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Abbasso l’intervento militare francese nel Mali!

Abbasso l’imperialismo francese!

 

 

Dopo l’11 settembre, il governo francese ha avviato un intervento militare nel Mali col pretesto di “salvare” questo paese contro una pretesa minaccia terrorista imminente e in “risposta” ad una richiesta d’aiuto del “presidente ad interim” di questo paese.

Da diversi mesi l’attuale governo di sinistra, in continuità col precedente governo Sarkozy, moltiplicava le manovre diplomatiche e le pressioni sul governo maliano, mentre preparava materialmente le proprie forze militari in vista di un attacco militare contro gli insorti del Nord del Mali.

Non volendo apparire in primo piano e per evitare il rischio di un isolamento sul terreno, il governo Hollande ha cercato di organizzare una forza militare africana che avrebbe diretto e alla quale avrebbe assicurato la logistica, con lo scopo di supplire alla debolezza dell’esercito maliano.

Il governo francese ha fatto ogni pressione per ottenere dal presidente del Mali “ad interim” Dioncounda Traoré (che, ferito da manifestanti e curato a Parigi, non aveva fretta di rientrare a Bamako) una richiesta d’aiuto ufficiale; d’altra parte, questi non poteva resistere alle pressioni francesi visto che era l’obiettivo di manifestazioni quotidiane che chiedevano la sua partenza. Dall’inizio dell’intervento militare francese e decretato lo stato d’emergenza, le manifestazioni venivano vietate mentre i militari, a Bamako, si abbandonavano ad estorsioni e ad operazioni notturne di intimidazione contro gli abitanti provenienti dal Nord del paese.

Sul piano diplomatico, un intervento militare francese incontrava l’ostilità più o meno confessata dell’Algeria e degli Stati Uniti, così come di altri paesi europei. L’inviato speciale dell’ONU, l’anziano presidente del consiglio italiano Prodi (l’Italia ha interessi anche nel Mali) un anno fa si diceva partigiano dei negoziati ed escludeva ogni azione militare. Lo stesso governo algerino si era opposto ad operazioni militari, temendo di vedere il proprio territorio sconvolto da scontri militari essendo la frontiera desertica tra il Mali e l’Algeria difficilmente controllabile. Gli americani, che hanno formato una parte delle forze armate maliane ma anche dei Tuareg che si sono uniti ai ribelli (1), avevano pubblicamente dichiarato che una soluzione politica era augurabile e che il piano francese di intervento militare non avrebbe portato a nulla. In realtà essi non avevano alcuna intenzione di correre in aiuto di un regime pro-francese a Bamako: le dichiarazioni di unanimità e di solidarietà nella “lotta contro il terrorismo” – che va intesa come lotta contro tutto ciò che minaccia di perturbare l’ordine capitalista mondiale – non può nascondere le sordide rivalità inter-imperialiste!

Gli avvoltoi imperialisti francesi difendono, da decenni, il loro “cortile di casa” africano (secondo l’espressione del vecchio presidente socialista Mitterrand con cui designava le vecchie colonie divenute indipendenti ma, in realtà, rimaste sotto il dominio della Francia) sia con guerre vere e proprie che con interventi militari, perché là si trova la sorgente di succosi profitti per le grandi e meno grandi aziende neo-coloniali. Ma l’inesorabile spinta economica ed anche politica degli imperialismi concorrenti minaccia sempre più le posizioni dell’imperialismo francese, costringendolo a ricorrere alla forza per difendere i propri interessi.

Alla fine, la decisione francese “unilaterale” di avviare l’intervento militare ha ricevuto il sostegno verbale di tutte le potenze imperialiste, americana, russa, cinese e naturalmente italiana, alle quali si è aggiunto il sostegno degli Stati della regione. L’Algeria, suo malgrado, ha accettato di aprire il suo spazio aereo ai bombardieri francesi e di chiudere le frontiere ai ribelli maliani, mentre gli Stati africani della CEDEADO hanno cominciato ad inviare nel Mali le forze militari che avevano promesso.

L’intervento militare imperialista in corso non sarà una “passeggiata”; il governo dichiara che l’intervento militare durerà “il tempo che sarà necessario”, mentre il numero di soldati e i mezzi mobilitati non cessano di aumentare di giorno in giorno: si parla già di più di 3.000 soldati francesi, provenienti dalle basi militari francesi in Costa d’Avorio  e in altri paesi africani, mentre nella capitale e da parte degli “specialisti” militari si annuncia che la guerra sarà lunga...

 

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Il Mali, grande due volte la Francia ma popolato da 15 milioni di abitanti, è un paese essenzialmente agricolo (più del 70% della sua popolazione vive nelle campagne). Vecchia colonia francese, ingloba all’interno delle sue frontiere popoli diversi per lingue e costumi, popoli che la storia, data la debolezza dello sviluppo economico e sociale, non è riuscita ad unificare, come testimoniano le ricorrenti insurrezioni delle popolazioni Tuareg del nord. La crisi economica internazionale, che ha avuto effetti particolarmente destabilizzanti nei paesi della regione (come nel caso della vicina Costa d’Avorio) ha inevitabilmente aggravato le contraddizioni interne del Mali dove, dietro la facciata del “modello democratico maliano”, la classe dirigente affarista è associata all’imperialismo per depredare le risorse del paese senza preoccuparsi della sorte della popolazione; vi sono stati diversi scioperi anche nelle miniere d’oro, mentre la disoccupazione e l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità aggravano il malcontento generale.

Nel marzo dello scorso anno, a qualche settimana dalle elezioni, in seguito ad un ammutinamento di soldati dopo la sconfitta militare contro i ribelli, una giunta militare aveva rovesciato il presidente Amadou Toumani Touré, sospettato di voler negoziare con gli indipendentisti Tuareg, e prendeva il potere. Ma, sotto la pressione degli Stati africani e dell’imperialismo francese, la giunta era costretta a cedere il potere ad un “governo di transizione”. Tuttavia, imposto dallo straniero, questo governo non aveva alcuna legittimità presso la popolazione, più sensibile, in effetti, alle dichiarazioni dei vecchi golpisti contro la corruzione dei politicanti. Nel frattempo, il nord del paese è passato sotto il controllo dei ribelli Tuareg, poi delle organizzazioni islamiste che si erano rifornite di armi in Libia: la caduta del regime di Gheddafi sotto i bombardamenti della Nato ha avuto l’effetto inatteso di far scomparire uno dei pilastri dell’ordine imperialista nella regione...

 

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Una sessantina di imprese francesi sono presenti nel Mali. All’epoca della liberalizzazione degli anni ’90, le grandi società statali (banche, telecom, tessile ecc.) sono state privatizzate a favore, ovviamente, delle grandi imprese come Bouygues, Vinci, Vivendi ecc.

Rispetto alle esportazioni tradizionali di cotone e di bestiame, la principale esportazione maliana è, da qualche anno, l’oro (che ricopre il 70% dei ricavi d’esportazione) le cui miniere, molto redditizie, sono di proprietà di società britanniche e sudafricane associate allo Stato maliano e una filiale della Bouygues ne assicura la produzione (2). La mancanza di capitali ha impedito finora lo sfruttamento di altre ricchezze presenti del sottosuolo del Mali; il Nord semi-desertico nasconde probabilmente giacimenti di petrolio (il gigante petrolifero italiano ENI e l’algerino Sonatrach, insieme ad altre società minori, stanno eseguendo da tempo delle prospezioni nella regione) e di uranio.

Tuttavia l’importanza del Mali per i capitalisti francesi è data soprattutto per la sua posizione strategica. Opponendosi ai ribelli maliani, i soldati francesi proteggono i giacimenti di uranio sfruttati dalla Areva nel vicino Niger (Areva ha già avuto contrasti con i Tuareg). Ma, più in generale, per l’imperialismo tricolore si tratta di salvaguardare, di fronte ai suoi concorrenti e di fronte alle rivolte delle popolazioni locali, il suo predominio nella regione: “Nel Mali, la Francia gioca anche l’avvenire della sua presenza in Africa”, spiega ai suoi lettori l’editorialista del quotidiano padronale “Les Echos” (3).

Non è solo nel Mali che l’imperialismo francese è entrato in azione nelle ultime settimane. Lo stesso giorno in cui aerei francesi cominciavano ad attaccare i ribelli maliani, una importante operazione militare è stata avviata in Somalia nel tentativo di recuperare un agente dei servizi segreti prigioniero degli islamisti locali; i militari francesi non si sono preoccupati minimamente di avvertire il governo somalo della loro azione sul suo territorio: il governo Hollande che si vanta continuamente di rispettare la “legalità internazionale” a proposito del Mali ha dimostrato così, una volta di più, che questa non è altro che carta straccia che i gangster imperialisti invocano solo quando fa loro più comodo...

Nella Repubblica Centroafricana, il governo Hollande aveva giurato solennemente che non avrebbe mai inviato soldati francesi per salvare il regime che, di fronte ad un’improvvisa ribellione interna, chiedeva l’aiuto di Parigi (in realtà, la Francia aveva già una presenza militare nel paese dal 2002 nel quadro dell’operazione “Boali” di “consolidamento della pace”!). Giunto al potere attraverso un colpo di Stato militare per conto di, o provocato da, Parigi, Bozizé aveva finito per lasciare che gli imperialisti trattassero il suo regime da “autistico” visto che si rifiutava di seguire i loro “consigli”. A fine dicembre 2012, centinaia di soldati francesi (oggi saranno circa 600), malgrado le dichiarazioni di Hollande, erano inviati nella capitale Bangui: ma ciò serviva soltanto, sembra, per “proteggere” i residenti francesi! In realtà, con i militari ciadiani già presenti nel paese, questi soldati avevano la missione da un lato di dissuadere i ribelli che stavano per spingersi verso la capitale Bangui e, dall’altro, di far pressione sul regime per la formazione di un nuovo governo. Il “messaggio” degli imperialisti francesi sembra che sia passato: Bozizé ha accettato la formazione di un governo gradito all’opposizione e la programmazione delle sue dimissioni. E’ in questo modo che il governo parigino PS-Verdi concepisce la non-ingerenza negli affari interni dei paesi africani...

Gli interventi militari e le guerre che vedono protagonista in Africa l’imperialismo francese (ultimi, cronologicamente, in Libia e Costa d’Avorio) non sono per nulla motivati da preoccupazione “umanitarie” o “democratiche” come pretende la propaganda ufficiale; essi sono causati esclusivamente dalla preoccupazione di difendere gli interessi delle imprese che continuano a sottomettere alla proprie regole le sue vecchie colonie per accrescere i propri affari in quei territori. Se, a dispetto delle contrazioni economiche che lo obbligano a tagliare nelle spese e a “ridimensionare” anche il suo apparato militare, l’imperialismo francese fa lo sforzo di mantenere una rete di basi militari che controllano una parte dell’Africa, è perché dal suo ruolo di gendarme della regione ne ricava vantaggi sonanti anche se traballanti.

L’imperialismo francese rappresenta, quindi, una micaccia diretta verso tutte le eventuali lotte di emancipazione dei proletari e delle popolazioni oppresse e sfruttate di questi paesi, e più in generale una minaccia per la sorte delle popolazioni civili che pagano sempre il conto più caro degli scontri armati tra le diverse forze e gli Stati borghesi.

I borghesi e i loro uomini di paglia politici a chi fanno pagare i costi delle loro guerre?, agli stessi proletari in Francia; prima di tutto aggravando in particolare la pressione poliziesca verso i lavoratori immigrati provenienti da quelle regioni (il piano “Vigipirate” è stato rafforzato e, secondo la stampa, i servizi di polizia tentano di accrescere la sorveglianza su decine di migliaia di proletari di origine maliana in Francia) e aggravando lo sfruttamento capitalista. Se nel momento in cui è scattata la guerra nel Mali, un accordo “storico” è stato firmato fra il padronato e i sindacati più collaborazionisti per piegare ancor più i lavoratori alle esigenze capitaliste, e Renault annunciava la soppressione di migliaia di posti di lavoro, non è una strana coincidenza di calendario...

Al fondo della questione, la guerra imperialista all’esterno e la guerra sociale all’interno, non sono che i due aspetti di uno stesso attacco del capitalismo per restaurare i suoi tassi di profitto aumentando il più possibile lo sfruttamento della forza lavoro salariata, la miseria e l’oppressione. E non è un caso se questo attacco capitalista, che incontra l’approvazione unanime di tutti i partiti politici, dal PCF al Fronte Nazionale, è portato  avanti da un governo di sinistra: mai un governo di destra avrebbe potuto assestare colpi come questi senza suscitare delle reazioni! Come sempre, i servi riformisti della borghesia – i grandi apparati politici e sindacali (e i codisti di estrema sinistra) – sono i soli in grado di paralizzare la classe operaia quando questa è colpita dalla classe nemica.

Lo scoppio della guerra nel Mali, che ha provocato per contraccolpo il sanguinoso attacco contro il giacimento di gas di In Amenas in Algeria, deve essere inteso dai proletari come la raffigurazione di quel che riserva loro il capitalismo in crisi: non un avvenire di miglioramento graduale delle loro condizioni dopo un momento difficile, ma un avvenire di lacrime e sangue al quale non è possibile sfuggire se non attraverso la lotta. Proprio perché esso vive del loro sfruttamento, i proletari delle metropoli imperialiste hanno la possibilità di mettere fine al sistema capitalista che insanguina il pianeta; essi devono rispondere senza esitare a tutti gli attacchi borghesi, nella prospettiva di riallacciarsi alla lotta di classe rivoluzionaria che nel passato ha già permesso loro di lanciare l’assalto al potere borghese e al capitalismo: i proletari non hanno da perdere che le loro catene, hanno un mondo da guadagnare!

 

Abbasso l’intervento imperialista nel Mali!

No all’unione sacra in sostegno della guerra imperialista!

Abbasso l’imperialismo francese!

Viva l’unione internazionale dei proletari!

Viva la ripresa della lotta di classe contro il capitalismo mondiale!

 


 

(1) Vedi l’inchiesta del New York Times del 14/1/2013 che dettaglia le spese americane per formare i militari del Mali nel quadro della politica anti-terrorista USA in Africa. Secondo il quotidiano 1.600 militari formati dagli americani (sugli 8.000 dell’esercito maliano) avrebbero raggiunto armi e bagagli la ribellione! “La ribellione islamista utilizza dei soldati e degli ufficiali formati dagli americani che hanno disertato dall’esercito regolare del Mali lo scorso anno, portando con sé la loro formazione di lotta contro il terrorismo, le loro competenze militari avanzate così come la conoscenza dei metodi informativi occidentali. La Francia ora deve afrrontare un nemico islamista che gli Stati Uniti hanno involontariamente aiutato”, scrive il NYT che rileva anche la reticenza delle autorità americane ad aiutare la Francia nel suo attuale intervento militare. Cfr. http:// www .agoravox.fr/tribune-libre/article/au-mali-les-troupes-francaises-129111

(2) Le miniere d’oro maliane sono particolarmente redditizie. Secondo un rapporto della FIDU (Federazione Internazionale dei Diritti Umani) del settembre 2007, nel 2005 la produzione di un’oncia d’oro aveva un costo di 95 dollari e veniva venduta sul mercato a 245 dollari. Il corso dell’oncia d’oro è oggi superiore a 1.600 dollari, quando il costo della sua produzione non è praticamente aumentato. Nulla di sorprendente se la sudafricana Randgold ha annunciato lo scorso anno dei profitti record per la sua miniera maliana di Morila! Randgold e Anglogold subappaltano la produzione ad una filiale di Bouygues, Somadex. Nel 2005, la Somadex aveva licenziato 530 operai perché avevano fatto sciopero! Cfr. http:// www .peiples-solidaires.org/293-mali-sombres-mines-d%E2%80%99or/

(3) Cfr. Les Echos, 18-19/1/2013.  

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

20 gennaio 2013

www.pcint.org

 

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