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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

La classe del proletariato, oggi ancora incapace di porsi sul terreno della lotta di classe, mentre subisce direttamente le conseguenze del dispotismo economico e sociale esercitato dalla borghesia, dovrà indirizzare la sua azione di lotta verso la comunanza di interessi di classe, coi metodi e i mezzi della lotta di classe e non con i metodi della violenza individuale

 

 

Il 7 maggio scorso l’amministratore delegato di Ansaldo nucleare, a Genova, è stato gambizzato da un “commando” che solo qualche giorno dopo si è saputo di quale organizzazione faceva parte e con quale motivazione aveva svolto la sua azione.

All’inizio, le forze di sicurezza e di intelligence, e i media, hanno tenuto aperte diverse ipotesi: la pista terroristica legata in qualche modo alle vecchie BR, la pista degli anarchici insurrezionalisti già autori in tempi recenti di invii di “lettere esplosive” e di “pacchi bomba” (in verità incapaci di comportare danni alle persone) e la posta cosiddetta “commerciale”, ossia legata agli affari economici in cui l’Ansaldo nucleare è coinvolta.

Il documento di rivendicazione inviato lo stesso giorno dell’attentato e ricevuto dal Corriere della sera l’11 maggio, svela che gli autori fanno parte della “Federazione anarchica informale” e del “Fronte rivoluzionario internazionale”, che i media ci dicono essere formazioni anarchiche collegate agli anarchici greci della cosiddetta “Cospirazione delle Cellule di Fuoco”, 8 membri della quale sono in carcere dal marzo 2011 e stanno facendo lo sciopero della fame contro il regime carcerario. Da quel che si legge nei giornali, in questo documento, ritenuto attendibile dagli inquirenti, il nucleo anarchico che si è dato il nome di Olga Ikonomidou, anarchica greca del CCF, ha voluto sottolineare che l’attentato è stato portato contro un rappresentante della Finmeccanica “piovra assassina”, evidentemente scelto come simbolo di un potere che va attaccato cospirando e con azioni che possono andare “dal lancio di una molotov all’assassinio, senza alcuna gerarchia d’importanza, ogni gruppo o individuo deciderà come meglio vorrà” (Corriere della sera, 12 maggio 2012). A questa affermazione se ne aggiungono altre in cui questo gruppo cerca di spiegare perché è passato a colpire sparando: “impugnando una stupida pistola abbiamo solo fatto un passo in più per uscire dall’alienazione del non è ancora il momento” (il manifesto, 12 maggio 2012) e, rivoltosi probabilmente all’interno dei gruppi anarchici, invitando ad “abbattere il muro dell’oppressione quotidiana, dell’impotenza e della rassegnazione che ci hanno visti fino ad ora come pedine di un anarchismo insurrezionalista di facciata che con la sua mancanza di coraggio legittima il potere”.

Non vi sono rivendicazioni di una società diversa, non si rivolge ai movimenti sociali esistenti, come gli indignati o il movimento operaio per raccoglierne almeno in parte un consenso; piuttosto si rivolge al loro stesso ambiente: “A voi anarchici che ci accusate di essere velleitari, avventuristi, suicidi, provocatori, martiri, diciamo che con le vostre lotte ‘sociali’, con il vostro cittadinismo, lavorate al rafforzamento della democrazia”, e ancora: “Tutta la nostra tensione rivoluzionaria si sfoga in articoli infuocati per i nostri giornali e siti, in testi infuocati per le nostre canzoni e qualche sporadico scontro di piazza, tanto per mettere a tacere la propria coscienza”; insomma, stanchi di un routine inoperante, “senza aver mai impugnato un’arma o colpito un oppressore” (Corriere della sera, cit.), han deciso di fare un passo in più che chiamano “salto di qualità”.

In tutto ciò noi leggiamo un romanticismo di facciata che, basandosi sul disagio personale di elementi che da questa società non hanno avuto soddisfazioni personali, combattono la propria frustrazione individuale con azioni che realizzino l’atto violento contro un ben individuato “oppressore”. Il loro referente sociale non è il movimento operaio che si trova in difficoltà ancor maggiore oggi, in tempi di acuta crisi economica, a causa della pluridecennale politica e pratica riformiste e collaborazioniste, al quale indicare una strada per uscire dalla situazione di impotenza in cui è precipitato. In questo sono enormemente distanti dall’attitudine politica che avevano le Br e le formazioni lottarmatiste degli anni Settanta del secolo scorso; esse credevano di poter influenzare con i loro esempi il proletariato affinché quest’ultimo impedisse al Pci di compromettersi con la Dc in una politica di solidarietà nazionale e di alleanza governativa. Questi anarchici, invece, che hanno deciso di “colpire un oppressore” e che descrivono questa azione, e la sua preparazione, come un piacere fisico nobilitato da “un’idea di giustizia” e, contemporaneamente, dal “rischio di una scelta”, non sono che un’espressione della degenerante ideologia individualista propria della borghesia.

Il proletariato, classe storicamente antagonista alle classi borghesi dominanti in ogni paese, basa la sua forza sociale sul rapporto di produzione che lo costringe ad essere forza lavoro salariata al servizio del capitale. Il suo movimento sociale e politico non risponde a impressioni o sensazioni individuali, né è la somma di scelte individuali: è, al contrario, espressione di una forza sociale, impersonale e anonima, che agisce sulla spinta di bisogni materiali di sopravvivenza. Agisce come classe per il capitale nella misura in cui è sottomesso con la forza e con l’influenza ideologica da parte della borghesia capitalistica; agisce come classe per sé nella misura in cui la sua forza sociale viene spostata sul terreno della lotta di classe, di un antagonismo che non è individuale, né tantomeno romantico, ma sociale in cui i proletari, per le condizioni sociali in cui sono costretti a vivere, si riconoscono come forza storica con propri interessi, proprie finalità, proprie organizzazioni, propri metodi di lotta di difesa e di offesa.

La borghesia sa molto bene che, finché il proletariato non sposta la sua azione di difesa economica e sociale sul terreno dell’aperta lotta di classe, ha un enorme vantaggio nei suoi confronti, perché lo divide, lo frammenta, lo polverizza in tante unità individuali che vengono schiacciate con estrema facilità. La borghesia sa molto bene che la crisi economica e il disagio diffuso a causa di questa fra le masse proletarie provocano inevitabilmente reazioni violente: l’importante, per la borghesia, è che le reazioni violente non assumano le caratteristiche della lotta di classe, di una lotta che organizza i proletari sulla base di comuni interessi di classe da difendere con mezzi e metodi di lotta inconciliabili con gli interessi di conservazione borghese.

La violenza economica e sociale è parte integrante della società borghese; non esiste pace possibile sotto il capitalismo, né sul piano della concorrenza capitalistica sui mercati né sul piano del rapporto tra capitalisti e proletari. Ed è lo Stato borghese a concentrare il massimo di violenza del potere borghese con cui la classe dominante esercita il suo potere sia contro il proletariato sia contro qualsiasi concorrente straniero. La necessità da parte borghese di esercitare il potere anche con la violenza sul proletariato deriva dal fatto che il proletariato deve essere mantenuto nella condizione permanente di schiavo salariato, cosa che non sarebbe possibile per la sola via pacifica. E’ dunque un necessità storica della borghesia quella di esercitare la propria violenza di classe sul proletariato per costringerlo a rimanere sottomesso alla legge del capitale e, quindi, all’estorsione del plusvalore dal suo lavoro salariato. Ma contro questa violenza di classe, il proletariato ha dimostrato storicamente di poter rispondere con altrettanta violenza di classe, nel senso rivoluzionario del termine, che in dati svolti storici, in presenza di condizioni favorevoli alla lotta di classe portata fino in fondo, ossia fino alla rivoluzione e alla conquista del potere politico, può anche contenere azioni di violenza individuale come in ogni rivoluzione è avvenuto. Ma il rivolgimento sociale non avverrà mai attraverso una sola serie di violenze individuali che, al contrario, sono perfettamente sopportate nella società borghese funzionando come valvole di sfogo di una pressione sociale che durante i periodi di crisi tende ad aumentare e che, oltre un certo limite, deve essere “sfiatata”.

Episodi come la gambizzazione del dirigente dell’Ansaldo nucleare sono inevitabilmente strumentalizzati da tutte le forze democratiche e pacifiste che gridano al pericolo di un ritorno del “terrorismo rosso” e che trovano un’ennesima occasione per rafforzare la collaborazione tra le classi e il loro inevitabile asservimento alla difesa dell’ordine borghese costituito.

Noi comunisti rivoluzionari, da sempre estremamente critici e contrari nei confronti dell’individualismo anarchico, sia pacifico che violento, non ci affiancheremo mai alla condanna della violenza in quanto tale che le forze democratiche chiedono ad ogni piè sospinto.Oggi il proletariato non è nelle condizioni sociali, politiche e organizzative per difendersi in modo adeguato dalle violenze continue che subisce dai padroni e dalle forze dell’ordine che ne difendono i privilegi e il potere; ma una situazione di impotenza come questa non dura in eterno. La storia ha dimostrato abbondantemente che la borghesia democratica non è meno violenta della borghesia fascista; anzi, di guerre, di stragi e di violenze di ogni tipo è zeppa la storia di tutte le democrazie del mondo, a dimostrazione che sono decisivi i rapporti di forza tra gli Stati e tra le classi e non i “confronti democratici” e i “negoziati tra le parti contrastanti”.

Noi continuiamo a lavorare per la preparazione rivoluzionaria sebbene oggi all’orizzonte visibile non vi sia non diciamo la rivoluzione proletaria, ma nemmeno la ripresa ampia e duratura della lotta di classe del proletariato. Verrà il momento in cui il proletariato risponderà alla violenza della classe borghese con la sua violenza di classe, come due eserciti che combattono sapendo che la posta in gioco è, per la borghesia, la perdita per sempre dei propri privilegi di classe e del potere con cui li difende, e, per il proletariato, la conquista rivoluzionaria del potere politico e l’avvio alla trasformazione sociale dalla società del capitale e del lavoro salariato alla società di specie.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

13 maggio 2012

www.pcint.org

 

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