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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

La rivolta delle masse proletarie e proletarizzate arabe ha raggiunto la Siria, ed è massacro!

 

 

Se il presidente Bashar Al-Assad pensava di stroncare le manifestazioni di protesta usando il bastone e la carota, la repressione poliziesca e l’annuncio di riforme e attendendo che la spinta del movimento di protesta si sgonfiasse, si sbagliava di grosso. Le invettive contro potenze straniere che sobillano e guidano i movimenti di opposizione al regime baathista degli Al-Assad, a differenza di quelle di Gheddafi che incolpava Al Qaeda di organizzare le rivolte in Libia, potrebbero addirittura cogliere nel segno. Non è da oggi che l’imperialismo americano, in combutta con le ambizioni di Israele di predominio nell’area, tenta di trovare dei punti d’appoggio nelle opposizioni in Siria. Ma la situazione che si è creata in tutta la vasta area nordafricana e mediorientale non è stata certo “creata” dalle manovre imperialistiche di Washington, di Londra, di Parigi o da Telaviv. Le contraddizioni che si sono acutizzate in tutta l’area hanno radici sia nella crisi economica che ha fatto precipitare le grandi masse di quei paesi in una tremenda miseria, sia nell’insopportabile oppressione poliziesca e dittatoriale che regimi pluridecennali hanno tenuto in piedi nei rispettivi paesi, soffocando qualsiasi espressione di dissenso  e di lotta, dando così un contributo essenziale - al di là delle particolari e opposte alleanze dell’uno o dell’altro regime - al controllo capitalistico e imperialistico in una delle aree più turbolente del mondo.

Le fazioni borghesi che stanno avvicendandosi in Tunisia, in Egitto, in Libia alle precedenti fazioni legate ai Ben Alì, ai Moubarak e ai Gheddafi, si trovano a raccogliere inevitabilmente i frutti di una rivolta che ha mobilitato le più grandi masse ad una vita sociale e politica fino a qualche mese fa loro totalmente negata. E diciamo inevitabilmente, perché il movimento di protesta e di rivolta delle masse proletarie e proletarizzate di questi paesi non ha avuto alla sua guida né il partito comunista rivoluzionario, né partiti e organizzazioni immediate strutturate secondo i criteri della democrazia borghese. Il partito comunista rivoluzionario non esiste se non in un embrione oggi ininfluente rispetto a qualsiasi situazione di lotta sociale (e noi siamo convinti di rappresentare oggi questo embrione), e, d’altra parte, in assenza della ripresa della lotta di classe di segno proletario, il partito di classe non avrebbe comunque la possibilità di guidare il movimento sociale per modificare i rapporti di forza fra le classi proletarie e le classi borghesi. Per la formazione del partito di classe, comunista e perciò internazionale, sono necessari due elementi fondamentali: la restaurazione della teoria marxista che lo stalinismo e le sue più varie ramificazioni ideologiche ha falsificato e distrutto - restaurazione  teorica che la corrente della Sinistra comunista ha prodotto nel secondo dopoguerra in un lavoro più che trentennale - e la ripresa su vasta scala e organizzata della lotta di classe del proletariato, ripresa che tarda a presentarsi sulla scena storica e che il proletariato, spinto dalle sempre più acute contraddizioni economiche e sociali del capitalismo, non potrà non imboccare anche soltanto per difendersi sul piano delle condizioni elementari di vita e di lavoro.

E sono appunto queste contraddizioni che oggi sono al centro della scena nelle lotte sociali nei paesi arabi. Nessun paese è al riparo dal terremoto che ha scosso i palazzi di Tunisi, del Cairo, di Tripoli e ora anche di Damasco.

Un vecchio detto della diplomazia internazionale ammoniva che, in Medio Oriente, non si fa la guerra senza l’Egitto e la pace senza la Siria. In questo detto vi è una considerazione importante per ogni paese imperialista, e cioè che la Sira, per la posizione geografica che occupa, per la sua storia e per le caratteristiche multiconfessionali e multietniche, ha assunto un ruolo importante negli equilibri del Vicino e Medio Oriente. La Siria non ha abbondanza di petrolio o gas naturale come altri paesi arabi, non ha diamanti, uranio o altro di prezioso e raro per l’economia capitalistica, ma costituisce un punto strategico nel Medio Oriente;  la stabilità politica e sociale della Siria contribuisce al controllo dei sommovimenti sociali, politici e militari del Medio Oriente, mentre la sua instabilità aumenterebbe notevolmente l’instabilità generale di tutta l’area. Le potenze imperialistiche, soprattutto le potenze occidentali con Washington in prima linea, per quanto dichiarino a parole i loro allarmi per l’avvicinamento della Siria con l’Iran, non hanno mai sottovalutato il valore strategico della Siria, e ora che il movimento di protesta, partito da Dera’a,  tocca le maggiori città siriane e la capitale Damasco, rischiando di trasformarsi in un movimento di rivolta simile a quello libico, l’agitazione delle cancellerie imperialistiche del mondo sono in grande allarme. Il monito che il presidente Obama ha lanciato più volte, dal marzo scorso, a Bashar Al-Assad di fermare la repressione dei manifestanti che protestano inermi e pacificamente, difficilmente potrà essere seguito da decisioni simili a quelle prese nei confronti di Gheddafi; già in Libia l’intervento militare si è in qualche modo impantanato in uno stallo che non fa presagire nulla di buono per la popolazione civile che continuerà a soffrire le conseguenze più dolorose della guerra e ad essere massacrata o dalle truppe di Gheddafi o dal “fuoco amico”. Perciò, anche alle potenze imperialistiche fa comodo che la borghesia baahtista al potere a Damasco svolga il suo sporco lavoro di repressione degli oppositori e delle masse che si stanno ribellando, attendendo che il silenzio mortale dei cimiteri chiuda la stagione delle rivolte anche in Siria. Anzi, in un certo senso, fa ancora più comodo alle potenze imperialistiche, e all’imperialismo americano soprattutto, visto che finanzia le opposizioni siriane a suon di milioni di dollari, che il lavoro sporco sia svolto da un regime inviso al suo stesso popolo: la “democrazia occidentale”, in questo modo,ne guadagnerebbe in nobiltà e credibilità...

In Siria l’ordine costituito, rappresentato dai 45 anni di regime dittatoriale degli Al-Assad, sarà difeso con ferocia, questo è sicuro. Il massacro dei civili è lo strumento che i regimi dittatoriali hanno sempre usato e continuano ad usare per difendere il proprio privilegio che, d’altra parte, è sempre stato utile anche all’imperialismo “amico” e “nemico” in funzione del controllo di masse che hanno sempre dato segni di ribellione e che soltanto la politica del tallone di ferro ha potuto finora tenere sottomesse e invisibili.

Oggi non è il proletariato all’avanguardia del movimento sociale in Siria; sembra, anzi, che esso sia relativamente ai margini delle proteste in cui, invece, sono protagonisti i piccoli e medi borghesi delle città che sono in grado di attirare nelle loro rivendicazioni il sostegno delle masse contadine. Ciò non toglie che all’interno delle abituali rivendicazioni di libertà democratiche, di lotta contro i privilegi della casta al potere e contro la corruzione, di annullamento delle leggi di emergenza, dei tribunali speciali e di liberazione di tutti i prigionieri politici, vi siano anche richieste di aumenti dei salari e l’istituzione del salario minimo per i disoccupati, di abbassamento delle tasse e libertà di organizzazione e di manifestazione, che sono certamente rivendicazioni che interessano più direttamente i proletari.

Alla violenta repressione delle manifestazioni del 15 marzo è seguita l’altrettanto e ancor più violenta repressione di venerdì 22 aprile in cui si contano non meno di 70 morti e centinaia di feriti e di arrestati. La grande parola d’ordine delle manifestazioni in cui scendono a protestare insieme arabi e curdi, islamici e cristiani, e per la quale si muore nelle strade di Dera’a, di Homs, di Damasco o di Aleppo, è: cambiamento democratico! Come in Tunisia e in Egitto, in Libia e in ogni altro paese arabo, la spontaneità generosa e coraggiosa delle grandi masse proletarie e proletarizzate imbocca inesorabilmente la strada delle grandi illusioni che la democrazia borghese ancora sa diffondere. Ma il “cambiamento democratico” in Tunisia e in Egitto sta già dando prova del fatto che sostanzialmente per le grandi masse non cambierà nulla perché, se osano insistere nel pretendere che il cambiamento politico vada molto più a fondo di quanto non intendano andare i nuovi governanti, sono oggetto della violenza poliziesca come avveniva sotto i regimi dittatoriali: ci sarà un po’ meno ferocia, meno “mano libera” da parte della polizia, forse un po’ meno di corruzione, ma sostanzialmente i proletari e i contadini poveri continueranno ad essere massacrati di fatica e di lavoro quando non dovranno vedersela direttamente con la miseria, la fame, la disoccupazione.

La via maestra per uscire dalle spire del soffocante sistema economico e politico borghese non sta nelle “libere elezioni”, in un “nuovo parlamento”, in un “sistema giudiziario indipendente”, né tantomeno in un nazionalismo popolare in cui gli interessi di classe in realtà antagonistici vengono confusi in una brodaglia utile soltanto per le classi borghesi dominanti, ma nel riconoscere la contrapposizione inconciliabile tra interessi delle classi lavoratrici e interessi delle classi possidenti, proprietarie di terra, di mezzi di produzione industriali, di miniere e, soprattutto, della ricchezza sociale prodotta dal lavoro salariato.

La via maestra è quella della lotta di classe contro ogni oppressione, salariale, nazionale, confessionale, razziale, sessuale o poliziesca che sia. La via maestra passa attraverso l’organizzazione della lotta operaia sul terreno della difesa economica immediata, attraverso la solidarietà di classe proletaria, attraverso la formazione del partito politico della classe del proletariato che non può essere se non il partito comunista rivoluzionario.

Altre vie, democratiche populiste o confessionali, portano tutte a ribadire il dominio della classe borghese e del capitale.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

22 Aprile 2011

www.pcint.org

 

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