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 8 marzo di lotta proletaria e comunista!

Deve ridiventare la giornata internazionale della donna proletaria!

 

 

La giornata dell’8 marzo di ogni anno dedicata alla donna affonda le sue origini nella tenace lotta che le operaie tessili della fabbrica Cotton, di New York, portarono avanti fino al sacrificio supremo della propria vita nel 1908.

Le operaie della Cotton erano scese in sciopero, occupando la fabbrica e rivendicando migliori condizioni di lavoro e salari più adeguati al reale costo della vita. Il padrone della fabbrica rispose al loro sciopero chiudendole all’interno della fabbrica. L’8 marzo del 1908 la fabbrica fu incendiata, le operaie non ebbero scampo e in 129 morirono carbonizzate!

L’8 marzo, su proposta di Rosa Luxemburg e Clara Zetkin al congresso dell’Internazionale socialista del 1910, fu scelto come giornata internazionale di lotta delle donne proletarie, come era stato fatto per il 1 maggio per tutti i lavoratori salariati.

Ma anche l’8 marzo, come ogni altra ricorrenza della lotta di classe, ha subito la corruzione opportunista non solo di tipo pacifista e interclassista, ma anche violentemente controrivoluzionario. I partiti riformisti, socialdemocratici, nazionalcomunisti, piegatisi al servizio della coesistenza pacifica tra le classi, piegatisi la servizio del controllo delle masse proletarie attraverso l’inganno democratico a beneficio della conservazione sociale e del dominio borghese capitalistico sulla società, non potevano che stravolgere e violentare ogni sussulto di lotta classista che le proletarie e i proletari esprimono spontaneamente alle condizioni intollerabili del loro sfruttamento. E non potevano che stravolgere e violentare le stesse ricorrenze che nel tempo avevano assunto un grande significato di lotta classista e internazionale – come appunto il primo maggio e l’otto marzo – facendole precipitare nella melma velenosa dell’interclassismo pacifista e impotente. La bandiera rossa della lotta di classe proletaria è stata sempre più nascosta dal drappo tricolore e nazionalista; la bandiera rossa della lotta di classe delle donne proletarie è stata gettata e sostituita dal giallo della mimosa!

I simboli hanno un significato storico: la bandiera rossa è proletaria, è il colore del sangue che milioni di proletari da quando esiste la società borghese hanno versato e versano nella loro indomabile lotta di sopravvivenza e di classe per la propria emancipazione dallo sfruttamento capitalistico. Il giallo, che in marina è stato il colore della bandiera che veniva issata sull’albero della nave quando a bordo vi erano uomini dell’equipaggio con malattie contagiose (colera, peste ecc.), per quanto riguarda le organizzazioni politiche o sindacali è stato il colore che ha caratterizzato la loro posizione socialpatriottica e nazionalista, non certo la loro posizione proletaria e classista. Rosso contro tricolore, dichiariamo in occasione del 1 maggio; rosso contro il giallo, e contro ogni altro colore simbolo dell’interclassismo, della pace sociale,  della genuflessione di fronte alle esigenze dei capitalisti e del loro sistema politico e sociale.

Alla pari di ogni altra ricorrenza, anche l’8 marzo è stato trasformato in un’occasione commerciale! Si organizzano gite, viaggi, feste o, al massimo, qualche dibattito o manifestazione per rivendicare quei diritti che alle donne sono, in alcuni ambiti, previsti da leggi peraltro monche e ambigue, ma negati nei fatti D’altra parte, che cosa ci si può aspettare dalle forze sociali che si sono piegate alle esigenze di conservazione sociale del capitalismo?

Nei paesi cosiddetti civili come il nostro, l’oppressione che la donna subisce nella società non è mai sparita, anzi, ad ogni accenno di crisi economica è la donna a subire immediatamente le più dure conseguenze. E se la donna borghese o piccolo-borghese benestante riesce, in forza delle risorse economiche a sua disposizione, ad ottenere risultati pratici sul piano dei diritti civili, non è così per la stragrande maggioranza delle donne proletarie che, se sono immigrate e, per di più, «clandestine», precipitano ancor più in basso nella scala sociale. I «diritti civili» che oggi nei paesi più progrediti sono riconosciuti ai proletari e alle proletarie sono costati lotte durissime, emigrazioni forzate, sacrifici immensi per generazioni e generazioni, morti e feriti nelle carrette del mare, nelle lotte di strada e negli scioperi per mano di polizie ed eserciti lanciati dalle classi dominanti borghesi a reprimere i movimenti proletari di resistenza alla pressione e alla repressione capitalistica.

Ma, come tutti i «diritti» scritti nelle leggi borghesi, anche i diritti civili «in favore delle donne» hanno vita corta e facilmente diventano carta straccia. Per ottenere il diritto al divorzio, all’aborto, alla parità almeno formale tra i sessi, alla maternità, alla cura delle malattie, per gettare alle ortiche consuetudini ataviche come quelle che, di fatto, assolvevano gli uomini che si macchiavano del «delitto d’onore», ma che ancor oggi proteggono la supremazia maschile entro le mura domestiche dove, per ammissione delle stesse autorità borghesi, avvengono le violenze più brutali contro le donne; per ottenere anche solo un minimo di applicazione di leggi scritte ma spesso non applicate, le donne proletarie sono obbligate a lottare, ad unire le loro forze e lottare. E a questa lotta sono chiamati anche i proletari che spesso, proprio per le condizioni di abbrutimento in cui li getta lo sfruttamento capitalistico con le sue umiliazioni e le sue continue ingiustizie, sono essi stessi vettori di violenza contro le proprie donne.

L’8 marzo deve ridiventare una giornata internazionale di lotta delle donne proletarie, riagganciandosi a gloriose tradizioni di lotta e di abnegazione che hanno segnato la partecipazione delle donne proletarie alle lotte della classe lavoratrice, e alle rivoluzioni. Il vigore e la determinazione che le donne proletarie mettono nell’affrontare ogni tipo di difficoltà della vita, e con i quali difendono la dignità propria e dei propri figli, deve tornare a caratterizzare la lotta unitaria di classe alla quale le donne proletarie danno un apporto essenziale. Ma, come in tutte le questioni inerenti la lotta di classe, gli obiettivi, i mezzi e i metodi di lotta non possono essere quelli proposti e imposti dal riformismo interclassista, dall’opportunismo socialpatriottico o nanzionalcomunista; gli obiettivi di classe, e quindi i mezzi della lotta proletaria e i metodi coi quali esercitarla, non possono essere confusi con la pacificazione sociale, con la sottomissione alle esigenze di flessibilità, di compatibilità economiche  e di produttività che i capitalisti – per bocca degli stessi sindacalisti tricolore – oppongono costantemente alle rivendicazioni operaie.

L’8 marzo deve ridiventare la giornata in cui le donne proletarie native e immigrate, superando le barriere appositamente alzate dai meschini interessi borghesi e piccolo-borghesi fra «comunitari» ed «extracomunitari», fra italiani, francesi, tedeschi, inglesi o spagnoli e africani, asiatici o latinoamericani, stringono una forte alleanza internazionale di classe nell’unica solidarietà che può portare forza e  benefici immediati ai proletariati di ogni paese: la solidarietà di classe, quella solidarietà che esprime il rifiuto e la lotta contro ogni forma di concorrenza fra proletarie, e fra proletari.

L’8 marzo deve ridiventare la giornata internazionale di lotta delle donne proletarie che si oppongono al doppio sfruttamento cui la costringe la società borghese: lo sfruttamento del lavoro salariato e lo sfruttamento domestico, due forme di vera schiavitù che le donne subiscono.  E ancora non basta! Nella società dei «diritti civili» e dell’«eguaglianza» le donne sono sottoposte ad un’ulteriore forma di depravazione: la prostituzione, la mercificazione di corpi costretti alla legge della domanda e dell’offerta di una società in cui la degenerazione dei rapporti umani  è sprofondata come mai nessun’altra società nella storia!

L’emancipazione della donna passa attraverso la lotta delle donne proletarie, perché sono loro che rappresentano l’unica classe sociale della moderna società in grado di distruggere dalle fondamenta le basi economiche della schiavitù salariale e della stessa schiavitù domestica che rende ogni donna un essere «inferiore» nella società della proprietà privata, dell’appropriazione privata della ricchezza sociale prodotta dal lavoro salariato, del capitale, del mercato e della mercificazione non solo dei prodotti che servono per vivere ma della stessa vita! L’emancipazione della donna è parte integrante dell’emancipazione del proletariato, e non  può che passare attraverso la lotta rivoluzionaria delle donne e degli uomini che formano le grandi masse proletarie in ogni paese del mondo.

Donna proletaria, alza il pugno! L’8 marzo o è giornata di lotta in cui si riconquista dignità umana e si riconosce il nemico di classe da combattere nella classe borghese e nei suoi servitori, oppure è la ricorrenza della vittoria dei padroni massacratori dei lavoratori salariati.

 

► Lotta di classe contro gli inganni e l’impotenza del democratismo piccolo-borghese!

► Lotta di classe contro i metodi, mezzi e obiettivi paralizzanti dell’interclassismo sciovinista!

► Lotta di classe contro ogni illusione pacifista e contro ogni «interesse comune» tra sfruttatori e sfruttati!

► Lotta di classe contro la concorrenza fra proletarie e fra proletari!

► Lotta di classe per l’unione dei proletari di tutti i paesi contro il capitalismo e le sue classi borghesi!

► Lotta di classe nella prospettiva della rivoluzione anticapitalistica e del comunismo!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

8 marzo 2010

www.pcint.org

 

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