Back

Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

Piove, governo ladro!

Per l’ennesima volta, la tragedia colpisce paesi e villaggi a causa del dissesto idrogeologico provocato da decenni di cementificazione selvaggia e di facili profitti!

 

Proletari!

 

A sei mesi dal terremoto d’Abruzzo e dei suoi più di 300 morti, assistiamo ad una ennesima tragedia che, con ancor più evidenza, è stata provocata dall’assenza totale di prevenzione. Sono bastati alcuni giorni di forte pioggia per mettere in ginocchio interi paesi. Nel messinese, a Giampilieri e a Scaletta Zanclea, si continua a scavare nelle tonnellate di fango e di detriti che la montagna ha scaricato sui centri abitati. I morti accertati sono già 22, i dispersi vengono indicati in una quarantina.

Dalle foto, dai filmati e dalle corrispondenze che si vedono in televisione, in internet e si leggono nei giornali appare evidente che quei paesi sono stati costruiti sul greto del fiume, sulla spiaggia di sabbia, sulle pendici di una montagna del tutto instabile; molte delle case di Giampileri e di Scaletta, come si sono premurati di dichiarare tutti quanti, sono state costruite abusivamente! Si è ripetuta, con tremenda puntualità, l’ormai famosa «tragedia annunciata»! Già due anni fa, nell’ottobre 2007, esattamente a Giampilieri la montagna era smottata a valle riempiendo di fango il centro abitato: allora ci furono molti danni, feriti, ma nessun morto. Fu progettato un piano di «messa in sicurezza» che non ha mai visto nemmeno l’iniziale colpo di piccone.

In questa società capitalistica, in cui la spietata corsa al profitto si sposa sempre più strettamente con l’incuria e la devastazione dell’ambiente, in cui ad ogni «catastrofe naturale» – che ormai sempre più spesso dà il ritmo alla vita quotidiana – scatta l’obbligata emergenza, e in cui è sempre più evidente la collusione tra affari sporchi, enti amministrativi e politici locali e nazionali, soldi facili per i maneggioni e vita misera per la grande maggioranza dei tanto vilipesi «cittadini», in questa società capitalistica si conferma una volta di più che l’economia che la regge, e sulla quale vive la classe dominante borghese e i ceti che servilmente la sostengono, la giustificano e se ne avvantaggiano, è l’economia della sciagura! Il capitale si valorizza non solo con la vendita delle merci, ma con le ricostruzioni: più è vasto il disastro, più si deve ricostruire! Il capitale coltiva le catastrofi perché da esse trae giganteschi profitti in tempi accelerati.

Basta andare indietro di qualche decennio – senza andare alle origini del capitalismo – per rendersi conto che l’economia capitalistica, e quindi la società eretta su di essa e dominata dall’unica classe sociale che se ne avvantaggia, la classe borghese, per svilupparsi, per procurare i profitti intascati dai capitalisti, ha bisogno delle catastrofi come dell’aria per respirare. Con le alluvioni, gli incendi, i terremoti, gli tsunami, le eruzioni vulcaniche, o la diffusione di malattie, o le guerre vere e proprie, l’economia capitalistica in realtà rafforza il proprio potere sulla vita sociale umana, soffocandola sempre più sotto la pressione dello sfruttamento salariale del lavoro, da un lato, della crescente miseria per la grande maggioranza delle popolazioni da un altro, del ricatto costante della mercificazione totale di qualsiasi risorsa ed energia umana o naturale, da un altro ancora.

Non si contano, infatti, i disastri che un territorio geologicamente instabile come quello dell’Italia, si sono succeduti nel tempo. Ma vanno distinte le cause naturali dagli effetti che i fenomeni effettivamente naturali (terremoti, maremoti, fenomeni atmosferici ecc.) hanno sugli edifici, sulle vie di comunicazione, sui mezzi di produzione e sugli uomini. Se, quindi, le «autorità», gli «enti preposti» non si muovono mai se non dopo che le tragedie sono avvenute, c’è una ragione che va al di là dell’intenzione e dell’impegno personali: la ragione va cercata nell’interesse vero, profondo, determinante cui rispondo tutte le amministrazioni e gli enti, l’interesse superiore del capitale. Tutti gli allarmi lanciati ad ogni pioggia a Giampilieri come a Sarno e in ogni centro abitato di questa penisola saccheggiata, ferita, torturata, intossicata e devastata, non sono mai serviti a nulla: deve succedere prima la catastrofe, poi si vedrà…

 

Proletari!

 

La risposta risolutiva non potrà mai essere quella degli «uomini di buona volontà», dei volontari, dei pompieri, dei soccorsi spontanei che non sopperiranno mai alle gigantesche mancanze delle organizzazioni preposte, verbalmente, alla prevenzione e alla protezione civile. Le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione che è proletaria riguardano anche la difesa delle condizioni ambientali in cui si vive. La devastazione ambientale si ripercuote immediatamente soprattutto sugli strati proletari della popolazione come i morti, i feriti e i dispersi dimostrano ogni volta. Ci vuole una reazione vigorosa che metta in cima ai propri obiettivi la difesa delle condizioni di vita proletarie, siano inerenti alle case di abitazione e al territorio in cui si vive o alle scuole e agli ospedali. La lotta in difesa delle condizioni di lavoro nelle fabbriche, sulle strade, in ogni posto di lavoro si deve estendere alla difesa delle condizioni di vita in generale perché lo sfruttamento del capitale sul lavoro salariato non si ferma a fine turno, non si ferma alla fine della giornata lavorativa, ma si estende a tutte le 24 ore di ogni giorno.

Le tragedie che eventi «naturali» provocano sono per il 99% causate dall’insipienza e dall’incuria delle cosiddette «autorità», dallo spreco sistematico di soldi stanziati mentre la tragedia si è appena compiuta per evaporare subito dopo che la vicenda ha lasciato il posto ad altre tragedie, ad altre «emergenze», dalla deviazione di risorse in altri canali, in genere speculativi, dai quali i capitalisti traggono ulteriori profitti. Sospendere la lotta e la dura denuncia nei confronti di coloro che sono sicuramente i responsabili diretti e indiretti di queste tragedie, sottostare al clima di emergenza nel quale i poteri borghesi costringono l’amato popolo elettore, serve solo a riempire il tempo che passa tra una tragedia e la prossima. Sono quelle stesse autorità che non intervengono mai preventivamente, nonostante i molteplici allarmi, a farsi portatrici di iniziative giudiziarie per scoprire le … responsabilità. Sono quelle stesse autorità che si autoassolvono, grazie all’emergenza, facendosi carico dello spostamento negli alberghi degli sfollati o magari della richiesta di bloccare per un po’ di tempo il pagamento dei mutui per le case distrutte o inagibili. Il quadro è sempre lo stesso: allarmi inascoltati, progetti di «messa in sicurezza del territorio a rischio» abbandonati nei cassetti, risorse per la difesa dell’ambiente tagliate drasticamente, catastrofe, emergenza, conta dei morti e dei feriti, ricerca dei dispersi, sistemazione degli sfollati, avviamento di indagini per «omicidi colposi» e ricerca dei «responsabili»… fino alla nuova serie di allarmi inascoltati, progetti di «messa in sicurezza del territorio a rischio» abbandonati, ecc. ecc.

La società capitalistica se, da un lato, vive sulle catastrofi che essa stessa provoca, vive nello stesso tempo sulla propaganda dell’emergenza. Ma la vera emergenza, quella profonda e vitale, è quella che attraversa da generazioni il proletariato, la classe lavoratrice, la classe dal cui sfruttamento i capitalisti estraggono profitti giganteschi, la classe che viene sacrificata sistematicamente in ogni catastrofe, nelle cosiddette «morti bianche» e negli «infortuni sul lavoro» come nell’abbattimento dei salari e nella disoccupazione, nelle tragedie cosiddette «naturali» come nella miseria quotidiana di una vita intossicata e a rischio continuo di lenta ma sicura morte.

 

Proletari!

 

Questa emergenza accomuna tutti i proletari, li mette su un piano di terribile eguaglianza, al di là della professionalità, dell’esperienza, dell’età, del sesso o della nazionalità di ognuno.

E’ da qui che deve partire la lotta per la sopravvivenza, la lotta che travalica i ristretti confini aziendali, del grande padrone o del padroncino, che supera le insidie della concorrenza fra proletari che i capitalisti alimentano ad ogni piè sospinto e non solo con uno strisciante o apertamente dichiarato razzismo, ma con ogni sorta di competizione privilegiando chi si fa sfruttare di più al prezzo più basso. E’ in questa comunanza di condizioni sociali, quelle che emarginano i proletari nelle bidonville, nei quartieri periferici delle città, nelle zone territorialmente a rischio sotto montagne che franano o  sui greti dei torrenti, quelle che costringono all’abusivismo per sopravvivere con un tetto sopra la testa e non per avere la villa al mare; è questa comunanza di condizioni sociali che farà da base ad una ribellione sociale che non si fermerà a chiedere «aiuto» alle autorità locali o nazionali di fronte ad una tragedia appena svoltasi, ma che darà respiro ad un movimento che metterà finalmente in discussione non tanto il sindaco tale o il presidente del consiglio tal altro, ma l’intero sistema di potere della classe dominante. E un movimento del genere non potrà trovare che nel proletariato, nella classe salariata, il punto di forza determinante, in grado di fornire una vera, solida, concreta, alternativa alle «soluzioni» borghesi.

Portatore storico di una prospettiva che prevede l’armonia sociale nella società umana e un rapporto dialetticamente armonico con la natura, il proletariato è l’unica risorsa nel presente della storia futura. Ma perché questo sogno diventi realtà, la situazione deve cambiare completamente: la sua lotta di classe deve trasformare la tragedia della sua vita quotidiana in catastrofe per la vita della classe borghese. Oggi come ieri, e purtroppo come domani ancora, si piangono i morti sotto un mare di fango, le vite spezzate in mare nel tentativo di immigrare in un altro paese per sopravvivere, le vite immolate al dio profitto nelle fabbriche, nelle strade e nelle guerre. Ma queste morti gridano vendetta, e non gridano ad un dio costruito apposta perché la rassegnazione vinca; la rassegnazione, predicata da una chiesa che si rivolge alle «anime» o da uno Stato che si rivolge ai «cittadini», è una delle armi più insidiose utilizzate dal potere borghese che si crede eterno ed invincibile.

La rassegnazione del proletariato allo strapotere della borghesia non durerà in eterno. Il proletariato ritroverà la sua strada per emanciparsi dal capitalismo, dallo sfruttamento capitalistico e dalle conseguenze della sua devastazione sistematica delle vite umane e dell’ambiente. E su quella strada ritroverà il suo partito politico di classe, la guida rivoluzionaria perché il movimento reale delle classi sfruttate trovi finalmente lo sbocco storico necessario e apra la società degli uomini alla vita di specie, senza più classi antagoniste, sfruttamento dell’uomo sull’uomo, forze produttive impiegate esclusivamente per rimpinzare di profitti le tasche di una piccola minoranza di capitalisti.

 

  

Partito comunista internazionale (il comunista)

Supplemento a «il comunista» n. 113

4 ottobre 2009

www.pcint.org

 

Top

Ritorno indice

Ritorno archivi