettando anche i più alti sacrifici come ogni guerra richiede. I proletari dei paesi capitalisti più avanzati, dopo l'ecatombe della seconda guerra mondiale, beneficiando delle briciole che gli imperialisti più potenti decisero di distribuire loro per tacitarne i bisogni più impellenti, non ebbero più la forza per ricollegarsi alla grande tradizione classista e rivoluzionaria delle generazioni proletarie precedenti. Continuamente titillati da un pacifico sviluppo nella democrazia e beneficiati da ogni sorta di ammortizzatori sociali, generazione dopo generazione, si sono abituati non solo e non tanto a pensare come la borghesia e la piccola borghesia, ma ad avere le stesse ambizioni di costruire il proprio futuro individuale sulla carriera personale, e di considerare i proletari di altri settori, di altre aziende, di altre nazionalità come dei concorrenti contro i quali adottare gli stessi mezzi che i capitalisti e, in genere, la borghesia, adottano nella lotta di concorrenza contro gli avversari e le altre borghesie. Non solo il senso di appartenenza alla stessa classe è stato cancellato e sepolto da decenni di collaborazionismo interclassista, ma anche la solidarietà proletaria che un tempo affratellava i proletari di ogni condizione e di ogni nazionalità è andata completamente persa. I milioni di proletari bombardati e maciullati nelle guerre borghesi sembrano appartenere ad altri mondi, rintanati nelle quattro mura di casa e gelosi dei propri interessi individuali. Niente di peggio poteva capitare alla classe proletaria internazionale che negli anni Venti del secolo scorso ha fatto tremare tutte le cancellerie del mondo.
Ma la guerra, con i suoi orrori, e con le conseguenze disastrose per la vita quotidiana dei proletari morderà spietatamente la loro apatia, spingendoli a reagire per la pura sopravvivenza. Saranno le loro avanguardie che dovranno ritrovare il collegamento con la lotta di classe del secolo scorso e non è detto che ciò non avvenga grazie al giovane proletariato orientale o africano.
(1) La regione del Donbass si può trovare scritta sia con due s finali sia con una; con le due s finali è la traduzione dal nome in russo, con una s finale è la traduzione del nome in ucraino. Significa semplicemente Doneckij bassejn (lett. “bacino del Donec”, ossia del fiume che attraversa la regione).
(2) A questo proposito vedi Guerra russo-ucraina. Sono i piani di guerra, non di «pace», al centro degli interessi dell'imperialismo mondiale, sempre più immerso in contrasti irrisolvibili se non con la guerra (il comunista n. 178, giugno-agosto 2023).
(3) Il Wall Street Journal scriveva, nel settembre scorso, che dal 2022 il numero di ucraini e russi uccisi e feriti nella guerra che ormai dura da due anni e mezzo ha raggiunto circa un milione di persone; il dato è stimato visto che né Mosca né Kiev danno informazioni precise. Cfr. https://www.rainews.it/maratona/2024/09/kubilius-nuovo-commissario-ue-alla-difesa-mosca-e-una-minaccia-aumentare-le-spese-militari-59d309f5-1bd9-453e-939e-07380f72827b.html. 18.09.2024.
(4) Ibidem, 18.09.2024
(5) Cfr. https://www.panorama.it/news/dal-mondo/trump-accusa-Zelensky-guerra-ucraina, 18-10.2024
(6) Ibidem.
(7) Cfr. il fatto quotidiano, 27 ottobre 2024
15 novembre 2023
Partito Comunista Internazionale
Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program
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