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Afghanistan: coi soldati italiani morti in un attentato ritorna la grancassa dell’unione sacra «in difesa del Paese»!

I proletari non cadano nella trappola!

 

 

Con i 6 parà uccisi a Kabul dalla guerriglia afgana salgono a 21 i militari italiani della missione Isaf morti in Afghanistan. Con i 10 civili afgani morti nello stesso attacco salgono a più di 11.000 i civili afgani, morti in una guerra che le potenze imperialiste, con a capo gli anglo-americani, hanno scatenato in Afghanistan dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York l’11 settembre del 2001.

L’Italia, paese imperialista di seconda o terza grandezza, partecipa alla guerra imperialista in Afghanistan. Che cosa difende? Difende la sua alleanza imperialista con gli Usa, la Gran Bretagna, la Germania, il Giappone, difende la sua alleanza imperialista nella Nato e da 8 anni, sotto una falsa «missione di pace» giustificata da una presunta «lotta al terrorismo internazionale», occupa militarmente, insieme alle truppe Nato, l’Afghanistan, come in precedenza ha fatto con l’Iraq, per non parlare delle guerre imperialiste nel corno d’Africa, nella ex Jugoslavia, in Libano.

 

I paesi imperialisti sono la quintessenza del militarismo, e del terrorismo di stato. I loro interessi vengono imposti con la forza: con la forza dei capitali, del commercio, delle armi. Il loro terrorismo non può che scatenare reazioni simili. La borghesia lotta contro la borghesia concorrente con tutte le armi che ha a disposizione. Non sempre si affrontano in guerra eserciti organizzati alla stessa maniera; spesso, soprattutto quando le grandi potenze imperialiste si avventano su singoli paesi della periferia dell’imperialismo, i loro organizzatissimi ed armatissimi eserciti professionali si scontrano con la guerriglia partigiana, con la resistenza degli insorti. Se gli insorti usano le imboscate e le autobomba, gli eserciti imperialisti usano i bombardamenti a tappeto, i carri armati, la terra bruciata. Terrorismo di Stato contro terrorismo guerrigliero; il metodo è lo stesso, cambia la dimensione del fenomeno. Oggi in Afghanistan, come ieri in Iraq, in Jugoslavia, nel Caucaso o in Africa, lo scontro di guerra è di segno totalmente borghese in entrambi i fronti. E le popolazioni civili, i proletari, i contadini poveri e le masse diseredate fanno la parte di carne da macello.

Sotto il paravento della democrazia, della stabilità mondiale, del benessere della comunità internazionale, le borghesie dominanti dei paesi capitalisti più forti si contendono il mercato mondiale ed ognuna di esse tende a ricavare dalla spartizione del mercato mondiale la quota maggiore possibile. In questa spietata lotta di potere che per teatro ha il mondo intero, le piccole nazioni, i paesi economicamente più arretrati sono destinati a subire la più atroce condanna che il capitalismo possa infliggere: la fame, la miseria, la distruzione economica e sociale, la devastazione di guerra.

Che cosa difende l’Italia democratica, civile, progredita economicamente, in Afghanistan? Che cosa difendono gli Usa, la Gran Bretagna, la Germania, il Canada, la Spagna e le altre decine di paesi aggregati nella spedizione anglo-americana in Afghanistan? Solo ed esclusivamente interessi imperialisti in un territorio montagnoso, inospitale, per lo più arido, ma strategicamente importante sia per la posizione geografica, sia per i recenti ritrovamenti di giacimenti di uranio. Al Qaeda? I Talebani? Il pericolo del fondamentalismo islamico? Problemi del tutto secondari. Tutti i paesi imperialisti, a cominciare dal più vecchio, l’Inghilterra, al più giovane, gli Stati Uniti d’America, per propria convenienza, all’occasione, hanno sempre incoraggiato, sostenuto, appoggiato, protetto ogni sorta di governo militare, crudele, dittatoriale, corrotto. I talebani, quando combattevano contro i russi negli anni Ottanta erano sostenti dagli Usa in quanto superpotenza in contrasto diretto con l’Urss, mentre oggi gli stessi Usa li combattono e li bombardano grazie anche all’appoggio che la Russia offre loro nel proprio spazio aereo. La partecipazione dell’Italia, come degli altri paesi che non hanno peso determinante nelle decisioni imperialistiche mondiali ma ne hanno nel dare supporto logistico nel controllo imperialistico delle «zone delle tempeste» sparse nel mondo, è propria di una borghesia invertebrata nei confronti dei potenti del mondo, ma vigliacca ed aguzzina nei confronti del proletariato, come ha dimostrato nelle due guerre mondiali precedenti, e particolarmente crudele nei confronti del proletariato immigrato come sta dimostrando in questi ultimi anni.

 

I proletari italiani, e tanto più i proletari immigrati, non hanno nulla da spartire con la classe  borghese dominante italiana. Gli «eroi» morti nelle loro guerre che i borghesi piangono sono solo una parte del prezzo che la borghesia italiana paga ai suoi alleati imperialisti dai quali, in cambio, chiede vantaggi politici, diplomatici, economici. La guerra ha sempre portato profitti per i capitalisti, morte e disperazione per i proletari. Il prezzo più grande lo paga, come sempre, il proletariato, sia in termini di maggiore sfruttamento perché deve sopportare il peso di maggiori spese di guerra (per la spedizione in Afghanistan lo Stato italiano sborsa come minimo 1 milione e mezzo di euro al giorno), sia in termini di peggioramento delle condizioni di vita poiché la crisi economica falcia a centinaia di migliaia i posti di lavoro gettando sul lastrico masse sempre più imponenti di proletari.

La chiamata del governo e del capo dello Stato all’unione sacra per onorare «il sangue versato per il Paese», è la propaganda tipica della classe dominante borghese allo scopo di rendere le masse proletarie complici delle sue guerre di rapina. L’esibizione dei corpi dei militari morti in funerali di stato serve  a far montare un sentimento di vendetta che la propaganda borghese alimenta apposta per incanalare una reazione interclassista contro quelle che vengono disegnate come «le forze del male», quello «straniero» che ha osato armarsi e lottare in casa propria contro gli invasori, invece di accettare senza opporsi che le civilissime truppe imperialiste di occupazione gli impongano il proprio dominio politico ed economico.

 

I proletari non devono cadere in questa trappola tesa dalla borghesia dominante. Devono rompere i legami con cui le forze del collaborazionismo politico e sindacale hanno stretto la sorte del proletariato alla sorte della borghesia; devono staccarsi dall’abbraccio velenoso dello sciovinismo con il quale il proletariato è deviato completamente dal suo terreno di lotta in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro.

Il minimo che i proletari devono chiedere è l’immediato ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan e da tutti i paesi in cui sono state spedite coi pretesti più fantasiosi. Questo non tanto per «evitare» che qualche militare ci lasci la buccia, quanto perché ci si oppone ad ogni oppressione che la propria borghesia imperialista esercita su altri popoli. Ma la richiesta del ritiro delle truppe dai paesi in cui sono state spedite per reprimere altri popoli, per avere efficacia classista deve essere sostenuta dalla lotta proletaria nel proprio paese in difesa delle condizioni di vita e di lavoro. Il proletariato lotta contro ogni oppressione, quindi innanzitutto contro la propria oppressione salariale. E’ questa lotta che gli dà la forza per battersi anche contro le avventure di guerra della propria borghesia imperialista. Il solo «ritiro delle truppe spedite all’estero», di per sé, non è una richiesta esclusivamente proletaria; può essere richiesto anche da alcune frazioni borghesi, come è successo con i partiti riformisti di sinistra nel caso dell’Iraq e come succede oggi con la Lega che, per di più, è un partito di governo!

E’ la lotta intransigente ad esclusiva difesa degli interessi proletari, fuori delle compatibilità con la politica di collaborazione interclassista e fuori degli apparati dello Stato e delle forze riformiste e collaborazioniste, che dà il segno proletario a richieste che talvolta possono essere anche avanzate da altre classi. Soltanto sul terreno dell’aperto antagonismo fra le classi è possibile che il proletariato riprenda il suo cammino di classe verso la propria emancipazione dallo sfruttamento capitalistico e per la fine di ogni oppressione e di ogni guerra.

 

No all’unione sacra!

No alla partecipazione interclassista al cordoglio nazionale!

No alla collaborazione fra le classi in tempo di pace, tanto meno in situazione di guerra!

Per la rottura della pace sociale e della condivisione di interessi fra le classi!

Per la difesa esclusiva degli interessi proletari immediati, senza distinzione di nazionalità!

Per la ripresa della lotta di classe! Per la riorganizzazione classista del proletariato sul terreno della lotta immediata e sul terreno politico nella prospettiva della rivoluzione anticapitalistica!

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

Supplemento a «il comunista» n. 113

18 Settembre 2009

www.pcint.org

 

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