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Terremoti e tragedie

 

 

18 gennaio 2017. Una micidiale sequenza di scosse sismiche fa ripiombare nell’incubo le zone dell’Italia centrale già colpite nell’agosto e nell’ottobre dello scorso anno.

Nel giro di 10 ore, dalle 10:25 del mattino alle 20:32 di sera del 18 gennaio, si registrano 11 forti scosse al disopra del quarto grado Richter di magnitudo, di cui 5 superiori al quinto grado, in una zona ampia circa 20 km: Montereale [5.1 e, successivamente, scosse da 4.6 e 4.3], Capitignano [5.5, e altre da 5.4, 4.7 e 4.1], Campotosto [5.5], Cagnano Amiterno [5.0], Pizzoli [5.4 e poia da 5.1], Amatrice [4.1 e un’altra da 4.3], sono stati gli epicentri di questa serie di terremoti (1). E i geologi prevedono che a breve potranno ripresentarsi altre scosse di intensità molto simile, se non maggiore.

Le condizioni climatiche particolarmente rigide e le abbondanti nevicate che dal 16 gennaio continuano a cadere in tutto il centro Italia hanno contribuito a rendere la situazione degli abitanti, e degli sfollati, ancor più tremende. In quella vasta zona appenninica tra Abruzzo, Umbria, Lazio e Marche, l’economia si regge soprattutto sul turismo e sull’allevamento di bovini e ovini. Così, alle migliaia di sfollati dei terremoti del 24 agosto, del 26 e del 30 ottobre scorsi, si aggiungono quelli di questi ulteriori comuni del Gran Sasso; ma non è finita, perché il peso della neve, oltre alle scosse dei terremoti, ha provocato crolli che hanno colpito non soltanto le case e le chiese, interrompendo le linee elettriche e telefoniche, ma anche le stalle e molti animali sono morti sotto le macerie o per il freddo e la mancanza d’acqua e di cibo, mentre le strade di montagna si rendevano del tutto impercorribili invase come sono state, e sono ancora, da frane e da metri di neve che hanno isolato decine di comuni e loro frazioni le une dalle altre.

Situazioni eccezionali, imprevedibili? No, di certo!

Il noto geologo Mario Tozzi, lo stesso 18 gennaio, interveniva affermado quanto segue: «I terremoti sulla Terra sono frequenti come le tempeste e dunque non deve meravigliarci quanto sta accadendo. E cioè che da agosto a oggi si siano registrate oltre 45mila scosse in Italia Centrale, una ogni cinque minuti circa. Semmai è la nostra memoria di sapiens a essere troppo limitata per ricordare una successione così ravvicinata di scosse superiori a magnitudo 5 Richter tutte in una stessa zona (stavolta quattro in quattro ore, un evento che non è identico ad altri recenti). Ma, detto questo, non si ravvisa nulla di anormale nella sequenza sismica che si è aperta lungo un segmento più meridionale della stessa struttura già responsabile dei sismi di Amatrice e Norcia. “Coppie” sismiche si registrarono, per esempio, anche in occasione di sismi dell’Irpinia (1980) e dell’Umbria-Marche (1997), per non parlare di quello del 24 agosto scorso proprio ad Amatrice. Sono appunti di uno stesso promemoria inviatoci periodicamente dalla Terra per impedirci di dimenticare che l’Italia è il Paese geologicamente più attivo del Mediterraneo e che l’immunità dal rischio naturale non rientra nei valori negoziabili dagli umani» (2).

Ah!, la memoria, la memoria: la terra continua ad inviarci segnali di rischi naturali, ma l’uomo borghese, l’uomo dell’epoca del profitto capitalistico e di una burocrazia che complica dannatamente la vita di tutti, accoglie quei segnali solo come occasioni di profitto facile, di speculazione, di arricchimento privato. La storia delle catastrofi non ha “insegnato” nulla dal punto di vista della prevenzione: i terremoti, le alluvioni, i cataclismi, per l’uomo borghese assumono la caratteristica dell’eccezionalità, del fenomeno inaspettato, della fatalità e, di fronte alla situazione eccezionale, scatta inevitabilmente l’emergenza, dunque la necessità immediata di intervenire, di soccorrere senza badare troppo alle regole, alle leggi, al tanto osannato “bene comune”. Il buon senso, l’abnegazione, il rischio anche della vita per salvare altre vite in pericolo, nella maggior parte dei casi sono lasciati ai singoli che intervengono nell’emergenza. I rimedi e le soluzioni immediate ai disastri – che, per la maggior parte dei casi, non sono “naturali”, ma provocati dall’insipienza, dall’inefficacia, dalla mancanza di misure di sicurezza sostituite bellamente dalle speculazioni, dalle corruzioni, dai condoni – seguono invece i criteri di una politica che non è finalizzata a risolvere al meglio le cause di quei disastri, bensì a tamponare all’immediato gli aspetti più acuti e, mediaticamente, più fruttuosi, che ogni singola situazione presenta, confidando nella burocrazia che dell’allungamento dei tempi di qualsiasi ulteriore intervento “risolutore” è regina, fino a gettare nel dimenticatoio non solo le promesse fatte dalle autorità, e mai mantenute, ma anche le caratteristiche delle tragedie successe. Le stesse “ricostruzioni” post-terremoto, che dovrebbero rispondere a misure anti-sismiche piuttosto ben definite, sono sottoposte agli stessi criteri di profitto capitalistico che regolano qualsiasi attività in questa società. Dopo le prime scosse d’agosto che distrussero buona parte di Amatrice e Accumoli – e che fecero tremare Norcia – il fatto che a Norcia non ci furono crolli come nei due centri laziali fece cantare le lodi di una ricostruzione anti-sismica avvenuta dopo un precedente terremoto. Ma le scosse del 30 ottobre, con epicentro proprio a Norcia, non la risparmiarono: le misure anti-sismiche adottate non erano sufficienti per affrontare un terremoto di magnitudo 6.5. Dunque, anche quando delle misure di prevenzione vengono effettivamente realizzate... non sono sufficienti e si dimostrano carenti. E sì che da sempre si sa che in Italia, in particolare sulla dorsale appenninica, è presente da millenni un sistema di faglie per cui i terremoti possono superare magnitudo 7.0, anche se raramente. Il tremendo terremoto del 1908, di magnitudo 7.0, che distrusse Reggio Calabria e Messina facendo più di 120.000 vittime, che cosa ha in realtà insegnato? Che il disastro fa bene al capitale, la sua prevenzione no.

E’ ben vero che in alcuni casi, come in California  e in Giappone, dove i terremoti possono giungere a magnitudo 8.0 se non addirittura 9.0, le misure anti-sismiche, adottate dopo i terremoti del 1906 a San Francisco e del 1923 a Yokohama, sono parametrate a quelle magnitudo, ma i criteri di fondo, rispetto alla prevenzione, nella costruzione o nella ricostruzione non cambiano: siamo sempre in pieno capitalismo, e la politica dei governi è guidata innanzitutto dalla difesa dei profitti capitalistici che, agli investimenti per la prevenzione, preferiscono quelli per la ricostruzione perché ci guadagnano molto di più.

Lo tsunami scatenato dal terribile terremoto sottomarino nell’Oceano Indiano, al largo di Sumatra, il 26 dicembre 2004, che fece quasi 300.000 morti coinvolgendo molti paesi, dall’Indonesia allo Sri Lanka, dall’India alla Thailandia, alla Somalia e al Madagascar, mise in evidenza come l’organizzazione sociale dominata dal capitalismo e dal potere borghese, che ne difende strenuamente gli interessi sotto ogni cielo, non è assolutamente interessata a far tesoro delle tragedie provocate in occasione di queste catastrofi e ad utilizzare i suoi mezzi scientifici, economici e materiali per prevenirle. Anche allora, la sfrenata ricerca di profitto che ha fatto costruire villaggi turistici in riva all’oceano, i ritardi nelle allerte e la scomparsa di memoria antica rispetto a questi fenomeni, costituirono la combinazione peggiore possibile per cui si dovettero registrare complessivamente, nei diversi paesi colpiti dallo tsunami, i 300.000 morti che sono finiti, secondo l’abitudine borghese, nella fredda statistica dei “disastri naturali”.

Nonostante siano state adottate in Giappone e California misure anti-sismiche più adeguate nelle ricostruzioni già dopo i terremoti di San Francisco e di Yokohama, si sono registrati ancora migliaia di morti da “terremoto”. Nel gennaio 1995,  il terremoto di Kobe, nell’isola giapponese di Awaji, di magnitudo 6.8, e quello di Sendai e del Tōhoku di magnitudo 9.0, al largo delle coste settentrionali del Giappone, che, nel marzo 2011, innescò un altro tsunami; a Kobe i morti furono più di 6.400, mentre in seguito al terremoto di Sendai e del Tōhoku, e soprattutto allo tsunami da esso generato, vi furono più di 15.000 morti solo in Giappone. Certo, si sarebbero dovuti registrare migliaia di morti in più se non fossero state adottate misure di sicurezza anti-sismiche più avanzate sia riguardo i viadotti che gli edifici ricostruiti, come, ad esempio, l’installazione di supporti di gomma sotto i pilastri dei ponti per assorbire le vibrazioni dei terremoti e sotto gli edifici ricostruiti che vennero separati fra di loro per aver modo di oscillare sotto l'effetto dei sismi (https://it.wikipedia.org/wiki/Terremoto_di_Kobe_del_1995). Ciò non toglie che, anche quando vengono prese misure di prevenzione, esse non arrivano mai a ridurre i danni e i morti a numeri vicini allo zero.  

La memoria di quanto è successo, coperta e nascosta appositamente da tutta un’organizzazione sociale e politica tesa a difendere gli interessi della proprietà privata e dell’appropriazione privata della ricchezza prodotta socialmente, va così sparendo per anni e per generazioni, fino al successivo terremoto, alla successiva alluvione, alla successiva catastrofe, quando gli stessi fatti materiali rimettono in evidenza non solo le forti contraddizioni di una società che si vanta di aver raggiunto altissimi livelli di civiltà, di cultura e di conoscenza (che però non usa normalmente per prevenire le conseguenze dei disastri, che sono “naturali” solo in parte), ma anche il sistematico fallimento della sua pretesa di costituire la miglior soluzione di vita per gli uomini rispetto alle società che storicamente precedettero il capitalismo. E’ il capitalismo stesso la causa della gran parte dei disastri che avvengono in ogni parte del mondo; ma, da quei disastri, come dalle guerre, il capitalismo trae nuova energia e nuove forze per mantenere in vita il sistema di dominio dello sfruttamento capitalistico del lavoro salariato perché, fondamentalmente, il profitto capitalistico proviene esclusivamente da quello sfruttamento che, abbinato alla enorme sconsideratezza con cui vengono sfruttate le risorse “naturali”, costituisce la cancrena di questa società.

 

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Le promesse di “ricostruzione” dei paesi –  “com’erano” e “dov’erano” – da parte delle autorità, dal presidente della repubblica Mattarella al premier Renzi e ai suoi vari ministri – che dall’agosto scorso hanno riempito i notiziari televisivi e le pagine dei giornali, unite alle promesse di “non vi lasceremo soli!”, si sono scontrate – come succede ogni volta! – con una realtà fatta di burocrazia, competenze che si ostacolano a vicenda, lungaggini negli appalti e soldi messi a disposizione ma per la gran parte dirottati su progetti e ricerche che si sovrappongono senza alcun coordinamento, o raccolti attraverso gli ormai famosi numeri telefonici 455... ma non distribuiti... Come dopo ogni catastrofe, anche di fronte a questi terremoti, alla distruzione di interi paesi, alla morte di centinaia di persone e alla tragedia di migliaia di persone che perdono casa, lavoro e speranza di vita, così anche oggi si continua a registrare, insieme a veri atti di abnegazione e di eroismo da parte di singoli soccorritori, una sequela di ritardi nelle allerte, di inefficienze, di spazzaneve e turbine che non arrivano, di ricoveri per persone e per animali promessi e mai installati, di elicotteri che non si alzano in volo per i litigi tra i diversi corpi militari. Tutto ciò dimostra, per l’ennesima volta, l’assoluta mancanza, da parte dei governanti, di efficaci ed efficienti piani di prevenzione, che predispongano mezzi e attrezzature utili nel momento dell’emergenza. Nella realtà succede esattamente il contrario di quello che lo stesso buon senso dovrebbe ispirare: si attende che avvengano la sciagura, il disastro, la tragedia – si sa perfettamente che avverranno – e, quindi, “scatta l’emergenza” che lo Stato e le autorità affrontano coi pochi mezzi ad immediata disposizione, mentre un nugolo di imprenditori si dà da fare per mettere le mani sulle opere di ricostruzione edilizia, su ogni genere di fornitura, sui più diversi appalti.

 Ogni volta che la terra si fa viva con le sue forti scosse naturali, i media borghesi gridano all’eccezionalità del fenomeno e puntano i riflettori sulla macchina dei soccorsi, sui loro ritardi, sulla ricerca di morti e feriti, sui crolli e sulle distruzioni, sulle dichiarazioni e sulle promesse dei politici e dei governanti, sulla disperazione degli abitanti... Ed anche quando, tra le varie inchieste, emergono fatti inerenti a corruzioni, speculazioni, malversazioni, grande attenzione per i pochi ricchi e menefreghismo per i tanti poveri, queste notizie, queste informazioni sono destinate soltanto ad aggiornare statistiche pronte ad essere sciorinate per riempire servizi televisivi, talk show e pagine di giornali diffondendo l’impressione che dei problemi emersi, chi “di dovere” se ne interesserà... Ma rimane solo un’impressione che presto scompare poiché altri disastri, altri fatti di corruttela, altre promesse non mantenute prendono il posto dei fatti precedenti, alimentando in questo modo, come in una vorticosa giostra, un continuo presentarsi di un fatto “nuovo” che però assomiglia sempre più a fatti già avvenuti ...e dimenticati!

18 gennaio 2017. Siamo sulle pendici del Gran Sasso. Una slavina con un fronte di 300 metri si stacca dalla montagna, precipita a valle travolgendo l’hotel di lusso Rigopiano costruito sul fianco del monte, sopra Farindola sul versante pescarese. Più di centomila tonnellate di neve e detriti, alla velocità di 100 km all’ora, si abbattono sull’hotel che viene completamente sommerso; l’urto lo sposta letteralmente di una dozzina di metri verso valle. Quando la valanga lo colpisce vi si trovava una quarantina di persone, tra personale di servizio e ospiti. Oggi, 21 gennaio, mentre scriviamo, sono stati estratti dalla macerie 5 morti, 9 sopravvissuti che si aggiungono ai 2 che casualmente, nel momento dello schianto della valanga, erano fuori dall’albergo, mentre restano disperse altre 23 persone.

Che ci faceva un albergo di lusso su quel costone, alla confluenza di alcuni valloni scavati nel tempo dalle valanghe? Facciamolo raccontare dal Corriere della sera: «Dove sorgeva il resort a quattro stelle abbattuto da quella terribile valanga c’era un tempo un casolare. Una costruzione di campagna in una zona destinata a pascolo che sarebbe stata ampliata abusivamente occupando una porzione di suolo pubblico per realizzare, appunto, la residenza alberghiera di cui stiamo parlando. Questo, almeno, secondo i giudici. Manco a dirlo, infatti, la vicenda finì anche al centro di un’indagine giudiziaria con il coinvolgimento di due sindaci del Comune di Farindola, due assessori, un consigliere comunale e un paio di imprenditori. Tutti rinviati a giudizio in seguito a una delibera del settembre 2008 con la quale era stata concessa al costruttore la sanatoria per l’occupazione abusiva del suolo pubblico. I magistrati arrivarono a ipotizzare che per ottenerla fosse stato distribuito ai politici qualche zuccherino: alcune migliaia di euro e magari certe assunzioni di favore. Il procedimento è andato avanti tre anni. Finché a novembre del 2016 la faccenda si è chiusa con l’assoluzione di tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”»; e così anche la magistratura, che aveva indagato su fatti potenzialmente pericolosi, dà una mano a coloro che hanno speculato, costruito dove non dovevano e messo in pericolo le vite dei dipendenti che vi lavoravano e degli ospiti (3). A novembre dello scorso anno “il fatto non sussiste”? A gennaio di quest’anno il fatto che “non sussiste” si è trasformato in tragedia!

Come uscire da questa spirale continua di disastri? Con nuove leggi? Con nuovi governi? Con la “presa di coscienza” del ceto politico grazie alle preghiere del Papa?

Finché rimane in piedi l’organizzazione economica, sociale e politica attuale, quindi il capitalismo, il sistema basato sull’economia mercantile e sullo sfruttamento del lavoro salariato, non vi sarà mai una soluzione a favore della vita sociale degli esseri umani, in qualsiasi paese del mondo. Il capitalismo e le sue conseguenze non sono una fatalità di fronte alla quale solo la misericordia di un ente soprannaturale può agire piegandola a favore degli uomini e non del denaro, delle merci, della proprietà privata. Il capitalismo e la società borghese eretta sulle sue basi non possono che sviluppare disastri, distruzioni, guerre, inquinamento, nocività: in questo consiste la sua civiltà. Alle distruzioni che provoca il capitalismo va opposta un’altra distruzione: quella del capitalismo stesso, del suo modo di produzione, della sua organizzazione sociale, della sua sovrastruttura politica. In poche parole, la rivoluzione a opera dell’unica classe sociale in grado di opporre e vincere la resistenza del capitalismo e della borghesia nel dominio della società, il proletariato. Una rivoluzione che può apparire oggi impossibile e talmente lontana dalla sua attuazione immediata da gettarne lo stesso concetto tra le varie utopie che hanno albergato nella testa dei filosofi; ma, a differenza di ogni concetto filosofico e di ogni ideale utopistico, la prospettiva della rivoluzione proletaria e del comunismo risponde a criteri scientificamente provati dai fatti storici, cosa che può essere riassunta in una frase: «Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente» (K. Marx).

Non possiamo che terminare riportando quanto scrivevamo pochi mesi fa, dopo i terremoti che distrussero Amatrice e Accumoli:

«I proletari, in un periodo in cui l’opportunismo collaborazionista vive ancora del successo che da decenni lo mette al riparo dalla reazione di classe del proletariato e che parassitariamente beve la dose di sangue proletario che le classi dominanti borghesi gli concedono grazie allo sfruttamento spietato cui sottopongono le masse proletarie del mondo, non si rendono ancora conto che la società capitalistica trae nuova linfa, nuova energia proprio dalle catastrofi, come dalle guerre che ancor oggi devastano interi paesi e massacrano centinaia di migliaia di esseri umani. “Lo sviluppo della produzione mercantile sulla base del lavoro salariato porta ineluttabilmente alla corsa al profitto e all’accumulazione, alla concentrazione del capitale ed all’imperialismo: nocività, inquinamento, distruzioni e disastri non sono che aspetti delle conseguenze di questo sviluppo”, così nel nostro filo del tempo del 1952, “Politica e costruzione”. Ciò significa che non ci si può aspettare dal regime borghese una inversione di tendenza, una politica che metta come priorità assoluta, sempre e dappertutto, nella vita quotidiana e nei posti di lavoro, nelle fabbriche, nei campi e in qualsiasi attività umana, la prevenzione rispetto alle malattie, alla nocività, all’inquinamento, ai disastri. La borghesia sa perfettamente che, per continuare a sfruttare il lavoro salariato a tutte le latitudini del mondo, deve concedere, almeno agli strati superiori del proletariato, un tenore di vita più decente che alle grandi masse; e deve amministrare la vita civile con un minimo di difesa dalle conseguenze più tragiche del suo stesso sviluppo. Ma è, nello stesso tempo, del tutto impossibilitata e incapace di dirigere lo sviluppo della produzione mercantile verso traguardi diversi da quelli che lo stesso modo di produzione impone inesorabilmente» (4).

 


 

(1)      Cfr. la Repubblica, 19.1.2017 e Terremoti in Italia nel XXI secolo, wikipedia al 20.1.2017.

(2)      Vedi M. Tozzi, 18 gennaio 2017, in http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2017/01/18/ASjhvHzF-quattro_sequenza_spaventa.shtml

(3)      Cfr. Sergio Rizzo, La catena degli errori, Corriere della sera, 20.1.2017.

(4)      Vedi l’articolo Un altro devastante terremoto sconvolge il Centro Italia: per l’ennesima volta, prevenzione inesistente, ma terreno fertile per le speculazioni dell’emergenza e della ricostruzione!, ne il comunista, n. 146, dicembre 2016.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

21 gennaio 2017

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