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Terremoto in Abruzzo

Una catastrofe annunciata

 

Le scosse di terremoto che hanno colpito L’Aquila e molti paesi dell’aquilano hanno raggiunto il loro apice catastrofico nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 aprile: 5,8 gradi della scala Richter. Interi paesi rasi al suolo, Onna, Tempera, Paganica, Fossa, San Gregorio, Poggio Licenze, mentre un’altra ventina di paesi si presentano come se fossero stati ferocemente bombardati. E’ dallo scorso gennaio che sono iniziate le scosse, i primi sciami sismici, proprio nell’aquilano; c’è stato anche l’allarme lanciato da un ricercatore che sulla base delle rilevazioni del gas radon, un gas radiottativo che fuoriesce dal terreno in corrispondenza di attività sismica, prevedeva un terremoto catastrofico nella zona di Sulmona, a sud-est di L’Aquila. Ma al di là della possibilità di esatta previsione dell’epicentro di un terremoto e delle sue potenziali conseguenze – siamo in una società in cui la ricerca scientifica, qualsiasi tipo di ricerca scientifica, è piegata e fortemente condizionata dai possibili e rapidi vantaggi economici e di profitto, perciò tutto quel che non è di rapida trasformazione in profitto rimane ai margini degli interessi sia pubblici che privati – resta il fatto che ogni catastrofe annunciata resta lettera morta: si passa direttamente alla conta dei morti e dei feriti e alla valutazione dei danni, per lucrare sulla ricostruzione!

Sono crollati ospedali, edifici pubblici, scuole e case costruiti di recente! Una prima stima dei morti: 150, e 1500 feriti; si calcolano 70.000 sfollati. Ma nei giorni successivi, la conta dei morti sale e non si ferma; sabato 11 aprile i morti accertati sono già 294; Vigili del Fuoco e addetti alla Protezione Civile sono impegnati a scavare fino a domenica di Pasqua. I primi estratti vivi dalle macerie, come alla Casa dello studente a L’Aquila, lo devono a soccorritori volontari che si sono messi a scavare con le mani.

L’Italia è un paese sismico, con zone ad alto rischio terremoto; e l’Abruzzo è una regione ad alto rischio sismico, come il Molise, la Campania, la Calabria, la Sicilia, ma anche le Marche  e su su fino al Friuli. Dagli anni Settanta esistono leggi che obbligano tutti i costruttori a rispettare regole antisismiche molto precise. Ma le regole scritte non valgono mai più degli affari, del facile profitto, dell’interesse capitalistico. In tutte le catastrofi cosiddette naturali, e in specie nei terremoti, è sempre venuta alla luce l’oscena corsa al profitto. E il terremoto in Abruzzo conferma che il capitalismo è una economia della sciagura! Palazzi sbriciolati rivelano che i materiali usati per la loro costruzione non dovevano essere usati, come la sabbia del mare il cui contenuto salino mantiene umidità e corrode il ferro del cemento armato.

A San Giuliano di Puglia, dove il crollo della scuola ammazzò 27 bambini e un’insegnante, in Irpinia coi suoi 400 morti, nelle Marche, in Friuli, e più lontano nel tempo nel Belice in Sicilia: centinaia e centinaia di morti assassinati da una società che è pronta a piangere i morti e ad allestire «funerali di stato», ma non ha mai rispettato le regole che essa stessa si dà.

E così tocca assistere a visite ufficiali, al «pronto intervento» delle più alte autorità, a servizi televisi e giornalistici in cui i rappresentanti di una società che vive sulle disgrazie altrui mostrano la loro faccia elettorale, allo spettacolo del dolore in cui le diverse reti televisive fanno a gara nel trasmettere «per prime» lo scoop del momento vantandosi dell’audience raggiunta! Il dolore vero delle famiglie colpite è sempre accompagnato da falsa partecipazione e da promesse che puntualmente non vengono mai attuate!

Ricordando quante promesse sono state fatte e mai mantenute in tutti gli episodi precedenti, nelle tendopoli allestite per i terremotati si è costituito un Comitato che si è posto l’obiettivo di parlare a nome di tutti, rivendicando interventi immediati sul piano più elementare a cominciare dal riscaldamento delle tende, per finire con l’allestimento di case di legno e non di containers. Pur tra le mille difficoltà che vivono quotidianamente gli sfollati, questo Comitato esprime la necessità di organizzarsi direttamente perché non ci si fida delle promesse delle autorità, e dà comunque una speranza, la speranza di «non farsi dimenticare» come invece è successo ai terremotati del Belice, dell’Irpinia, delle Marche. Il coraggio, la fierezza, la dignità degli abruzzesi oggi, ricorda il coraggio, la fierezza, la dignità dei marchigiani, dei friulani, dei campani, dei molisani di ieri: attestati d’onore che non costano nulla alle autorità, e che lavano le loro coscienze. Ma quel coraggio, quella fierezza, quella dignità di cui sono portatori soprattutto i proletari, lavoratori abituati a sudare e a sacrificarsi per vivere, dovranno un giorno dare la spinta ad organizzazioni di classe, coscienti del fatto che sempre, nella vita di ogni giorno, nel trascorrere del tempo nella normalità borghese e capitalistica, e nelle situazioni di grande tragedia come l’attuale o nelle situazioni ancora più gravi, di guerra come già nel passato è avvenuto, l’interesse capitalistico, la corsa sfrenata al profitto primeggeranno su qualsiasi altro interesse umano e sociale. Ed è questo vero e proprio antagonismo tra la soddisfazione dei bisogni umani di vita sociale e la soddisfazione dei bisogni di mercato, di profitto, di accumulazione e valorizzazione capitalistiche, che si cela anche nelle situazioni che appaiono normali, abituali, di logica convivenza. Nei momenti tragici, questo antagonismo si riflette in fatti concreti, inoppugnabili: palazzi, scuole, edifici pubblici che si sbriciolano e che sotterrano vite umane. Non è la fatalità, né tanto meno il volere divino che salva la madre ma uccide il figlio: è la conseguenza di un’organizzazione sociale intera che fa ruotare ogni cosa intorno al profitto capitalistico! Se un costruttore risparmia sul cemento armato lo fa esclusivamente per intascare più profitto; come risparmia sulle misure di sicurezza per i propri operai, e come risparmia sugli operai stessi facendoli lavorare in nero o massacrandoli di lavoro per un salario da fame, così risparmia sui materiali da costruzione; agli operai che muoiono cadendo dalle impalcature fanno da contraltare coloro che prima o poi muoiono sotto le macerie di case costruite male. Se poi vige la regola che i controlli o non esistono o sono superficiali, o semplicemente si passano tangenti perché un vero controllo non si faccia, allora il cerchio si chiude, e le «responsabilità diffuse» cui il presidente della repubblica, in occasione del terremoto in Abruzzo, non ha potuto non richiamare, fanno capire però che la colpa non è di tizio o di caio, ma di un’intera organizzazione politica e sociale che difende l’interesse del profitto contro l’interesse dell’uomo.

Quanti morti sul lavoro, quanti morti a causa di catastrofi annunciate ci vogliono ancora perché si levi, con il grido di dolore, il grido di guerra delle masse lavoratrici e proletarie che nulla hanno a che spartire con la ricerca affannosa del profitto capitalistico, ma che tutto hanno da spartire con la difesa della vita dai colpi sistematici che una classe borghese, avida, cinica e visceralmente approfittatrice delle disgrazie collettive, porta alla maggioranza della popolazione?

Dalle tragedie i proletari devono ricavare lezioni che servano per combatterne le cause! E le cause stanno tutte nel modo di produzione capitalistico, nella società eretta su questo modo di produzione che mette al centro i bisogni del mercato e del profitto, calpestando ad ogni passo i bisogni di masse sempre più vaste. Alla precarietà del lavoro, alla precarietà del salario si aggiunge così la precarietà della vita quotidiana che si presenta senza futuro o con un futuro di miseria e di abbandono.

Reagire alla tragedia del terremoto, ai lutti tremendi che hanno colpito centinaia di famiglie, significa anche trarre una lezione collettiva, una lezione che metta al centro il problema di combattere contro le vere cause della tragedia. E questa lezione la può trarre soltanto il proletariato, la classe cioè che in questa società è condannata a perdere tutto perché già in partenza è senza riserve, già in partenza è costretta ad una vita di schiavitù salariata, ad una vita precaria e appesa alla possibilità o meno che un capitalista, grande o piccolo non ha importanza, sfrutti la sua forza lavoro per ricavare profitto; schiavitù salariata sempre in balìa di un lavoro mai veramente certo e prolungato nel tempo, di una vita fatta di infortuni più o meno gravi o permanenti e di una vecchiaia sempre più incerta e disperante. E’ necessario reagire alla tragedia del terremoto per organizzare anche nell’immediato la difesa delle più elementari necessità di vita quotidiane, in vista di usare questa forza e questa organizzazione per difendere gli interessi proletari anche nel tempo.

I borghesi, anche di fronte alle catastrofi cosiddette naturali, non devono partire da zero per organizzare la difesa dei loro interessi; sono già organizzati, hanno una società intera plasmata sui loro interessi, hanno associazioni e istituzioni, fino allo Stato centrale, che difendono i loro interessi in ogni campo, su ogni piano e in ogni situazione, comprese le situazioni catastrofiche come terremoti, alluvioni, eruzioni vulcaniche o maremoti. Se poi si pensa a un altro tipo di catastrofe, la guerra guerreggiata, qui i borghesi danno il meglio di sé: trasformare i proletari in carne da macello è la loro specialità!

Reagire come classe, per i proletari, diventa oggettivamente una necessità di vita, anche in situazioni come l’attuale in cui alla già particolarmente profonda crisi economica in cui la sovrapproduzione capitalistica ha gettato il mondo intero e di cui soffrono soprattutto le classi proletarie e più povere, si aggiungono, in Abruzzo, le conseguenze di un terremoto di fronte al quale autorità e istituzioni dimostrano tutta la loro impotenza e che, per salvare la faccia e i voti che hanno accalappiato in regione, si danno da fare nello sfruttare a proprio beneficio la solidarietà umana e lo spirito di sacrificio che in queste occasioni non mancano mai, dai volontari ai vigili del fuoco.

Uscire dal terremoto più forti e capaci di difendere meglio gli interessi immediati di vita e di lavoro, si può, ma alla condizione di organizzare questa difesa sul terreno di classe, contrastando la falsa solidarietà delle istituzioni borghesi e negando alla viscida unione sacra di tutte le classi la soluzione dei problemi. Passato il momento più tragico e l’effetto scioccante dei primi giorni del terremoto, i borghesi tornano ai loro interessi riallacciando la rete di conoscenze per riprendere i loro «affari», mentre i proletari dovranno vedersela con una vita ancora più precaria, magari con un mutuo da pagare per una casa che è crollata!

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

11 aprile 2009

www.pcint.org

 

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