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La Tunisia 15 anni dopo
«RIvoluzione democratica» e dittatura della borghesia
La Tunisia è stata presentata come l’esempio del trionfo della “rivoluzione democratica” durante l’ondata delle cosiddette “primavere arabe” che era cominciata proprio in questo paese alla fine del 2020. Un ambulante, Mohamed Bouazizi, si era dato fuoco per protesta contro le intimidazioni delle autorità di cui era vittima, e ciò diede il via a una serie di manifestazioni che furono a valanga fino a giungere alla caduta dell’autocrate Ben Ali.
Ma i lavoratori tunisini non tardarono a veder deluse le loro speranze. Anche se l’anziano dittatore Ben Ali e il suo clan sono stati allontanati dal potere ed è stata adottata una costituzione democratica, l’economia del paese è rimasta sotto il controllo di alcuni gruppi familiari che si sono legati ai nuovi partiti al potere, facendo parlare di capitalismo “islamo-mafioso”. La crisi sociale, dovuta all’aggravamento delle diseguaglianze, della disoccupazione e della scarsità alimentare a causa delle persistenti difficoltà economiche, ha potuto essere contenuta durante questi anni mediante una combinazione della repressione poliziesca e del nuovo gioco democratico: 9 governi si sono succeduti fino alle elezioni presidenziali del 2019. La disillusione nei confronti dei partiti al potere, soprattutto verso il partito islamista Ennahda – il principale partito dopo la caduta di Bel Ali – è stata all’origine dell’inattesa e massiccia vittoria a questa elezione di un candidato che si presentava come un campione della lotta contro la corruzione, il giurista Kaïs Saïed. Proclamando di voler porre fine alle lotte intestine fra i partiti e di assicurare la stabilità politica e sociale, le nuove autorità hanno intrapreso a poco a poco una strada autoritaria che, nel luglio 2021, ha portato a un colpo di Stato costituzionale pur con un parlamento nelle mani dell’opposizione, ma forte del sostegno popolare (con manifestazioni di migliaia di suoi sostenitori per un cambiamento di regime) e dell’esercito. Saïed si attribuisce i pieni poteri, rimuove il governo, sospende il parlamento, inizia la redazione di una nuova costituzione presidenziale ecc. La nuova costituzione viene adottata nel 2022 con un punteggio alla Bel Ali (più del 94% di sì) e Saïed viene rieletto presidente con più del 90% di voti nel 2024. Ma le stesse cifre ufficiali indicano che la farsa elettorale non ha avuto molto successo, visto che le astensioni sono state superiori al 70%…
Dopo il colpo di Stato, sugli oppositori si è abbattuta la repressione e il numero dei prigionieri politici, talvolta incarcerati senza processo, o condannati sotto falsi pretesti, è cresciuto incessantemente. Decine di anni di carcere sono state recentemente affibbiate a dei dirigenti dell’opposizione con l’accusa di “attentato alla sicurezza dello Stato” o di “terrorismo” (1).
Diversi personaggi dell’intelligentsia o della cosiddetta “società civile” democratica sono stati colpiti allo scopo evidente di far rientrare nei ranghi la piccola borghesia intellettuale. Gli imperialismi europei, che sono i principali partner economici della Tunisia, approvano di fatto la politica autoritaria del regime che assicura una “stabilità” vantaggiosa per gli affari.
La “rivoluzione democratica”, proprio perché non riguarda la struttura economico-sociale del paese, non è mai altro che un rinnovamento del dominio borghese; e quando si tratta di un paese povero e colpito da molteplici difficoltà, questo dominio assume inevitabilmente un carattere dittatoriale marcato.
UNA POLITICA ANTI-IMMIGRATI FINANZIATA DALL’UNIONE EUROPEA
Il carattere antiproletario del regime di Saïed si è manifestato con evidenza quando il presidente ha ripreso, nel febbraio 2023, la retorica razzista e di estrema destra francese sulla “grande sostituzione”: egli ha denunciato un “complotto” che mira a modificare la composizione etnica del paese attraverso “orde di migranti”, “fonti di violenza, di crimini e di atti inaccettabili”. In Francia sono gli arabi a essere bersagliati, in Tunisia sono i neri africani. In entrambi i casi, si tratta di designare dei capri-espiatori come responsabili delle difficoltà sociali della popolazione e di dividere le file dei proletari. Le dichiarazioni del presidente sono state immediatamente seguite da espulsioni di migranti e da attacchi razzisti. Dopo gli scontri a Sfax nel luglio 2023, dove hanno avuto luogo delle vere cacce all’uomo contro i migranti, molte centinaia di migranti sono state abbandonate nel deserto in prossimità della frontiera libica; una pratica, questa, diventata corrente dopo di allora e che ha causato la morte di decine di persone.
Il 6 maggio 2024, Kaïs Saïed ha accusato coloro che aiutano i migranti di essere “dei traditori e degli agenti stranieri”, cosa che ha determinato arresti di militanti e la sospensione delle attività delle associazioni di sostegno ai migranti. Le organizzazioni umanitarie hanno documentato trattamenti crudeli, aggressioni sessuali e violenze regolarmente subite dai migranti (2), compresa la loro vendita a delle organizzazioni libiche (3) …
Una Convenzione, firmata nel 2023, che venne presentata come un “accordo strategico” di cooperazione fra l’Unione Europea e la Tunisia, nella realtà si è centralizzata unicamente sulla questione dei migranti, e il “sostegno economico” previsto, dipendente da un accordo con il FMI, è stato finora rifiutato dal governo tunisino. L’Unione Europea finanzia le operazioni di polizia in mare e le espulsioni dei migranti, approvando nei fatti i metodi di Tunisi. La Tunisia è stata così dichiarata come un “paese sicuro”, cioè un paese verso il quale si possono espellere i migranti e i richiedenti asilo.
REPRESSIONE ANTIPROLETARIA
La repressione non risparmia i proletari che fanno sciopero, come gli operai di una fabbrica di scarpe a Metbassa: nel novembre 2024, 24 operai sono stati licenziati e condannati con la condizionale a pene detentive dopo uno sciopero di centinaia di lavoratori. Ma questo clima repressivo non basta a riportare l’ordine capitalista in una situazione di crisi economica e sociale che non fa che aggravarsi. Le statistiche hanno registrato 1132 “azioni di protesta” (e 33 suicidi) nel primo trimestre del 2025 contro le 474 dell’anno precedente (4).
Alla fine di luglio gli addetti ai servizi del trasporto pubblico hanno fatto uno sciopero, molto seguito, di 3 giorni dopo che i negoziati sui salari e le condizioni di lavoro fra l’UGTT e il ministero degli Affari Sociali sono saltati. In seguito a questo sciopero, delle “riunioni di conciliazione” nei settori dei trasporti e dell’agricoltura, che dovevano avere luogo il 4 e 5 agosto, sono state annullate dal ministero degli Affari Sociali. Il 7 agosto alcune decine di sostenitori del governo si sono riunite davanti alla sede dell’UGTT per chiedere lo scioglimento della centrale e l’arresto dei suoi dirigenti accusati da loro di corruzione. Il giorno dopo, il presidente Saïed affermava che quei dirigenti dovevano “renderne conto”. L’UGTT ha replicato organizzando una marcia di protesta il 21 agosto contro l’“aggressione” di cui è stata vittima, marcia a cui hanno partecipato circa 3000 persone. Nel suo discorso, Noureddine Taboubi, segretario generale del sindacato, avvertiva della minaccia di un’esplosione sociale e che bisognava riprendere i negoziati sui salari della Funzione Pubblica interrotti nel mese di maggio.
E’ chiaro che le autorità non intendono dare soddisfazione ai lavoratori; fanno quindi pressione sul sindacato perché ostacoli le lotte operaie. L’UGTT non è un sindacato di classe; ha sostenuto il colpo di Stato di Kaïs Saïed nel 2021 e, dopo le minacce del presidente, ha annullato lo sciopero previsto nel settore aereo. Ma il crescente malcontento dei proletari l’ha costretta a inasprire i toni per conservare la sua influenza presso i proletari, e ciò provoca delle tensioni al suo interno con la corrente più collaborazionista.
Per ottenere le loro pressanti rivendicazioni nella situazione di crisi attuale, i proletari non possono fidarsi dei dirigenti dell’UGTT che si inchineranno davanti al potere, come hanno sempre fatto; non potranno disgraziatamente appoggiarsi alla solidarietà dei proletari dei paesi imperialisti, ancora paralizzati e deviati dal collaborazionismo politico e sindacale come testimonia la “solidarietà” dell’Intersindacale francese: un semplice lagnoso comunicato che chiama “il governo francese e più ampiamente i responsabili europei a condannare le derive autocratiche del regime di Kaïs Saïed e a denunciare il memorandum UE-Tunisia” (5): come se questi “responsabili” (?) non fossero direttamente complici dei misfatti del regime…
In questa lotta di resistenza elementare non potranno contare che sulle loro proprie forze di classe.
Ma domani, quando rinascerà la lotta internazionale del proletariato, quando non si tratterà più di resistere solamente allo sfruttamento, di “migliorare” il capitalismo attraverso le “rivoluzioni democratiche”, ma di rovesciare tutti i poteri borghesi e di instaurare al loro posto il potere dittatoriale del proletariato – indispensabile per farla finita con il sistema capitalistico e per aprire la strada alla società comunista, la solidarietà e l’unione combattente dei proletari di tutti i paesi ridiventeranno possibili e necessari.
(1) Fra i condannati da 4 a 66 anni di prigione, il tribunale ha inserito anche lo scrittore francese pro-israeliano Bernard-Henri Lévy (condannato a 33 anni di prigione in contumacia) senza che se ne conoscano le ragioni.
(2) https://www.borderforensics.org/fr/actualites/statetrafficingreport/
(3) https://www.theguardian.com/global-development/2024/sep/19/italy-migrant-reduction-investigation-rape-killing-tunisia-eu-money-keir-starmer-security-forces-smuggler-trimestre-2025/
(4) https://www.agenzianova.com/news/tunisia-1132-azioni-di-protesta-e-33-suicidi-nel-primo-
(5) Comunicato del 21/8/25 firmato da CGT, CFDT, UNSA, FSU e Solidaires.
10 settembre 2025
Partito Comunista Internazionale
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