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Siria: il tiranno è fuggito, l'ordine borghese e imperialista resta in piedi

 

 

La fuga di Bashar el Assad, rifugiatosi a Mosca con la famiglia, è stata accolta nelle principali città della Siria da folle entusiaste per la caduta di questo sanguinario personaggio il cui regime è responsabile della loro sofferenza e della loro miseria.

Assad padre e figlio mantennero il loro potere cosiddetto “progressista” con il pugno di ferro senza mai risparmiare la repressione più brutale, anche prima dello scoppio della guerra civile. A questa si aggiunse una terribile distruzione provocata dall'esercito che causò quasi 600.000 vittime in 13 anni. Su una popolazione stimata in circa 23 milioni di persone, più di 13 milioni sono stati costretti ad abbandonare le proprie case per cercare rifugio in altre regioni o all’estero – 7 milioni, di cui 4 milioni in Turchia, 1 milione in Libano, 1 milione in Europa ecc. –, da 100 a 200.000 persone furono rinchiuse nelle famigerate carceri del regime, dove furono vittime di maltrattamenti, torture, stupri e dove frequenti erano le esecuzioni sommarie. Si comprende il giubilo quasi generale, ad eccezione degli strati privilegiati, per la caduta di un tale regime...

Sull’onda della “primavera araba”, nel 2011 sono scoppiati grandi movimenti per il “cambiamento democratico” in Siria. Ma la protesta pacifica contro il regime è stata violentemente repressa nel sangue dalla polizia e dalle forze di sicurezza (i sinistri Mukhabarat) che hanno provocato la morte di oltre 2.500 persone in 6 mesi. Nonostante la ferocia della repressione, le autorità siriane non sono riuscite a sconfiggere un'opposizione che aveva reagito dando vita a gruppi armati. Mentre era sempre più in difficoltà per l'avanzata dei ribelli nei grandi sobborghi di Damasco, il regime è stato salvato dall'intervento dell'aviazione russa, delle milizie libanesi Hezbollah e delle “Guardie rivoluzionarie” iraniane. Da parte loro, le forze ribelli si erano divise in “brigate” rivali, spesso appoggiate e armate da paesi stranieri (Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti) mentre i tradizionali partiti di opposizione, riuniti in un Consiglio nazionale siriano, avevano dimostrato la loro completa impotenza. Tra i gruppi ribelli hanno assunto un peso crescente gli elementi “jihadisti” e, in particolare, quelli che costituiranno lo “Stato Islamico” (Daesh, E.I.) che si estenderà nell’estate del 2014 su buona parte dell’Iraq e della Siria. Fu quindi istituita una Coalizione internazionale sotto l’egida degli Stati Uniti per combattere l’Isis in Siria e in Iraq. A questa coalizione, composta da paesi arabi ed europei, si è aggiunta l’anno successivo (2015) la Turchia dopo il fallimento dei suoi tentativi di raggiungere un accordo con lo Stato islamico, mentre Russia e Iran hanno affermato di combattere quest’ultimo sostenendo il governo di Damasco.

Mentre le azioni militari della Coalizione in Siria sono consistite principalmente in bombardamenti aerei, quasi 2.000 soldati americani e commando francesi e inglesi erano presenti sul terreno per sostenere le forze combattenti curde (Forze Democratiche Siriane, FDS). Sotto l’influenza di questi attacchi combinati, l’Isis si è gradualmente ritirato fino a perdere, nell’ottobre 2017, quasi tutte le sue ultime roccaforti nel nord della Siria e in particolare la sua “capitale”, Rakka, conquistata dalle FDS. Da parte loro, le brigate ribelli, totalmente disorganizzate, hanno accettato di firmare un cessate il fuoco con Damasco; ma i colloqui organizzati ad Astana (Khazakistan) dalla Russia con la partecipazione di Turchia e Iran tra il governo e 9 organizzazioni ribelli, non hanno portato a un accordo, e i combattimenti sono continuati nel 2018 (con bombardamenti occidentali dopo un attacco chimico contro l’ultima zona ribelle nei pressi di Damasco).

I ribelli, allora, erano concentrati solo nella regione di Idlib, nel nord-ovest della Siria.

Infine, nel dicembre 2018 l’amministrazione Trump ha annunciato il ritiro delle truppe americane, ad eccezione di un contingente di circa 1.000 soldati nelle regioni ricche di petrolio.

Nel 2020 l'esercito siriano, sostenuto da aerei russi, ha tentato di riconquistare la provincia di Idlib, cosa che ha portato alla fuga di centinaia di migliaia di abitanti e provocato scontri con le truppe turche fino a quando un cessate il fuoco ha congelato la situazione. Da allora, i combattimenti sono praticamente cessati nel paese, con Damasco che controlla circa il 70% della Siria, le FDS il 20% e il resto dominato da gruppi legati alla Turchia e da ribelli islamici.

Questo rapido richiamo alle fasi principali della guerra civile permette di vedere il ruolo determinante svolto dagli stati imperialisti, grandi o piccoli, nell’evoluzione della crisi siriana. La presenza di una forza autenticamente proletaria, vale a dire di un vero partito comunista rivoluzionario (a differenza del presunto partito "comunista" siriano, le cui diverse fazioni erano asservite al potere), avrebbe permesso di dare un orientamento di classe alla rivolta, unendo le masse diseredate contro non solo un uomo o un clan, ma contro lo stesso sistema capitalista; l’assenza del partito comunista rivoluzionario lasciava campo libero agli orientamenti democratici popolari e piccolo-borghesi, corrispondenti al carattere interclassista della rivolta, portando a radunare le forze borghesi religiose e reazionarie, inevitabilmente alla ricerca di sponsor stranieri per resistere alla violenza del regime e per ritagliarsi un feudo basato su divisioni “etniche”, di clan o religiose.

Gli interventi stranieri non si sono fermati all'offensiva lampo dei ribelli che ha portato al rovesciamento del potere a Damasco. La Siria, che occupa una posizione strategica nel Medio Oriente, è sempre stata storicamente il crocevia di interessi e rivalità di grandi e piccole potenze, e lo è tuttora.

Il governo Erdogan non nasconde il suo sostegno ai ribelli, tra i quali vi sono gruppi direttamente legati allo Stato turco riuniti nell’“Esercito nazionale siriano” (ANS) – si sono verificati scontri tra l’ANS e le FDS curde con l’obiettivo di creare una “zona cuscinetto” sotto il controllo dell’esercito turco; le FDS, appoggiate dall'aeronautica americana, hanno approfittato dell'offensiva ribelle per conquistare nuovi territori; Israele si è mosso immediatamente occupando aree strategiche del territorio siriano e lanciando un’intensa campagna di bombardamenti per distruggere le installazioni e gli equipaggiamenti dell’esercito, dell’aeronautica e della flotta siriani: questo per impedire al futuro regime di Damasco di avere i mezzi militari per tenergli testa; gli Americani, a loro volta, hanno annunciato di aver colpito “massicciamente” decine di obiettivi nel centro del Paese il giorno dopo la caduta di Assad, ufficialmente per impedire il ritorno di Daesh; e, infine, i russi hanno contattato i leader ribelli che stavano bombardando pochi giorni prima, per cercare di salvare le proprie basi in Siria, di grande importanza per loro anche per le loro operazioni in Africa...

La rapida e inaspettata caduta del governo si spiega con il fatto che i suoi alleati russi, iraniani e libanesi non sono più stati in grado di fornirgli un sostegno significativo; la Russia era occupata dalla guerra in Ucraina, Hezbollah dalla guerra in Libano, e i bombardamenti israeliani avevano seriamente indebolito la presenza militare iraniana in Siria. Rimasto solo contro i ribelli, l’esercito siriano non era più in grado di opporre una seria resistenza militare: malnutriti, malpagati, demoralizzati, a volte arruolati con la forza, i soldati non avevano alcun desiderio di morire per difendere il regime. La forza principale tra i ribelli vittoriosi è Hayat Tahrir al-Sham (HTS); si tratta di un gruppo del Fronte Al-Nusra, una delle più potenti organizzazioni jihadiste, legato prima allo Stato Islamico, per poi combatterlo e unirsi ad Al Qaeda (l'organizzazione fondata da Bin Laden) dalla quale si separò definitivamente nel 2016. Fondato nel 2017 dalla fusione del Fronte Al-Nusra con altre organizzazioni islamiste, HTS – che non era stato invitato ai negoziati di Astana – diventerà l’organizzazione dominante nella provincia di Idlib dove creerà un’istituzione quasi-statale, il “Governo di Salvezza Siriano”, responsabile dell’amministrazione della regione. La stampa occidentale ha attribuito al Governo di Salvezza Siriano (GSS) il merito di non aver commesso brutalità come lo Stato Islamico e di non aver commesso abusi contro le minoranze come l’Esercito Nazionale Siriano: infatti, il ​​GSS si è comportato come un classico governo borghese reazionario basato sulla religione islamica, non esitando a reprimere i suoi oppositori.

Appena arrivato a Damasco, HTS ha dimostrato di voler promuovere un governo dello stesso tipo per la Siria. Ha contattato il primo ministro del governo Bashar El Assad, contro il quale ha combattuto fino ad oggi, assicurando di non voler toccare le strutture del regime (a parte gli organi di sicurezza) e ha designato i membri del GSS al ruolo di primo ministro e ministri di un “governo di transizione” provvisorio.

Il Paese si trova in una situazione economica catastrofica: il PIL è caduto, secondo la Banca Mondiale, di oltre l’80% dal 2010, la produzione industriale e quella agricola sono crollate (fiorente era solo l’esportazione di captagon, un farmaco prodotto localmente, che superava tutte le esportazioni legali); l'inflazione era, secondo i dati ufficiali, superiore al 120%, il tasso di disoccupazione era stimato superiore al 60% e addirittura al 90% tra i giovani. Di conseguenza, il 95% della popolazione si trova al di sotto della soglia di povertà...

In queste condizioni, qualsiasi potere borghese a Damasco non ha altra soluzione per riavviare l’economia se non quella di fare affidamento sulle strutture ancora in piedi del regime per estorcere plusvalore ai proletari imponendo loro il timore dell’autorità, e attrarre investimenti esteri dimostrando la sua capacità di mantenere l'ordine. I media parlano molto di “transizione pacifica”, dell’instaurazione di una vera democrazia in Siria ecc., ma il futuro sarà inevitabilmente un futuro di sfruttamento, violenza e repressione.

I proletari non hanno bisogno di una falsa democrazia che lasci intatto il dominio borghese; devono distruggere da cima a fondo le strutture di potere dittatoriale del clan El Assad e dell’intero Stato borghese per instaurare la propria dittatura, essenziale per sradicare il capitalismo. Ciò richiede la comparsa e lo sviluppo della lotta di classe, la costituzione del partito di classe, comunista e internazionale, che conduca questa lotta fino alla rivoluzione e dopo la sua vittoria. Sfortunatamente, tale prospettiva non è immediata.

I timori espressi dagli imperialisti riguardo al “caos” che potrebbe derivare dalla caduta del regime di El Assad a Damasco o dall’adesione di numerose forze governative ai ribelli, tra cui il partito Baath alla guida del paese per 60 anni, testimoniano la compattezza del fronte controrivoluzionario e antiproletario, nonostante gli scontri armati tra loro. Parafrasando quanto scrisse Marx durante la Comune di Parigi, possiamo dire che tutti questi gruppi, partiti o governi si trovano a contrapporsi al proletariato; non intendono lasciare spazio alla comparsa di movimenti che mettano in discussione l’ordine borghese. L’euforia attuale non riuscirà a nascondere a lungo la realtà: i proletari siriani si trovano di fronte a nemici implacabili quanto il clan Assad e dovranno lottare contro di essi passo dopo passo senza lasciarsi fermare dalle illusioni democratiche, dalle divisioni religiose e comunitarie o nazionali.

Il tiranno è stato rovesciato, resta in piedi l'ordine borghese e imperialista che, insieme ai proletari di tutti i paesi, bisogna abbattere!

 

14 dicembre 2024

 

 

Partito Comunista Internazionale

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