Back

Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements - Prohlášení - Заявления


 

Ucraina: boccone amaro per gli imperialisti europei, piatto prelibato per gli imperialisti americani e russi; e la Cina sta a guardare...

 

 

La strada per un accordo tra americani e russi sulla “questione Ucraina”, nell’aria già dalla campagna elettorale di Trump, si è aperta a neanche un mese dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca dimostrando una volta di più che solo il disaccordo o l’accordo tra Washington e Mosca sono decisivi sia per un prolungamento di questa guerra sia per una sua conclusione.

 

UN BREVE RICHIAMO A QUANTO È SUCCESSO FINORA...

 

Tre anni fa, con l’intervento militare in Ucraina, la Russia voleva mettere fine a un periodo in cui l’Ucraina si era preparata per farsi assorbire non solo dall’Unione europea ma, soprattutto, dalla Nato. Fermando questo processo di integrazione ucraina nelle forze militari atlantiche, l’imperialismo di Mosca poneva agli imperialisti statunitensi ed europei il problema se spingersi a sostenere l’Ucraina di Zelensky fino ad uno scontro militare diretto con la Russia o se astenersi dall’assediare Mosca fin sotto le sue mura. Che né gli Stati Uniti, né gli europei intendessero scontrarsi militarmente con la Russia – della cui potenza nucleare sono ben consapevoli – era evidente fin da subito, ma l’obiettivo di indebolire la Russia dal punto di vista economico, e quindi politico, erano convinti di poterlo raggiungere per altre vie; ad esempio attraverso le sanzioni economiche già approntate appena i carri armati russi avrebbero superato il confine ucraino, e attraverso il sostegno finanziario e militare dell’Ucraina in una guerra preparata già dall’annessione della Crimea da parte russa nel 2014. Il problema era convincere gli ucraini a far la guerra ai russi, e non solo sul terreno politico ed elettorale (come dimostrò Euromaidan nell’inverno 2013-14 e la successiva salita al potere nel 2019 di Zelensky), ma anche sul terreno militare mettendo a difesa dei “valori occidentali” e degli interessi euroamericani i propri soldati, la propria forza lavoro proletaria, la propria popolazione. Dopo il primo mese di guerra, all’inizio dell’aprile 2022, i generali ucraini si resero conto che le forze armate russe messe in campo erano difficilmente arrestabili e che il futuro prossimo che si stava disegnando poteva essere disastroso per la popolazione non solo e non tanto del Donbass ma dell’intera Ucraina, tanto da spingere il governo Zelensky a cercare un compromesso con Mosca (che insisteva nel concetto dell’operazione militare speciale a difesa delle etnie russe del Donbass e di Crimea oggetto di discriminazione e violenze da parte ucraina, nonostante gli accordi di Minsk perorati dalla Merkel e da Hollande) allo scopo di salvare il paese dalle conseguenze disastrose di una guerra prolungata.

Secondo i media internazionali l’intervento immediato del britannico Boris Johnson, a nome anche di Biden, per impedire a Zelensky di concordare con Putin la fine della sua operazione militare speciale, ebbe successo perché gli fu garantito un sostegno economico, finanziario e militare a 360 gradi (come fosse un membro della Nato) pur non prevedendo l’intervento diretto di truppe Nato. Evidentemente Zelensky si è fatto facilmente convincere da queste promesse tanto da poterci contare per tutti i tre anni di guerra nei quali non smise mai di cantare il ritornello “fino alla vittoria” che i politici europei continuarono a sostenere fino... all’altro ieri. Poi vennero le elezioni americane, con Biden messo fuori gioco dal suo stesso fisico e Trump in piena rivincita che riconquista la Casa Bianca buttando all’aria tutti i disegni e le prospettive che l’amministrazione Biden avevano congegnato per... atterrare la Russia.   

Nel frattempo, gli Stati che si erano dati da fare dal novembre 2022 in avanti nel formulare “piani di pace” (a cominciare dallo stesso Zelensky, vigilato da Biden, per proseguire con l’Indonesia, la Cina, il Brasile, il Sudafrica ecc.) hanno mostrato, nei fatti, di nascondere con le chiacchiere, utili soltanto a ingannare la tanto amata “opinione pubblica”, la realtà dello scontro di guerra in cui sono in ballo interessi molto più ampi e “innominabili” che riguardano il futuro posizionamento delle forze imperialiste rispetto allo scontro di guerra ben più alto e “decisivo” per quanto riguarda il nuovo ordine mondiale verso cui stanno inevitabilmente puntando tutte le maggiori potenze imperialiste del mondo, Stati Uniti e Cina innanzitutto. Il quadro in cui si giocherà il nuovo ordine imperialistico mondiale non dipenderà certo dall’Ucraina di Zelensky che tornerà ad essere – come già era fin dalla sua indipendenza del 1991 – una pedina tra le tante nello scacchiere europeo, anche se in questi tre anni di guerra ha svolto, suo malgrado, la funzione di un punto dolente nei rapporti USA-Russia credendo di essere il loro ago della bilancia. Oggi è più chiaro di ieri – ma l’avevamo già anticipato nei nostri articoli – che gli Stati Uniti  continuano a trattare l’Europa come un alleato subalterno e non alla pari, da sfruttare in tutte le occasioni (di pace e di guerra); a cercare le diverse vie per staccare la Russia dall’alleanza con la Cina e farne caso mai un proprio “alleato” (come avvenne nella seconda guerra imperialistica mondiale e nel secondo dopoguerra per il controllo condiviso dell’Europa); a dedicare i propri piani futuri – economici, finanziari, politici e militari – a irrobustire le proprie posizioni nel probabile scontro di guerra mondiale con la Cina perché è questa la potenza imperialistica che l’America realmente teme. Nei suoi modi brutali e irriverenti nei confronti di amici e nemici, Trump svela in verità quali sono davvero le questioni decisive del domani dell’imperialismo americano: tirare dalla propria parte la Russia per coprire il fronte di guerra europeo vuol dire potersi dedicare con la maggior parte delle proprie forze a contendere l’espansionismo cinese oltre il Pacifico verso l’America Latina e nell’Oceano Indiano. Che con questo disegno si calpestino gli interessi degli imperialismi europei a Washington importa relativamente: questi interessi sono stati calpestati già da molto tempo, fin dal secondo dopoguerra, imbrigliandoli nel Piano Marshall, nella ricostruzione postbellica, nella Nato, nello spaccare l’Europa – e soprattutto la Germania – in una parte ovest a conduzione americana e una parte est a conduzione russa e, oggi, nel togliere ai membri europei della Nato il famoso ombrello militare e nucleare dopo averli dissanguati e disarmati nel sostegno finanziario e militare dell’Ucraina in una guerra, che, se avesse avuto un esito favorevole all’Occidente, avrebbe costituito una vittoria soprattutto americana, ma avendo un esito favorevole alla Russia costituisce, di fatto, una sconfitta per l’Unione Europea, perciò una doppia “vittoria” per Washington.

Perché una doppia vittoria per Washington? Perché i numerosi pacchetti di sanzioni contro la Russia hanno fatto più male all’economia dei paesi europei che non a quella della Russia (e non solo in termini di prezzi molto più alti per il gas naturale non più proveniente dai gasdotti russi), perché hanno portato un vantaggio ineccepibile alle esportazioni americane, ad esempio di gas naturale liquefatto a cui gli europei hanno dovuto ricorrere per non bloccare la loro macchina produttiva. Non è la prima volta che gli Stati Uniti utilizzano l’arma della penuria di carburante di cui soffre l’Europa per imporre la dipendenza della stessa dagli Stati Uniti (1). Intanto, le forniture di armi all’Ucraina hanno svuotato gli arsenali europei, costringendo i paesi dell’UE a dipendere ancor più dalle industrie delle armi americane per ricostituire i propri armamenti dando così un’ulteriore strumento di ricatto agli Stati Uniti per costringere gli europei a dissanguarsi per il proprio riarmo. Togliendo in buona parte la propria copertura finanziaria della Nato, gli USA obbligano i paesi europei ad alzare in modo consistente la propria quota di PIL dedicata alla Nato che, pur rimanendo saldamente nelle mani statunitensi, costringe i vari governi a tagliare quote di bilancio relative alla sanità, alla pubblica amministrazione, alla previdenza, agli aiuti sociali alle famiglie povere ecc. ecc. per destinare centinaia di miliardi al riarmo.

Nella guerra russo-ucraina, tutto ciò porta a una svolta completamente pro-USA e, in parte, pro-Russia a discapito degli interessi europei, svolta di cui l’Unione europea subisce i contraccolpi senza avere alcuna possibilità di modificarne la traiettoria. L’Unione europea è un’associazione di Stati concorrenti tra loro che hanno trovato, sì, nell’euro e nel “mercato comune” una serie di agevolazioni per il commercio interno e per la circolazione dei propri capitali, ma non un’unica politica, un’unica forza militare e tanto meno un’unica struttura economica; un’associazione che ambisce a farsi riconoscere come fosse un unico Stato centralizzato, ma non lo è, e non lo sarà mai. I rapporti di forza tra gli Stati che si sono creati nello sviluppo storico del capitalismo in Europa e nel mondo sono destinati a modificarsi non attraverso accordi economici o diplomatici, ma attraverso scontri economici e militari. Nella sua traiettoria storica, il capitalismo si sviluppa in modo ineguale nei vari paesi e nelle varie zone del mondo. Ciò non significa che i paesi arretrati economicamente dei primi del Novecento siano destinati a rimanere arretrati per sempre, poiché il capitalismo, nel creare nuovi mercati e potenziare i vecchi mercati, non fa che sviluppare capitalismo anche là dove in precedenza era quasi assente o presente in forme molto arretrate. Sviluppando economia capitalistica, si crea e si sviluppa classe proletaria, forza lavoro strappata all’arretratezza rurale e resa forzatamente predisposta ad essere utilizzata nelle fabbriche non solo nazionali ma anche di altri paesi. Come i capitali circolano dappertutto nel mondo, così circola nel mondo la forza lavoro di qualsiasi nazionalità costituendo, grazie alla sua lotta, uno dei problemi storici più acuti che le borghesie hanno dovuto, devono e dovranno affrontare. Certo – in assenza della vittoria della rivoluzione proletaria internazionale quando, sull’onda della vittoriosa rivoluzione bolscevica del 1917, il movimento proletario internazionale poteva (e un domani potrà) scardinare il sistema economico capitalistico e le sue innumerevoli contraddizioni e diseguaglianze – il capitalismo, in determinate aree del mondo, ha permesso ad alcuni Stati, come Cina, India, Indonesia, Brasile ecc. (fortemente popolati con abbondanza di forza lavoro salariata, ricchi di risorse minerarie e naturali, e spinti dallo stesso bisogno delle economie più avanzate a sviluppare i propri mercati e i propri apparati produttivi) di svilupparsi sotto l’ombrello tipico del capitalismo moderno e tendenzialmente imperialistico. Ecco dunque che non solo le vecchie potenze imperialistiche, Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda, Russia, ma anche le nuove potenze imperialistiche, gli Stati Uniti già dal Novecento e, in questo secolo, la Cina, entrano inevitabilmente in collisione in un mercato mondiale che non garantisce mai il pieno e soddisfacente collocamento di tutte le merci prodotte e di tutti i capitali accumulati. Più si sviluppa il capitalismo, più si sviluppano e si inaspriscono le sue contraddizioni; più si concentrano capitali formando monopoli sempre più giganteschi, e più i fattori di scontro a livello internazionale si accumulano. Il mercato mondiale diventa tutto ad un tratto piccolo, ristretto, le merci e i capitali non trovano più sbocchi, la crisi economica diventa la norma, la guerra con le sue distruzioni diventa una via d’uscita e più la distruzione è ampia, più la ricostruzione sarà una benedizione per i capitalismi più forti e più attrezzati. I nazionalismi, le sovranità territoriali, i regimi democratici, la libertà di commercio e di impresa, la libera circolazione dei capitali e delle persone, lo Stato di diritto, tutto assume improvvisamente una dimensione estranea alla cruda realtà della dittatura del capitalismo: valgono soltanto la forza e la violenza, e cosa c’è di più forte e violento della guerra? Dove non arrivano gli accordi diplomatici e commerciali intervengono il ricatto e la forza militare. E’ il quadro che si presenta dalla seconda guerra imperialistica mondiale che, per un trentennio, ha permesso all’Europa di produrre, commerciare, sfruttare lavoro salariato autoctono e immigrato senza particolari scossoni economici e sociali, ma che dalla crisi generale del 1973-75 e, soprattutto, dal crollo dell’URSS del 1989-91 si è modificato rimettendo in discussione tutte le relazioni interstatali precedenti, preparando quella politica estera dei diversi Stati che si trasforma inesorabilmente in azioni di guerra nuovamente nel cuore storico del capitalismo, in Europa.     

 

...E, IN PARTICOLARE, NELL’ULTIMO TRENTENNIO

 

Il crollo dell’URSS, la riunificazione della Germania e la guerra in Jugoslavia negli anni Novanta del secolo scorso, hanno rotto definitivamente la pace dei commerci in Europa, pace “garantita”, in un certo senso, dal condominio russo-americano in Europa successivo alla seconda guerra imperialista mondiale e dalla fortissima depressione della lotta di classe proletaria generata dalla controrivoluzione staliniana con la quale il proletariato non solo europeo, ma mondiale, è stato piegato totalmente agli interessi del capitalismo, mentre, nel resto del mondo, insieme allo sviluppo economico del capitalismo in vaste aree precedentemente arretrate, si ricreavano situazioni di forti contrasti interimperialistici nelle quali, oltre a questi contrasti, le lotte anticoloniali in Asia e in Africa mettevano a dura prova la tenuta delle vecchie potenze coloniali. Ma era scritto nella storia dello sviluppo dell’imperialismo capitalistico che la ripresa e l’espansione economica successive alle immense distruzioni della seconda guerra mondiale avrebbero rimesso sul piano dei rapporti di forza internazionali tutti gli elementi caratteristici del contrasto economico-politico e militare tra le vecchie e le nuove potenze imperialistiche.

Indiscutibilmente, gli Stati Uniti d’America – i veri vincitori della seconda guerra mondiale – usciti in pieno rigoglio da una guerra che non ha toccato il suolo americano e che ha permesso al capitalismo yankee di dominare il mondo con la propria potenza industriale, finanziaria e militare, hanno reso debitori, di fatto, tutti i maggiori paesi del mondo; ma gli Stati Uniti dovevano, prima o poi, fare i conti con altri poli imperialisti che nel frattempo, nel corso dei decenni, si sono formati e sviluppati anche con il contributo dei capitali americani, non ultimi la rinata Germania riunificata in Europa e il Giappone, mentre la lontana Cina era proiettata a diventare una superpotenza incontenibile.

Aldilà del mito della vecchia Europa ex dominatrice del mondo, resta il fatto che in Europa si concentrano forze capitalistiche di primissimo piano che, nella propria area continentale, costituiscono non solo forze produttive e finanziarie di grande rilevanza mondiale, ma, nello stesso tempo, un mercato di sbocco per tutti i paesi capitalisti grandi e piccoli anche extraeuropei. La seconda guerra imperialista mondiale, nonostante ne siano uscite vincitrici anche le vecchie potenze occidentali, Gran Bretagna e Francia e, insieme a loro, la Russia (ormai pienamente controrivoluzionaria), ha decretato la supremazia incontrastata degli Stati Uniti a tal punto da sottomettere l’Europa occidentale ai propri interessi specifici condivisi per lungo tempo con la Russia per la parte orientale europea. L’Atlantico, da oceano che separava l’America dall’Europa, diventava un ponte che univa gli Stati Uniti all’Europa occidentale in un’alleanza non tra pari, ma che sanciva la supremazia di Washington nei confronti di Londra, Parigi, Berlino, Roma; un’alleanza anche militare, con la Nato, che, dopo il crollo dell’URSS, raggiungeva Varsavia estendendosi poi in una specie di lunga cerniera che da Helsinki corre a sud fino a Kiev e Odessa.

L’Ucraina, resasi indipendente nell’agosto 1991, non poteva restare una terra neutrale, né dal punto di vista degli interessi strategici di Washington (e di Londra, il suo alleato europeo più fidato), né da quello degli interessi economici e politici delle centrali imperialistiche europee, né, tantomeno, di quelli di Mosca che, nel giro di vent’anni, si è trovata accerchiata: a ovest e nell’Artico da un’Europa americanizzata, a est da una Cina tornata “amica”, ma infida come tutti gli “amici” imperialisti, da un Giappone, nemico storico e ancora succube di Washington e, di là del Pacifico, dagli Stati Uniti, mentre a sud se la doveva vedere, e se la deve vedere ancora, con l’instabilità perenne del Vicino e Medio Oriente, con le ex repubbliche sovietiche del Caucaso e dell’Asia centrale sempre più attratte dal mercato europeo e dal dollaro, e con l’India, prossimo colosso asiatico più propenso a stringere alleanza con Washington a cui può offrire il dominio sull’Oceano Indiano, che non con Pechino o Mosca con cui commercia volentieri ma difficilmente legherà il proprio destino in una guerra mondiale.

L’Unione Europea, a trazione franco-tedesca, da tempo cercava di attrarre nella propria rete economica e politica Kiev, tentando di sottrarla ai tentativi russi, dichiarati o meno, di farne una terra di conquista. Le libere e democratiche elezioni che diedero per ben due volte la vittoria a Janukovyč – forse l’unico rappresentante di una Ucraina illusoriamente equidistante da Mosca e dalla Nato, ma fatto passare per una marionetta in mano russa – furono contestate dall’Unione Europea con le solite accuse di brogli e di interferenze russe, aizzando anche una parte della popolazione in funzione anti-russa, come nelle proteste, nel 2013-2014, dell’Euromaidan che videro come protagonisti i gruppi ultranazionalisti di estrema destra che furono anche responsabili del massacro del 2 maggio 2014 a Odessa durante una manifestazione a sostegno di Janukovyč. Caduto Janukovyč, nel febbraio 2014, Kiev iniziò, di fatto, una “guerra” con le popolazioni di etnia russa del Donbass e della Crimea, contro le quali adottava un atteggiamento sempre più discriminatorio; la Crimea, con un referendum del marzo 2014 proclamò l’annessione alla Russia, mentre le regioni a maggioranza etnica russa di Donets’k e Luhans’k, nel maggio dello stesso anno, proclamarono la propria indipendenza dall’Ucraina mettendosi sotto il protettorato della Russia. Era ovvio che l’annessione della Crimea venisse riconosciuta soltanto da Mosca e che l’indipendenza delle due regioni del Donbass fosse prima o poi anch’essa riconosciuta soltanto da Mosca (ufficialmente avvenuta nel febbraio del 2022, pochi giorni prima dell’invasione militare). Dal 2014, per 8 anni, si è svolta la cosiddetta “guerra del Donbass”, nella quale i filonazisti del battaglione Azov e di altri gruppi di estrema destra si sono distinti, sotto protezione dell’esercito ucraino, per assassinii e azioni terroristiche contro la popolazione civile russofona. Lo scontro militare non poteva non scoppiare visti gli interessi politici ed economici contrastanti tra un’Ucraina che intendeva legarsi sempre più strettamente agli Stati Uniti e all’Unione Europea e le regioni di etnia russa, Crimea e Donbass, che intendevano difendere il proprio nazionalismo e localismo sotto la protezione della Russia. Democrazia, libertà, sovranità nazionale sono concetti che nascondono sempre interessi borghesi delle diverse fazioni che tentano di difendere e allargare fette di potere e di mercato e che in Ucraina sono sempre state capitanate dai diversi oligarchi miliardari legati o a Mosca, o a Londra e Washington.

La pace imperialista nell’Europa uscita dal secondo massacro mondiale, verso la fine del secolo XX terminava drammaticamente il suo lungo ciclo di espansione economica finanziaria del secondo dopoguerra aprendo un nuovo ciclo di contrasti interimperialistici nella stessa Europa. Se il secolo XIX è stato il secolo in cui i contrasti tra le potenze capitalistiche europee si sono concentrati sul versante euro-occidentale, il secolo XX, potenziandoli a livello mondiale, li ha concentrati sul versante euro-orientale. L’avanzata dell’imperialismo americano, dopo essersi assicurato il dominio sull’Europa atlantica, doveva procedere verso est andandosi a scontrare inevitabilmente con l’imperialismo russo al quale, dal crollo dell’URSS, ha via via sottratto, uno dopo l’altro, i suoi ex satelliti fin sotto i confini della Federazione Russa. Dopo aver inglobato nella Nato Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca nel 1999, Slovacchia, Romania, Lituania, Lettonia, Estonia, Bulgaria e Slovenia nel 2004, Croazia e Albania nel 2009 e i microscopici Montenegro e Macedonia del Nord nel 2017 e nel 2020, che cosa rimaneva fuori dagli artigli della Nato nell’Europa dell’est? L’Ucraina, appunto, visto che la Bielorussia era già fortemente agganciata a Mosca e, nei Balcani, la Serbia, il tormentato Kossovo e l’altrettanto instabile Bosnia Erzegovina, perennemente sottoposti a contrasti nazionalistici e religiosi difficilmente regolamentabili.

In Ucraina nel 2014, molto più che in Jugoslavia nel 1999, si giocavano le sorti della politica imperialista sia russa che euro-americana. Sia Mosca che Washington non avevano molte scelte: o l’Ucraina veniva definitivamente tolta dalle mire imperialiste di Mosca, e a questo fine i tentativi politici, come l’Euromaidan, potevano non bastare – e infatti non bastarono –, e quindi ci si preparava, nel contempo, alla guerra contro Mosca, cosa che in effetti è avvenuta; oppure l’Ucraina stessa, rifiutandosi di diventare vassalla di Washington e di Londra, correva a mettersi sotto le ali protettive di Mosca facendo della propria affinità linguistica, culturale, religiosa e storica una base solida su cui costruire una prospettiva meno lacerante. In realtà, all’Ucraina non è stata concessa alcuna alternativa: gli imperialisti di Washington e di Mosca non intendevano lasciare al popolo ucraino – alla faccia della democrazia e della “sovranità nazionale” del paese – la possibilità di decidere del proprio futuro: intendevano prendersela tutta o in parte, facendo decidere allo scontro armato quale ipotesi si sarebbe concretizzata.

 

UNA GUERRA PER SPARTIRSI L’UCRAINA

                                           

In ballo non c’era lo scontro armato fra Nato e Federazione Russa, ossia tra due potenze nucleari, dando così inizio alla terza guerra mondiale. Senza l’impiego di truppe Nato a sostegno di truppe ucraine pro-Nato contro truppe russe a sostegno di milizie ucraine pro-Russia, la guerra rimaneva circoscritta all’Ucraina, ma qual era l’esito prevedibile? Da un lato la spartizione dell’Ucraina, dall’altro l’indebolimento dell’Europa da parte degli Stati Uniti, come scrivemmo nel gennaio 2023 (2).

Gridare al nemico, presentandolo più forte e aggressivo di quel che è effettivamente, è una mossa propagandistica che i governi usano per far passare all’interno del proprio paese la politica guerrafondaia come un’urgente necessità di difesa. Il fatto stesso che, nell’urto di interessi contrapposti, da parte degli imperialismi europei e americano sia stato utilizzato sul terreno l’esercito ucraino come unico “nemico” dell’esercito russo mostrava, fin dall’inizio, che in ballo non c’erano interessi che richiedessero la soluzione più drastica e generale come sarebbe stata la guerra mondiale. Come abbiamo ripetuto più volte, i proletari russi e ucraini sono stati mobilitati per una guerra locale che aveva, da entrambi i lati, un duplice scopo: per l’imperialismo russo imporre con la forza il controllo di una zona dell’Ucraina – la Crimea e il Donbass – che da sempre costituisce uno strategico avamposto sul Mar Nero e schierare l’intero paese a sostegno dei propri interessi imperialistici; per gli imperialismi europei e, in parte, gli americani, accerchiare la Federazione Russa anche da sud e, contemporaneamente, da parte di Washington, indebolire l’Unione europea in modo da piegarla ancor più agli interessi globali dell’imperialismo americano.

Conquistare l’intera Ucraina o la sua parte russofona era una questione di vita o di morte per l’imperialismo russo, tanto da rischiare di innescare una guerra mondiale? No, di certo, ma, come per ogni potenza imperialistica, dominare o controllare un territorio economico strategico – e l’Ucraina lo è – costituisce un obiettivo importante per il quale, soprattutto se detiene la stessa importanza per gli imperialismi avversari, usare anche la forza se le vie politiche, economiche e corruttive non sono state sufficienti allo scopo.

La tattica adottata da Washington e Londra sembra essere stata quella di spingere la Russia a fare la prima mossa, a invadere l’Ucraina, e di trasformare l’esercito ucraino, i suoi battaglioni nazisti e la sua popolazione in carne da macello a difesa degli interessi imperialistici occidentali. Naturalmente Washington e Londra dovevano trovare a Kiev un governo che seguisse le loro indicazioni e applicasse la loro strategia, e lo trovarono, dopo i vari tentativi, nel governo Zelensky in carica dal 2019.

In tre anni, la guerra che, secondo le cronache giornalistiche, avrebbe potuto fermarsi nel giro di un mese o due dal suo inizio – come sembrava dai negoziati avviati tra Zelensky e Putin all’inizio di aprile 2022 dopo che lunghe colonne di carri armati russi si stavano dirigendo su Kiev – ma che, in seguito alle ampie promesse di Boris Johnson (a nome degli Stati Uniti e della Nato), catapultatosi appositamente a Kiev, di forti sostegni economici, finanziari e militari da parte dei paesi Nato “fino alla vittoria sulla Russia”, non si è interrotta. Tirando le somme qual è la situazione ad oggi?

Ecco alcuni dati. Su un totale di circa 400 miliardi di euro destinati all’Ucraina, i paesi dell’UE ne hanno stanziati 202,6, mentre gli Stati Uniti ne hanno stanziati 119; tra i maggiori finanziamenti si aggiungono i 27,2 miliardi del Regno Unito, i 15 della Norvegia e i 12,4 del Canada. Dei 202,6 miliardi di euro ne sono stati erogati finora 132,3 sommando UE, Regno Unito, Norvegia, Islanda e Svizzera, mentre gli Stati Uniti ne hanno erogati 114,15 (3). Come detto sopra, i paesi europei hanno svuotato buona parte dei propri arsenali, non solo di vecchi armamenti, ma anche di armamenti a tecnologia avanzata, cosa che li mette in grande difficoltà soprattutto da quando il nuovo presidente americano Trump ha lanciato il proposito di diminuire drasticamente l’impegno finanziario degli Stati Uniti nella Nato “a difesa” dell’Europa, dedicando la maggior parte delle proprie risorse finanziarie per contrastare l’avanzata imperialistica della Cina spostando dall’Atlantico all’Indo-Pacifico il centro dei contrasti interimperialistici.

Ma un altro dato che interessa soprattutto i comunisti rivoluzionari e i proletari riguarda l’altissimo contributo di sangue versato in questa guerra da parte tanto dei proletari russi quanto degli ucraini. Le diverse fonti danno cifre piuttosto contrastanti, soprattutto quelle ucraine e russe che hanno tutto l’interesse a diminuire sensibilmente il numero dei propri morti e feriti; in ogni caso, aldilà di quanto sostenuto dai rispettivi Stati maggiori e dai vari media (Wall Street Journal, la BBC, il sito web indipendente Mediazona, il New York Times ecc.), i numeri portano tutti verso il milione di vittime, tra morti e feriti, con un numero superiore per quel che riguarda i russi rispetto agli ucraini (4), senza contare le vittime civili. Come sempre, in ogni guerra borghese sono le masse proletarie ad essere costrette a farsi macellare sui diversi fronti, che la guerra sia condotta con tattiche e mezzi convenzionali – nelle trincee o casa per casa come a Bachmut, a Mariupol, a Pokrovsk e in cento altri villaggi e centri abitati – o con mezzi tecnologici avanzati, dai missili a lunga gittata ai droni distruggendo ospedali, scuole, edifici civili, fattorie, depositi di carburanti o di derrate agricole ecc.

Al massacro sistematico di soldati da una parte e dall’altra del fronte si accompagna un altro inevitabile fenomeno: quello dei rifugiati all’estero e degli sfollati interni al paese. Secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite, UNHCR, (5) fino a oggi, degli oltre 42 milioni di abitanti, quasi 11 milioni di ucraini sono stati costretti a lasciare le proprie case; 6,9 milioni sono fuggiti all’estero, 3,7 milioni sono sfollati all’interno dell’Ucraina; per la maggior parte, il 76%, sono donne e bambini, mentre gli uomini sono sottoposti alla legge marziale.

 

TRUMP, L’UOMO DELLA PACE IMPERIALISTA

 

E’ ormai evidente, e dichiarato, che la politica di Trump tenda a scaricare l’impegno americano in Ucraina che si era assunto la presidenza Biden, favorendo invece la ripresa dei rapporti diretti con Mosca sulla testa non solo e non tanto di Zelensky, ma di tutti i governanti europei. L’agenda di “fine guerra” non è mai stata nelle mani dell’Ucraina, e nemmeno nelle mani dell’Unione europea, nonostante la prosopopea con cui tutti i leader europei continuavano, dopo i ritornelli sulla guerra “giusta”, a blaterare sulla “pace giusta”. Il vociare sul sostegno all’Ucraina fino alla cacciata dei russi dal territorio ucraino, ribadito più e più volte sia nella fantomatica “controffensiva” dell’autunno 2023, che avrebbe dovuto far avanzare le truppe di Kiev per riprendersi le province del Donbass occupate dai russi, così come nei diversi attacchi anche in territorio russo e nel Mar Nero, si è dimostrato una gigantesca presa in giro. Inoltre, ha mostrato la volontà criminale di far macellare centinaia di migliaia di soldati e di civili ucraini al solo scopo di tenere alta la bandiera di un nazionalismo votato, fin dal primo momento, a favore di interessi di potenza sia nazionali che degli imperialismi europei e americano dai quali, a guerra “finita” e mettendo sul piatto della bilancia le centinaia di migliaia di morti ucraini, ricavare dei vantaggi per le fazioni borghesi pro-Nato.

E’ ormai un dato di fatto: le prime mosse di Trump hanno messo fuori gioco in men che non si dica europei e ucraini, e hanno costruito un tavolo negoziale per terminare la guerra in cui i protagonisti sono soltanto Trump e Putin, la Casa Bianca e il Cremlino, e i loro interessi imperialistici specifici. I leader europei, certi di poter presenziare come terzo attore al tavolo delle trattative, visti i miliardi spesi e gli armamenti forniti per sostenere la “causa ucraina”, e ricavarne rilevanti vantaggi economici e politici, hanno dovuto ingoiare il boccone amaro di essere esclusi dalle decisioni finali; possono solo sperare che, all’ombra delle trattative russo-americane salti fuori qualche vantaggio secondario anche per loro, magari nel business della ricostruzione del paese – sono stati calcolati circa 500 miliardi di euro necessari per ricostruire case, infrastrutture energetiche e di trasporto, servizi e per rilanciare l’economia del paese, miliardi destinati ad aumentare se il conflitto prosegue (6). L’altra sorpresina che Trump ha riservato agli europei è stata quella di pretendere dall’Ucraina la concessione esclusiva sul 50% delle terre rare presenti nel sottosuolo ucraino. Come si sa, i minerali contenuti nelle cosiddette “terre rare” sono indispensabili per l’industria tecnologica avanzata (computer, smartphone, batterie e tecnologie energetiche d’avanguardia) e l’interesse americano è aumentare la competitività nei confronti della Cina che attualmente controlla il 70% della capacità estrattiva globale di terre rare e il 90% della capacità della loro lavorazione (7). Il sottosuolo ucraino, infatti, è ricchissimo di molti minerali e metalli indispensabili per l’industria moderna, per l’estrazione e la lavorazione dei quali sono necessari notevoli investimenti; investimenti che soltanto potenze finanziarie di grande rilevanza possono permettersi ed è su questo che Trump conta, oltre al fatto che è l’unico a poter concordare con la Russia un “fine guerra” e a decidere di convogliare consistenti investimenti in territorio ucraino. Ma le terre rare ucraine sono sparse e circa il 50% della loro presenza si trova nei territori occupati dalla Russia che ha già messo i suoi artigli su quel tesoro e non lo lascerà certo a disposizione di Trump e di un qualsiasi Zelensky. Nella trattativa con la Russia che Trump ha in mente non può non esserci anche questo capitolo la cui gestione avverrà sicuramente sulla testa di Zelensky, mentre gli europei sono, come detto, fuori gioco.

La “pace” che si profila, come abbiamo scritto nel numero precedente del giornale (8), è una pace imperialista, quindi non una pace durevole grazie alla quale i fattori che hanno determinato questo conflitto svaniscono, ma una tregua di guerra nella quale le cause del conflitto vengono “sospese” dando spazio a interessi più immediati relativi alla ripresa economica e ad una vita sociale meno turbolenta e lacerata, ma nella quale si costruiscono quei fattori di concorrenza imperialistica che inevitabilmente, in un periodo successivo, torneranno a fomentare disordini e scontri militari. Quel che succederà d’ora in poi riguarda più il come che il quando terminare questa guerra, e il come non può che essere imperialista, dunque oppressivo da tutti i punti di vista. La borghesia ucraina che fa capo a Kiev ne viene fuori bastonata, e certamente si rifarà – come succede sempre alle borghesie vinte in guerra – sul proprio proletariato sfruttandolo e schiacciandolo ancor più di prima della guerra col pretesto che l’“economia nazionale deve riprendersi” e non mancherà di soffiare sull’odio nazionalistico nei confronti della Russia e degli ucraini russofoni. La pace borghese non sarà una vera pace per i proletari ucraini, e nemmeno per i proletari russi anche se il Cremlino li coinvolgerà nei fasti di una pace che verrà passata per una vittoria contro il nazismo ucraino e contro l’accorpamento dell’Ucraina alla nemica Nato.

Il futuro per i proletari in Ucraina e in Russia non potrà mai essere un futuro di pace di benessere sociale; il loro dopoguerra sarà segnato dallo sfruttamento e dall’oppressione salariale come e più dell’anteguerra, anche perché dovranno fare i conti con una crisi economica che il sistema capitalistico non è in grado di annullare, se non temporaneamente. Il loro futuro, come per i proletari d’Europa e d’America, si presenta particolarmente duro perché sono stati troppo abituati a contare su delle garanzie economiche e sociali che poggiavano, e ancora poggiano, sull’oppressione da parte dei rispettivi imperialismi di popoli e paesi più deboli, oppressione grazie alla quale i rispettivi imperialismi sono riusciti, e ancora riescono, a concedere ai propri proletariati dei privilegi (salari, case, pensioni, cure mediche ecc.) che i proletari dei paesi dominati possono soltanto sognarsi. La via d’uscita dallo sfruttamento, dalla miseria, dall’incertezza di vita, dalla guerra è esattamente l’opposto della collaborazione di classe che ogni borghesia chiede e pretende dai suoi proletari: lotta di classe in difesa degli interessi immediati e futuri del proletariato, riconoscendo l’antagonismo di classe che oppone ogni borghesia ad ogni proletariato e che la borghesia applica costantemente in difesa dei suoi interessi immediati e futuri di classe. Per quanto lontana appaia oggi questa via d’uscita, è l’unica che il proletariato può prendere, in ogni paese, per combattere sullo stesso terreno sul quale la borghesia combatte sistematicamente, ogni giorno, contro il proletariato; ed è l’unico terreno sul quale è possibile costruire la solidarietà di classe tra proletari, quella solidarietà di classe che impedisce alle rispettive borghesie di irreggimentarli nelle proprie guerre di concorrenza e nei propri conflitti armati.

   

Saranno gli americani e i russi a dettare le condizioni, sono loro che devono trovare un punto d'incontro e ciò non potrà che essere a discapito dell'Ucraina che potrà tornare a bearsi della sua "indipendenza", della sua "sovranità territoriale" e di una ripresa economica e "pacifica" su un territorio monco rispetto al 1991. Potrebbe finire, probabilmente, come nel 1953 tra Corea del Nord e Corea del Sud, con una linea rossa da non oltrepassare da una e dall'altra parte; è però più probabile che assomiglierà a una separazione sempre pronta a saltare, non accettata né da parte degli ucraini del Donbass né da parte dei russofoni del Donbass, e sulla quale i russi potrebbero comportarsi come gli israeliani nei confronti dei territori palestinesi. La pace russo-ucraina sarà più una tregua di guerra che non un periodo di sviluppo pacifico dell'uno e dell'altro paese.

      


 

(1) A proposito della penuria di petrolio e derivati, vedi La “bella epoca” dell’imperialismo USA, in “il programma comunista” n. 4 del 1957.

(2) Cfr. Ucraina, Corea del XXI secolo?, “il comunista” n. 176, genn-febb. 2023, e La guerra in Ucraina serve agli USA per indebolire l’Europa, nello stesso numero 176 de “il comunista”.

(3) https://www.linkiesta.it/2025/02/aiuti-ucraina-dati-europa-italia-stati-uniti/, del 19 febbraio 2025.

(4) https://tg24.sky.it/mondo/2024/11/18/morti-guerra-ucraina-russia;

https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/ 2024/09/19/ un-milione-vittime-guerra-ucraina;

https://www.vaticannews. va/it/ mondo/news/2024-11/ucraina-mille-giorni-conflitto-numero-vittime-incertezza.html      

(5) https://www.unhcr.org/it/notizie-storie/storie/guerra-in-ucraina-la-risposta-umanitaria-dellunhcr/ del 21.2.2025

(6) https://www.lastampa.it/esteri/2025/02/20/news/ucraina_ricostruzione_500_miliardi-15013239/

(7) https://www.lastampa.it/ esteri/2025/02/10/ news/terre_rare_ucraine_quelle_ immense_ricchezze_ sotterranee_ che_ fanno_ gola_putin_e_trump-14993264/

(8) Cfr. “il comunista” n. 184, dicembre 2024, Guerra russo-ucraina: pace imperialista all’orizzonte... 

 

22 febbraio 2025

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

www.pcint.org

 

Top  -  Ritorno indice  -  Ritorno archivi