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Ancora i minatori in prima linea: Lottiamo ad oltranza, ormai siamo in guerra!

 

 

Lottiamo ad oltranza. Ormai siamo in guerra!”, così il Tg3, il 27 agosto scorso, ha sintetizzato la decisione dei minatori della Carbosulcis, presa unanimemente in assemblea, di scendere in lotta in difesa del proprio posto di lavoro.

Non si è ancora spenta l’eco della lotta dei minatori sudafricani e la sanguinosa repressione attuata dalla polizia democratica di un Sudafrica non più schiacciato dall’apartheid ma schiacciato come ogni paese dal profitto capitalistico, che i minatori sardi battono la loro ora. Una trentina dei 270 minatori del Sulcis, in Sardegna, domenica sera 26 agosto, si sono calati con le gabbie in miniera a 373 m di profondità, occupando la miniera di carbone nel tentativo di ottenere una risposta positiva alla loro situazione. “Rimarremo quaggiù settimane, mesi: non si illudano, non molleremo. Nel 1995 siamo stati in galleria cento giorni. Di promesse ne abbiamo sentite fin troppe. Risaliremo quando ci avranno dato risposte”, scrive il “Corriere della Sera” del 28 agosto, citando il portavoce che, in superficie, coordina l’occupazione; “siamo pronti a tutto, anche a fare i matti” dichiara il portavoce, ed altri che scendono nei pozzi, riporta sempre il “Corriere”, lanciano, ai cronisti accorsi sul posto, alcune parole come rasoiate: “abbiamo esplosivo e detonatori. Non ci costringano a usarli”. Si tratta di 300 chili di esplosivo che i minatori “custodiscono” nei pozzi...

La miniera di Nuraxi Figus non è una miniera d’altri tempi, ma è l’ultima nella quale in Italia si estrae ancora carbone: “è un impianto tecnologico e sicuro. Non si lavora da disperati come in Cina e in Africa”, dichiarano i minatori; ma le facce che salgono in superficie sono sempre annerite dal carbone ed è per questo che vengono chiamati: musi neri. La miniera è della Carbosulcis che nel tempo è passata dall’Enel all’Eni e a varie società a partecipazione statale; oggi è proprietà della Regione Sardegna che però ha deciso di chiudere alla fine del 2012, indicendo un bando di privatizzazione perché è saltato il progetto che vedeva la fornitura del carbone alla vicina centrale Enel, e alle industrie Alcoa, Eurallumina e Glencore ora in crisi a causa del costo eccessivo dell’energia; dato che si possono utilizzare dei fondi europei solo per una centrale, l’Enel ha scelto di riconvertire ad olio combustibile la centrale di Porto Tolle (vicino a Rovigo), evidentemente più redditizia, e non quella di Nuraxi Figus.

La chiusura della miniera e la crisi delle industrie in Sardegna aprono drammaticamente una prospettiva di disoccupazione per i proletari dell’Alcoa, dell’Eurallumina, della Glencore e della Vinyls di Portovesme, e della Carbosulcis, espellendo così dalla produzione i suoi 463 dipendenti di cui 270 sono appunto minatori. Il Sulcis è una polveriera, e il timore che la lotta proletaria prenda una piega molto più dura impensierisce parecchio tutte le autorità dell’isola che già oggi si trovano di fronte a oltre 5000 cassintegrati e ad un aumento notevole della disoccupazione solo negli ultimi mesi.

I sindacati ufficiali, che sono ancora in grado di tenere a freno la rabbia dei minatori prospettando progetti di “riqualificazione” della miniera “attraverso il bando per la privatizzazione e la realizzazione del circuito miniera, carbone, centrale e cattura e stoccaggio della co2 in sottosuolo” (l’Unità, 28/8/12), sanno che la situazione potrebbe sfuggir loro di mano e, per bocca del segretario Cgil isolano e della stessa Camusso, avvertono: “La Sardegna è una polveriera con la miccia già innescata. Tra poco il sindacato non potrà più governare le tensioni sociali, perché manca la volontà politica di pensare e realizzare dei progetti che diano delle risposte vere, al 14 per cento dei sardi senza lavoro e al 40 per cento dei giovani disoccupati” (l’Unità, ibidem). Così, dopo aver dichiarato bellamente che il loro compito principale è quello di “governare le tensioni sociali”, e non quello di organizzare la difesa degli elementari e vitali interessi proletari come il salario, sono pronti a passar la mano, se le “risposte vere” non arriveranno, alle forze che sono predisposte a governare le tensioni sociali con attrezzature antisommossa, le forze dell’ordine!

I minatori del Sulcis e i proletari dell’Alcoa, della Vinyls, dell’Eurallumina, della Glencore e delle numerose piccole industrie dell’indotto hanno in realtà un interesse comune – il salario, che i capitalisti diano o no un posto di lavoro alternativo – e in comune, affratellati e organizzati in un’unica lotta riuscirebbero a mettere in campo una vera forza in opposizione all’attacco che stanno subendo da parte dei capitalisti nostrani e stranieri che altro interesse non hanno se non quello di rendere redditizia ogni attività industriale e che, se i profitti attesi non arrivano, sono spinti ad espellere dai posti di lavoro la quantità di proletari considerati in esubero o a chiudere le fabbriche e trasferire le lavorazioni altrove dove i profitti appaiono più facili o probabili. Non ci vogliono strateghi superdotati per capire che l’unione fa la forza!: la lotta di classe proletaria ha la sua base sull’unità di classe, sulla solidarietà di classe, unità e solidarietà che trovano il proprio cemento nello stesso interesse di classe: assicurarsi il salario, anche quando i capitalisti chiudono le loro fabbriche. Ma questo obiettivo lo si può raggiungere, per tutti gli operai coinvolti, solo con la lotta ad oltranza perché – e questo i minatori del Sulcis l’hanno capito bene e non hanno paura di sostenerlo – con i capitalisti siamo in guerra! I capitalisti non regalano nulla, e nemmeno i loro governanti: per il loro interesse si prendono la vita di tutti i proletari, in termini di tempo di lavoro come in termini di vita fisica; per loro il profitto capitalistico vale più di qualsiasi vita proletaria.

Perché mai i proletari dovrebbero accettare di essere sfruttati, depredati della loro vita, schiacciati dalla fatica di lavoro quando il lavoro c’è e dalla miseria e dalla fame quando dal lavoro vengono gettati via, senza reagire? Le “tensioni sociali”, che i sindacati collaborazionisti e i partiti cosiddetti “operai”, ma in realtà venduti alla borghesia e ai suoi interessi, sono pronti ad arginare con la loro opera di pompieri e di imbroglioni, sono tensioni prodotte dallo stesso capitalismo, dall’antagonismo di interessi sociali che contrappone la classe dei capitalisti alla classe dei proletari; le tensioni sociali sono la dimostrazione che questa società, coi suoi governi, con le sue leggi, con le sue banche, le sue polizie, è una società  a misura di capitalista, a misura dei borghesi! Perché i proletari si riconoscano in una società a misura d’uomo, dove al centro degli interessi sociali ci sia la soddisfazione dei bisogni di vita e non la soddisfazione dei bisogni del mercato e del profitto capitalistico, essi devono lottare per la propria emancipazione dalla schiavitù salariale!

Questa lotta comincia dall’organizzazione della difesa esclusiva dei propri interessi immediati, come stanno facendo i minatori del Sulcis, come fanno i minatori della Lonmin in Sudafrica, come hanno fatto i minatori delle Asturie qualche mese fa, come fanno tutti i proletari che finalmente cominciano a prendere nelle proprie mani l’iniziativa di lotta scavalcando le barriere frapposte dalle forze del collaborazionismo interclassista. Sulla propria strada i proletari, però, non trovano soltanto i capitalisti, le loro leggi e le loro polizie; essi trovano le forze dell’opportunismo sindacale e politico, le forze che si mimetizzano da “proletari” ma che in realtà lavorano per conto dei capitalisti, le forze che invece di organizzare la lotta di difesa degli interessi proletari, e solo proletari, cercano in tutti i modi di convincere i proletari che la migliore soluzione sia sempre quella di “concertare” con i capitalisti e con le cosiddette “autorità pubbliche” un accordo che tenga conto delle esigenze del profitto e del mercato. Ma profitto e mercato sono e saranno sempre contro gli interessi proletari e tutti coloro che si mettono a “concordare” gli interessi proletari con gli interessi delle aziende sono in realtà venduti al capitale e faranno di tutto per spegnere lo spirito di lotta o per spezzare la lotta, prima o poi, dimostrando così ai loro padroni di essere servi affidabili e utili alla bisogna!

 

- Viva la lotta dei minatori del Sulcis!

- Viva l’unità e la solidarietà di classe proletaria!

- Per la salvaguardia del posto di lavoro, per condizioni di lavoro in sicurezza e contro ogni tipo di nocività e, soprattutto, per il salario da lavoro o di disoccupazione!

- Per la riorganizzazione classista della lotta proletaria, a difesa esclusiva degli interessi immediati operai: la vita degli operai non si baratta con il posto di lavoro!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

29 agosto 2012

www.pcint.org

 

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