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Il riscatto del sistema bancario in Spagna

Le borghesie spagnola e internazionale promettono ai proletari sfruttamento crescente, più sofferenze e miseria aumentata allo scopo di sanare l’economia capitalistica.

 

 

Il ministro dell’economia dell’attuale governo, Luis de Guindos, ha affermato, cinicamente, che l’intervento dell’Eurogruppo nel settore finanziario spagnolo non è un riscatto, né un salvataggio, ma un prestito a condizioni vantaggiose del quale l’insieme dell’economia spagnola potrà beneficiare, prestito che le principali economie europee concedono generosamente ad un socio in difficoltà. Ovviamente l’annuncio di queste condizioni “vantaggiose” del riscatto viene dato lo stesso giorno nel quale la nazionale spagnola gioca la sua prima partita negli Europei di calcio 2012.

Va detto, in primo luogo, che le condizioni dell’iniezione di denaro che i paesi dell’Eurogruppo hanno posto sono migliori di quelle che avrebbe concesso il settore finanziario privato (3% di interesse secondo alcune fonti, mentre il Tesoro spagnolo paga per i buoni a dieci anni un 6%), ma la realtà è che, insieme al prestito, che viene chiamato ironicamente “linea di credito”, vi è la richiesta  di una serie di misure relative tanto al sistema tributario (aumento delle imposte attraverso l’ampliamento della base impositiva delle tasse dirette e l’incremento di quella delle tasse indirette), quanto al mercato del lavoro (nuove riforme del lavoro che contribuiranno a limitare ancor di più i piccoli benefici in merito alla contrattazione, ai licenziamenti ecc.), e, in generale, alle “garanzie” sociali che ancora esistono (pensioni, sussidi per la disoccupazione ecc.). Inoltre, i ministri delle finanze dei paesi implicati nel riscatto hanno subito avvertito che presteranno molta attenzione alle cifre macroeconomiche della Spagna, esattamente come si sta facendo per la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo che, praticamente, più di altri paesi, hanno ceduto una parte della propria “sovranità nazionale” in materia economica ai paesi intervenienti. In Spagna, come in ogni altro paese, le correnti reazionarie alzano la bandiera della “sovranità nazionale” contro i “diktat” della Commissione Europea, o della Germania, fomentando un nazionalismo economico che mira a imbrigliare il proletariato nella difesa dell’interesse nazionale, politica antiproletaria quanto quella vestita “di sinistra” che incita alla collaborazione di classe  chiedendo che per l’interesse nazionale non siano solo i proletari a dover fare i sacrifici...

In secondo luogo, nella stessa misura in cui il riscatto non sarà gratuito, i paesi che lo concedono, che sono sia i principali imperialismi europei coinvolti direttamente nel credito, sia le potenze con a capo gli USA, e il FMI come catalizzatore, che hanno partecipato a formulare le condizioni del riscatto, non corrono disinteressatamante a soccorrere la borghesia spagnola. Nel mondo capitalista la concorrenza, sia fra padroni singoli che tra stati che rappresentano la borghesia nazionale, è il demiurgo che determina le condizioni di esistenza di ognuno di loro. Se la borghesia tedesca o francese, o anche quella statunitense, intervengono nell’economia spagnola è perché il livello di contraddizioni raggiunto dal capitalismo supersviluppato, che domina il pianeta nel quale non esistono unità economiche isolate dal resto, implica che la sorte di ognuna di loro è legata alla sorte di tutte le altre; una qualsiasi impresa americana o tedesca può possedere attività finanziarie nella forma di buoni o certificati di deposito del tesoro spagnolo. La relativa importanza del settore finanziario spagnolo, che domina non solo in Spagna ma anche in America Latina, implica che il fallimento del sistema bancario ed economico in questo paese avrebbe conseguenze in qualsiasi altro paese, innanzitutto nell’alleanza interimperialista che è l’Unione Europea, e quindi nei confronti dell’euro; implica che il panico appesantirebbe significativamente il ciclo del credito (anche nei paesi europei non ancora particolarmente colpiti oggi dalla crisi economica capitalistica) e non solo a livello europeo, ma mondiale, aggravando ancor di più la crisi recessiva che sta colpendo un paese dopo l’altro. Il salvataggio del sistema bancario spagnolo, anche fosse limitato nel tempo, dimostra la gravità della crisi economica internazionale.

Il riscatto del sistema bancario spagnolo, per la borghesia spagnola è, senza dubbio, un regalo avvelenato, e non può fare altro che accettarlo perché la pressione che esercitano su di essa le borghesie concorrenti più dirette non lascia alternative. Questo riscatto altro non è che un ulteriore gradino salito nella scala della crisi abbattutasi nel paese da quattro anni. Il capitale finanziario, nell’epoca dell’imperialismo, è il risultato della connessione del capitale industriale col capitale bancario, uniti per affrontare il livello di complessità generata dalla concorrenza capitalistica. Lo sviluppo del settore finanziario in Spagna, passato da una situazione molto precaria all’inizio degli anni ‘90  all’acquisizione di una notevole importanza a livello mondiale nel giro di vent’anni, si deve al grande sviluppo produttivo vissuto dal paese almeno dal 1997, guidato dalla smisurata espansione del settore delle costruzioni immobiliari, che giunse a movimentare, nel suo momento di maggior crescita, crediti bancari per una quantità equivalente al 102,6% del PIL. Non esiste sviluppo finanziario indipendente dalla produzione e la stessa caduta del settore finanziario nell’ultimo anno, culminato nella dichiarazione dell’intervento esterno, è il risultato della caduta della produzione spagnola di quasi il 5% negli ultimi quattro anni. Per lo stesso motivo, né il riscatto del sistema bancario, né un’intervento più duro e profondo, né misure che si limitano, di fatto, a trasferire risorse per tappare le voragini esistenti nell’economia  nazionale, potranno avere un effetto positivo se l’economia reale non riprenderà a crescere. Di fatto, il FMI prevede una diminuzione del PIL del 4,1% nel 2012 e dell’1,6% nel 2013, ossia una caduta in soli due anni della stessa entità dell’ultimo quinquennio.

Come mostrato dall’esempio greco alle borghesie di tutti i paesi, ogni sforzo finanziario fatto per tamponare le situazioni più critiche in alcuni paesi non hanno alcuna possibilità di ottenere questo risultato se la produzione non torna a crescere a livello generale; e questo può succedere alla condizione che il tasso di profitto medio del capitale, che la concorrenza fra capitalisti ha fatto cadere verticalmente (è la causa prima e più rilevante della crisi capitalistica mondiale), torni a livelli accettabili. Per ottenerlo, il programma della borghesia è chiaro e nitido: aumentare esponenzialmente lo sfruttamento dei proletari in modo tale che il plusvalore estorto nel processo produttivo risulti sufficiente perché i profitti capitalisti tornino nelle quote generate dalla produzione finalmente redditizia. Questo è il senso delle riforme di struttura, dei tagli e delle leggi “d’emergenza” che oggi fioriscono in tutti i paesi e che stanno già schiacciando i proletari greci e portoghesi in condizioni di esistenza simili a quelle di cui soffrono i proletari dei paesi meno sviluppati.

Per il proletariato la resistenza di fronte a queste misure, che non sono terminate e che aumenteranno la criticità della situazione, non è stata possibile ancora, almeno in maniera efficace. Imbrigliato dalle forze della collaborazione fra le classi, della difesa della nazione come interesse comune con la borghesia, della difesa, in ultima istanza, della medesima concorrenza borghese – sia nella versione della concorrenza fra nazioni che in quella della concorrenza fra proletari – il proletariato non ha nessuna possibilità di manifestare e di imporre i suoi propri interessi di classe contro il continuo deterioramento delle sue condizioni di esistenza. L’opportunismo politico e sindacale piega il proletariato alle necessità della borghesia limitando le sue proteste al terreno democratico sul quale sono assenti i mezzi e i metodi della lotta di classe; in questo modo gli scioperi, convocati con largo preavviso e garantendo i servizi minimi, sono del tutto inefficaci, le manifestazioni si riducono ad atti simbolici che non colpiscono gli interessi della classe borghese. La vera lotta proletaria, dunque, è ancora completamente assente.

La crisi capitalista non ha soluzione pacifica in nessun paese! La guerra di concorrenza che caratterizza i rapporti economici, finanziari, politici e diplomatici tra aziende, trusts e Stati, ormai a livello mondiale, non scompare con la crisi ma si acutizza spingendo i centri capitalistici più forti a schiacciare i più deboli. La guerra commercaile e finanziaria che permea la vita stessa del capitalismo sotto ogni cielo non può che sviluppare i fattori di contrasto che sboccano, prima o poi, nella guerra guerreggiata. La soluzione capitalista della crisi economica può solo preparare le condizioni per crisi sempre più gravi, fino alla crisi di guerra fra Stati, guerra che può essere fermata soltanto dalla rivoluzione proletaria. Alla guerra fra Stati si deve opporre la guerra fra le classi!

Il proletariato deve uscire dalla propria crisi, deve rompere la situazione di impotenza nella quale sopravvive e organizzare la sua lotta di classe a brande scala. Solo con la ripresa della lotta di classe, non solo per obiettivi immediati più desiderati che si pongono oggi, ma anche per la costituzione del suo partito politico di classe, il partito comunista internazionale e internazionalista, organo della rivoluzione proletaria che dovrà sradicare per sempre dalla faccia della terra la crisi, la miseria, lo sfruttamento... per sostituire la società capitalistica con la società di specie di domani.

 

La crisi capitalistica non ha soluzione pacifica! Il proletariato deve uscire dalla sua crisi politico e organizzativa e riprendere a lottare sul terreno dell’antagonismo di classe!

Per la ripresa della lotta di classe proletaria! Per la rivoluzione proletaria e comunista!

Per la ricostituzione del Partito Comunista Mondiale!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

11 giugno 2012

www.pcint.org

 

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