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8 Marzo

Per la donna proletaria esiste una sola via: La lotta di classe anticapitalistica, quindi antiborghese e antidemocratica! 

 

 

L’idea di fissare una data per difendere con una giornata di lotta internazionale le esigenze delle donne proletarie tanto sul terreno economico come sul terreno politico, circolava da tempo tra le donne che appartenevano ai partiti socialisti, fin dalla Conferenza internazionale delle donne tenutasi a Copenaghen nel 1910; l’obiettivo era quello di sostenere che l’emancipazione delle donne proletarie dalla situazione particolarmente penosa che soffrivano (e che soffrono tuttora) nel sistema capitalista, poteva essere conquistata soltanto attraverso la lotta rivoluzionaria. E’ alla seconda Conferenze delle donne comuniste, tenuta nel giugno 1921, prima del terzo Congresso dell’Internazionale Comunista, in omaggio allo sciopero delle operaie di Pietrogrado dell’8 marzo 1917, che fu fissata quella stessa data, l’8 marzo, come giornata internazionale di lotta delle proletarie di tutto il mondo.

Già durante i decenni precedenti alla convocazione della Conferenza, in tutti i paesi capitalisti e in ispecie in quelli che rappresentavano l’avanguardia del progresso economico, in quelli dove le forze produttive erano più sviluppate e, soprattutto, in quelli dove la forza lavoro era già stata sottomessa completamente al regime salariale che obbligava di fatto la maggioranza della popolazione, incluse le donne, a lavorare a giornata, era apparsa una corrente interclassista che propagandava fra le donne proletarie la consegna di abbandonare la lotta specificamente proletaria che nella sparizione del sistema capitalista vede la condizione indispensabile perché scompaiano tutti i tipi di oppressione generate da questo sistema ed ereditate, acutizzandole, dalle società di classe precedenti, e di indirizzarsi invece verso un’alleanza con le donne borghesi che erano interessate ad acquisire diritti politici all’interno della società borghese.

Come risposta questo indirizzo politico, era necessario affermare che la difesa delle esigenze delle donne proletarie non poteva passare se non attraverso il suo inserimento nella lotta socialista più generale, abbandonando il ruolo secondario che aveva avuto fino ad allora. Non si negava, certo, che i diritti politici di cui erano private tutte le donne, specie il diritto di voto, fossero un’esigenza immediata che i proletari di ambo i sessi dovevano difendere in ogni momento. Bisognava porre questa esigenza nei suoi giusti termini storici: allo sfruttamento sofferto dalla donna proletaria in quanto paria della società borghese, e lo stesso sfruttamento riguardava anche il maschio proletario, si aggiungeva per lei il fatto che era completamente privata dei diritti politici; in più, nell’oppressione contandina, subiva tutta la violenza, il disprezzo e l’umiliazione che la società divisa in classi genera costantemente. Anche la donna borghese soffre, ma solo in parte, questa situazione, in quanto considerata persona di seconda categoria in un mondo in cui la proprietà privata si è sviluppata e trasmessa per via essenzialmente mascolina. Ma il fatto di vedersi privata di diritti può variare se cambia il suo status giuridico e politico all’interno della società capitalista, cosa perfettamente possibile. Al contrario, lo sfruttamento che colpisce la donna proletaria non può essere superato perché la sua situazione sociale in questa società non può modificarsi: essa è allo stesso tempo mano d’opera e riproduttrice di mano d’opera, da essa si estrae plusvalore in quanto salariata e nuovi proletari per lo sfruttamento capitalistico in quanto genitrice. Un cambiamento politico potrebbe anche significare per essa, in determinati momenti, un qualche miglioramento, ma certamente non un significativo cambiamento nella sua situazione che la sollevi dalla maggior parte dei gravosi compiti, soprattutto domestici, di cui soffre quotidianamente. Per questi motivi, la lotta per i diritti politici a favore delle donne proletarie hanno avuto nel tempo un significato completamente diverso che per le donne borghesi: costituiva un anello della lotta per obiettivi molto più ampi, per la distruzione del sistema capitalistico in cui la vita della donna proletaria ha un destino segnato.

Seguende le posizioni soriche del marxismo rivoluzionario sulla questione della donna, fin dalle prime lotte del movimento socialista internazionale si difese la necessità che la donna proletaria mantenesse una posizione propria, del tutto indipendente dalle correnti politiche delle donne borghesi, sul terreno della lotta per i diritti politici che costituiva un indispensabile allenamento per partecipare con eguali condizioni degli uomini proletari alla lotta più generale per la rivoluzione socialista.

Mentre le correnti politiche borghesi chiamavano le donne proletarie a lottare per ottenere condizioni migliori esclusivamente all’interno del mondo borghese, nel quale le donne borghesi, pur lottando in modo deciso, comunque godevano anch’esse dello sfruttamento delle donne proletarie, il marxismo rivoluzionario chiamava le donne proletarie a combattere per se stesse, sul terreno della lotta dic lasse. Mentre le correnti politiche borgehsi chiamavano le donne proletarie a svincolarsi dalla lotta di classe portata avanti dagli uomini proletari e quindi a rompere con l’allora fortissimo movimento socialista, difendendo perciò obiettivi che non andassero contro i fondamenti del modo di produzione capitalistico, le donne socialiste con alla testa Clara Zetkin, chiamavano ad organizzare la propria lotta insieme a quella dei fratelli di classe uomini, coordinandola sia sul terreno economico imemdiato, sia sul più ampio terreno politico.

Le femministe, appartenenti alla classe borghese, difendevano in ultima analisi gli interessi della classe borghese a cui appartenevano e propagandavano nelle file proletarie l’idea che la lotta diretta esclusivamente all’eguaglianza giuridica avrebbe potuto raggiungere la fine dell’oppressione della donna; come se il capitalismo potesse garantire di porre fine a questa oppressione soltanto dichiarando la eguaglianza eei sessi davanti alla legge. Ma l’eguaglianza giuridica, secondo il marxismo rivoluzionario, è sempre stata una finzione dietro alla quale si nasconde la reale diseguaglianza sociale: per i proletari e le proletarie l’eguaglianza giuridica non costituiva il fine ultimo della loro lotta, mentre lo era il superamento storicamente rivoluzionario della società divisa in classi.

Oggi, le lotte politiche del proletariato socialista dei primi del Novecento, le sue tesi, i suoi indirizzi pratici e organizzativi, codificati poi nelle tesi dell’Internazionale Comunista, stravolti e sfigurati dalle diverse ondate opportuniste, sono caduti nel dimenticatoio. Il proletariato, che durante gli anni Venti del secolo scorso giunse a lanciare la sua potente sfida alla società capitalista, subì una dolorosissima sconfitta dovuta all’azione congiunta della controrivoluzione borghese e dei suoi alleati, le tendenze opportuniste della socialdemocrazia e dello stalinismo. Oggi, a tanti decenni di distanza, e dopo le conseguenze, disastrose per il movimento proletario internazionale, della seconda guerra imperialista mondiale, il proletariato si ritrova ancora del tutto sottomesso in ogni paese alle esigenze della borghesia; esso subisce l’influenza delle linee politiche borgehsi che continuano a sostenere che lpunica via per migliorare le sue condizioni di esistenza passa per l’accettazione dei limiti democratici, per il rispetto dello Statodi classe della borghesia e delle sue leggi e per la partecipazione alle continue farse elettorali. La classe proletaria, con la sua disfatta, ha perso i suoi beni più preziosi: la sua dottrina, il marxismo rivoluzionario, e il suo partito di classe. E con essi ha perso l’impostazione teorica e politica rispetto a tutte le situazioni che riguardano la sua esistenza sociale, la comprensione dei fenomeni specifici della società divisa in classi, la necessaria risposta politica a questi ultimi e l’indipendenza organizzativa che da quell’impostazione discende. Le conseguenze di questa disfatta si sentono in particolare su questioni sociali laceranti come quelle che riguardano l’oppressione della donna proletaria; le correnti politiche borghesi, in assenza della lotta sul terreno di classe, e quindi anche della lotta teorica e politica del marxismo rivoluzionario, dominano incontrastate. Non è stato difficile, per le borghesie di ogni paese, trasformare l’8 marzo da giornata internazionale della lotta delle donne proletarie in un asettico e generico “giorno dedicato alla donna”, un giorno che non fa alcuna paura (anzi, è un giorno di “festa” per la conciliazione tra le classi e per il commercio) perché ha perso completamente il significato di un giorno di lotta contro la borghesia. Le classi borghesi hanno ottenuto che la donna proletaria condivida la difesa dei suoi interessi con quelli della donna borghese in quanto “donna sfruttata dai maschi”, spostando gli interessi dal terreno della contrapposizione di classe a quello della contrapposizione dei sessi, dimenticando che le donne borghesi, oggi più di ieri, sono partecipi in tutti i campi dello sfruttamento del lavoro salariato. E fanno passare il raggiungimento di qualche piccola miglioria simbolica come fosse un effettivo passo verso... l’emancipazione della donna, magari ottenuto grazie all’intervento dello Stato borghese, mentre la realtà capitalistica che viene completamente distorta vede la donna proletaria, soprattutto in periodi di crisi economica e di crisi di guerra, sfruttata, umiliata, trattata come essere inferiore, violentata e uccisa soprattuto in quel santuario della famiglia che sono le mura domestiche.

E’ trascorso più di un secolo da quando il socialismo marxista ha dimostrato scientificamente che soltanto la lotta di classe rivoluzionaria potrà aver ragione di ogni oppressione generata dalla società capitalistica. E, nonostante molte forme di eguaglianza giuridica sono ormai riconosciute dalle leggi borghesi nei paesi capitalisti più sviluppati, è forse scomparsa l’oppressione della donna, e in particolare l’oppressione della donna proletaria? Lo dicono gli stessi borghesi: no, anzi è ben presente, sia sul posto di lavoro, sia, soprattutto, in casa come lavoro domestico e accudimento dei figli, vera e propria doppia oppressione della donna, proletaria certamente ma spesso anche piccoloborghese. Sono forse diminuiti i casi di umiliazione e di violenza contro le donne? Lo dicono gli stessi borghesi: No!, a dimostrazione che le cause dell’oppressione della donna nella società capitalistica  vanno cercate nelle basi fondamentali di questa società, nel modo di produzione capitalistico contro il quale soltanto la lotta di classe del proletariato può ergersi e combatterlo per vincerlo e per trasformare l’organizzazione sociale da cima a fondo.

Le classi dominanti borghesi fanno di tutto per mascherare il più possibile le vere cuase dell’oppressione della donna, ma la realtà le smetisce costantemente; quel che effettivamente le classi borghesi di tutto il mondo non possono nascondere è che, a fronte dei privilegi e dei profitti che accumulano nelle proprie mani grazie allo sfruttamento forsennato del lavoro salariato, ci sono sterminate masse di proletari e proletarie che sopravvivono in condizioni di esistenza estreme, esposte sistematicamente ad ogni forma di oppressione e di violenza, sia che vivano da autoctoni nei paesi più sviluppati sia che vivano da migranti e profughi.

Le donne proletarie sentono sulla propria pelle questa realtà. Costrette a salari più bassi degli uomini, a discriminazioni  in ogni ambito della vita sociale, ai maltrattamenti, alle violenze e agli assassinii nell’ambito domestico. Esse hanno la percezione netta che le soluzioni che le classi borghesi propongono non risolvono in realtà alcun problema; ed anche se le loro lotte dovessero ottenere la effettiva parità salariale tra uomini e donne, i salari sono talmente risicati che in ogni caso non basterebbero per una vita decente e senza preoccupazioni economiche anche perché il psoto di lavoro può saltare da un momento all’altro. Nei paesi più sviluppati ci sono donne in parlamento, al governo, ci sono donne a capo di imprese, di banche, di multinazionali; ci sono donne a capo di partiti e di organizzazioni economiche e finanziarie, e ci sono donne che fanno carriera militare; certo, ma queste donne non sono che rappresentanti degli interessi delle classi borghesi dominanti, né più né meno degli uomini che da lunga data posano il proprio deretano sulle poltrone del potere. Queste donne non “dimostrano” la possibile emancipazione femminile in questa società seguendo le leggi e le regole di questa società; esse dimostrano semplicemente che la classe dominante borghese può utilizzare come strumenti del proprio potere non solo i maschi ma anche le femmine. E il potere, per la borghesia, sul terreno politico come su quello economico, finanziario, sociale e militare, ha un fine ben preciso e del tutto opposto all’emancipazione, non solo femminile, ma umana in generale: il fine di conservare e difendere con ogni mezzo, pacifico e militare, legale e illegale, democratico e totalitario, il modo di produzione capitalistico che è basato sulla proprietà privata e sull’appropriazione privata della ricchezza sociale prodotta. Un modo di produzione che esiste e si sviluppa esclusivamente attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato, di proletari e proletarie; che si basa sulla divisione della società in classi antagoniste e sulla divisione internazionale del lavoro, e che inevitabilmente genera concorrenza, contrasti di interessi e guerre.

Le donne proletarie sono le più esposte alle conseguenze oppressive e violente della società borghese. E se vogliono uscire dalla condizione di completa sottomissione e schiavitù in cui la civiltà capitalistica le ha precipitate, devono rompere con qualsiasi illusione democratica e pacifista, con qualsiasi idea di alleanza fra borghesi e proletarie. Esse devono riconquistare la via della lotta di classe, della difesa intransigente delle loro condizioni di esistenza, della lotta contro ogni oppressione di cui sono vittime, ma in una lotta che veda la classe del proletariato – perciò proletari e proletarie – unita dagli stessi interessi immediati e politici più generali. In questa prospettiva le donne proletarie devono organizzarsi in modo indipendente non tanto come “femmine”, ma come parte integrante della classe proletaria, riacquisendo i metodi e i mezzi della lotta di classe che i proletari nella loro storia hanno già sperimentato con successo; al pari dei proletari, le donne proletarie devono lottare sul terreno immediato economico, sul posto di lavoro ma anche nei quartieri dove abitano, perché è nella vita sociale quotidiana che si rinsaldano i rapporti tra proletari di varia provenienza regionale o nazionale, e si scambiano esperienze nei diversi settori di lavoro.

Il nemico da combattere è la classe borghese in tutte le sue ramificazioni, istituzionali, associative, produttive e private, ed ha poca importanza se viene rappresentato da un maschio o una femmina: nella guerra di classe i combattenti che si affrontano non hanno distinzione di età, sesso, nazionalità o mestiere; è il loro interesse di classe che li unisce, li compatta, li distingue. La guerra di classe che conduce da sempre, ogni giorno, in ogni ambito della vita sociale, con ogni mezzo, contro il proletariato, serve alla borghesia perché è suo interesse continuare a sfruttare in modo sempre più esteso e intenso la forza lavoro salariata. A questa guerra, il proletariato, anche solo per difendersi dal peggioramento progressivo delle sue condizioni di esistenza, deve rispondere con la sua guerra di classe; esso deve opporre all’obiettivo politico della conservazione di questa società l’obiettivo politico della distruzione di questa società basta sul profitto capitalistico, sul mercato, sul denaro, sulla proprietà privata, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per un’organizzazione sociale superiore in grado di farla finita con ogni oppressione, con ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, con ogni divisione di classe, per il comunismo. E le donne proletarie, a questa guerra di classe, sono chiamate a dare un apporto determinante: nessuna rivoluzione ha mai vinto senza l’apporto decisivo delle donne rivoluzionarie.

Per la rinascita della lotta di classe del proletariato di ambo i sessi!

Per la difesa intransigente delle sue condizioni di esistenza!

Per la ricostituzione del Partito Comunista Internazionale!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

8 marzo 2017

www.pcint.org

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