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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                


 

Ai migranti che fuggono dalla miseria, dalle guerre e dalle torture per trovare un’alternativa di vita nei paesi europei, il governo italiano dice: “zero sbarchi in Italia, è finita la pacchia”!

Ai proletari italiani, ai quali la classe dominante borghese prospetta un futuro di miseria, di disoccupazione, di precarietà, noi comunisti rivoluzionari diciamo: da fratelli di classe e con comuni interessi di classe, i proletari italiani devono solidarizzare senza se e senza ma coi proletari migranti stranieri.

Il nemico di classe è lo stesso: la borghesia di casa nostra, contro la quale c’è soltanto una via da imboccare, la lotta di classe!

 

 

Proletari!

 

Il caso della nave Mar Jonio, della ong Mediterranea Saving Humans, battente bandiera italiana, con 49 migranti a bordo di cui 12 minorenni, sequestrata dalle autorità giudiziarie su istigazione del governo, riporta per l’ennesima volta in evidenza la cinica politica dell’attuale governo Lega-5stelle sull’immigrazione. Un governo bicolore che è disaccordo su tutto, e che, per non perdere gli scranni del governo, ogni volta ha il problema di trovare un compromesso tra posizioni contrastanti, è invece perfettamente concorde nel dare addosso agli immigrati. Gli immigrati sono considerati prima di tutto dei clandestini, non importa se le cause della loro fuga dai paesi d’origine sono di carattere economico, politico, poliziesco, militare, di oppressioni e di morte. Essi cercano prima di tutto un rifugio e un posto in cui vivere lontano dai massacri di guerra, dalla miseria economica, dall’oppressione politica e poliziesca. Massacri, miseria, oppressione dovuti al dominio delle classi borghesi, dei capitalisti senza scrupoli, dei gangster e degli approfittatori di ogni risma generati dallo stesso modo di produzione che domina in tutto il mondo, il capitalismo. Solo che i paesi più forti, i paesi imperialisti, e fra loro l’Italia, la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, il Belgio, insomma le ex potenze coloniali, hanno sfruttato e continuano a sfruttare oltre ogni misura le risorse umane e naturali degli ex paesi colonizzati; e tale sfruttamento, sottoposto ad una spietata lotta di concorrenza tra i paesi più ricchi, provoca inevitabilmente miseria nelle popolazioni autoctone e motivi di scontri armati e di guerra tra un paese e l’altro, affittato ora ad una potenza imperialista ora alla potenza concorrente.

Non che i governi precedenti, di centro-sinistra e di centro-destra, fossero meno cinici dell’attuale, solo che dovevano affrontare una pressione migratoria che in precedenza non si era mai verificata, mentre Francia, Germania, Belgio, Gran Bretagna avevano già affrontato questo problema dotandosi di esperienze e leggi che ne facilitavano il controllo. Non v’è dubbio che in determinati periodi, soprattutto di espansione economica, le borghesie dei paesi colonizzatori avevano interesse a far arrivare masse di immigrati perché costituivano braccia da lavoro a poco prezzo e perché servivano come pressione sulle rivendicazioni dei proletari autoctoni, come ogni concorrenza insegna. Ma una cosa è aprire le porte e i porti all’immigrazione che rispondeva ad interessi ben precisi dei capitalisti nazionali, una cosa è tenere aperte le porte e i porti ad una immigrazione caotica, incontrollata, di masse che ad un certo punto si mettono in marcia per raggiungere, a qualunque costo e a costo della stessa vita, i paesi più ricchi, dove le devastazioni delle guerre, delle carestie, della siccità e della miseria non ci sono, almeno finora.

L’Italia, per la sua posizione nel Mediterraneo, insieme alla Grecia e a Malta, sono naturalmente le mete più dirette di queste migrazioni. Ed è noto che una parte consistente dei migranti, che via terra o via mare sono arrivati e arrivano in Italia, considerano il territorio italiano come una tappa della loro migrazione perché il loro obiettivo molto spesso è di raggiungere la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, i paesi Scandinavi. Ragioni di interesse nazionale, di pace sociale nazionale e di forza politica ed economica da parte di quei paesi, sono state alla base di accordi “europei” che obbligano il paese “di primo sbarco” (ipocritamente detto di “prima accoglienza”), quindi l’Italia, oltre alla Grecia e a Malta per quanto riguarda l’attraversamento del Mediterraneo orientale e centrale, alla Spagna per quanto riguarda l’attraversamento del Mediterraneo occidentale, e alla Turchia per quanto riguarda la rotta terrestre (la famosa “rotta balcanica”), ad occuparsi dell’“accoglienza”, dell’identificazione e dell’espulsione, dovendo sopportare quasi interamente il “peso” interno di questo problema. Anche quando gli Stati europei, dopo lunghe discussioni e trattative, hanno concordato che le centinaia di migliaia di migranti che raggiungevano i paesi mediterranei, e l’Italia in particolare, fossero formalmente distribuiti in ”quote” – come fossero delle balle di fieno – tra i paesi che acconsentivano a questa distribuzione, di fatto i loro confini rimanevano chiusi o semplicemente i loro governi negavano a priori l’accoglienza; di esempi non mancano, a partire dall’Ungheria per finire alla Francia e alla Germania. In realtà, ogni borghesia nazionale ha interesse a controllare il più possibile i flussi migratori, sia perché intendono spendere il meno possibile per la sopravvivenza di masse indesiderate, sia perché intendono mantenere la pace sociale interna raggiunta grazie ad una serie di politiche sociali che si reggono sulla collaborazione interclassista tra le organizzazioni sindacali e i partiti nazionali cosiddetti “operai”, pace sociale che l’afflusso disordinato, confuso, incontrollato di masse di migranti in cerca di qualsiasi mezzo per sopravvivere giorno per giorno, può essere messa improvvisamente in pericolo.

D’altra parte, una forza lavoro clandestina, perciò facilmente ricattabile da tutti i punti di vista, quindi non solo strettamente economico, è in ogni caso un’occasione d’oro per molti capitalisti e speculatori: dai trafficanti di uomini che derubano i migranti di tutti i loro miseri averi ai caporali che forniscono braccia agli agricoltori e agli imprenditori edili, dalle imprese che costruiscono i centri di identificazione e di espulsione alle imprese che gestiscono la prigionia dei migranti rinchiusi in quei centri, dalle imprese che forniscono a quei centri letti, coperte, cibo alle stesse forze di polizia che hanno il compito di fermare, arrestare, controllare e rimpatriare queste masse disperate; per non parlare dei campi di concentramento in Africa, in specie in Libia, dove vengono raggruppati, come bestiame destinato al macello, i migranti che riescono a raggiungere la costa libica dopo essere sopravvissuti nelle migliaia di km fatti su qualsiasi mezzo di trasporto o a piedi, e dove vengono derubati, obbligati a lavorare in condizioni pessime, bastonati, stuprati, uccisi.

Non è certo la prima volta che sentiamo i nostri governanti proclamare: “aiutiamoli a casa loro”! Ma, in molti casi, non sapendo dove “rimpatriarli”, i migranti vengono semplicemente respinti nelle coste da dove sono partiti, guarda caso in Libia. E per facilitare questi respingimenti i più recenti governi italiani hanno fornito la Libia di motovedette, inviando laggiù anche personale specializzato per il controllo delle loro acque territoriali e concordando con il governo di Tripoli che la loro guardia costiera si dia da fare per impedire il più possibile che i barconi e i gommoni che partono dalla Libia riescano a raggiungere le acque internazionali dove le ong con le loro poche navi sono pronte ad intervenire tutte le volte che riescono ad individuare dei naufraghi. E di naufraghi, in questi ultimi quindici anni, ce ne sono stati a migliaia, tanto da proclamare a caratteri cubitali che il Mediterraneo si stava trasformando in un grande cimitero! Per i borghesi questo sarebbe il modo di “aiutare” i migranti a stare “a casa loro”, cioè intimidirli a tal punto da scoraggiarne la partenza e rimanere prigionieri delle scorrerie delle bande armate, dei bombardamenti, dei villaggi incendiati, della fame, della miseria. Questo è l’insegnamento dei paesi più civili ai paesi meno industrializzati dell’Africa, del Medio Oriente, dell’Asia centrale! 

 

Proletari!

 

Le sofferenze e i patimenti che stanno passano da anni i migranti, la loro vita appesa ad una sorte maledetta, il loro bisogno urgente di sopravvivere sono solitamente argomento della compassione umanitaria espressa dalla Chiesa, dalle associazioni di volontariato, dalle ong e spesso dalle popolazioni locali investite, come a Lampedusa o a Lesbo, da un inaspettato e massiccio flusso migratorio. Mentre gli Stati organizzano politiche di controllo e di repressione della migrazione clandestina, la Chiesa e queste associazioni si incaricano di salvare i migranti dai naufragi, soccorrerli ed assisterli. Questa specie di divisione di compiti salva la faccia alla classe dominante borghese sia sul piano dell’applicazione delle leggi, sia sul piano dell’umanitarismo, con la ovvia differenza secondo cui il volto più brutale spetta allo Stato, e ai suoi governanti, e il volto più compassionevole alla Chiesa e alle associazioni non governative. In sostanza, le cause vere di queste eccezionali migrazioni rimangono intatte: il capitalismo è salvo, i capitalisti potranno continuare a schiavizzare bestialmente queste masse di disperati, lo Stato potrà continuare a mostrare la sua prerogativa di applicare le sue leggi (facendone di nuove tutte le volte che le ritiene necessarie) e di difendere i propri confini e gli interessi “degli italiani” da una cosiddetta invasione di profughi e migranti economici, i caporali potranno continuare a ricattare e sfruttare una forza lavoro a poco prezzo, i capitalisti in generale continueranno a poter contare su di un ulteriore “esercito industriale di riserva”, oltre a quello composto dai disoccupati autoctoni; insomma, la classe dominante borghese può, in questo modo, esercitare una pressione ancor più violenta sulla classe proletaria nazionale grazie a questi ulteriori fattori di concorrenza tra proletari.

Naturalmente non poteva mancare la creazione di un clima di “paura dello straniero”, cavalcato apertamente dal governo Lega-5 stelle che si vanta di aver abbattuto il numero di migranti sbarcati sulle coste italiane, dalle migliaia degli anni scorsi alle poche centinaia di quest’anno. Il fatto che questa diminuzione sia dovuta all’aumento dei naufragi, e quindi dei morti in mare, di cui nessuna statistica si preoccupa, alle “rotte alternative” verso la Grecia o la Spagna, al trattenimento in campi di internamento, da parte dei governi di Tripoli o di Tunisi, sovvenzionati dalle potenze europee e dall’Italia in prima linea, delle masse di migranti che dall’Africa subsahariana raggiungono le loro coste, o alla Turchia dove il governo di Erdogan, ben pagato dalla UE, ha costruito estesi “campi profughi” ai confini con la Siria, tutto questo è qualcosa che conta poco per il trio Salvini-Di Maio-Conte, perché l’importante per loro è dimostrare che il pugno di ferro usato nei confronti delle indesiderate masse di migranti raggiunge lo scopo: “prima gli italiani!”. Che poi questo clima di “paura dello straniero” faciliti l’emergere di azioni razziste contro proletari immigrati del tutto indifesi e isolati, è una logica conseguenza. La tanto vantata civiltà democratica e cristiana va a sbattere costantemente contro i fatti reali che l’ipocrisa tipica di una borghesia forte con i deboli e deboli con i forti non riesce a nascondere.

Questo clima di paura verso lo straniero, di odio verso i più emarginati e disperati, si sovrappone ad una situazione generale di difficile sopravvivenza di milioni di proletari italiani che la prolungata crisi economica capitalistica li ha ulteriormente fatti precipitare nella povertà. Cosa, anche questa, che la borghesia dominante ormai non può più nascondere, e di fronte alla quale in qualche modo cerca di attenuare gli effetti ricorrendo alle ben note elemosine chiamate pomposamente “reddito di cittadinanza”, “pensioni di cittadinanza”, “salario minimo” e chissà cos’altro escogiteranno i cervelloni degli esperti, con cui in ogni caso non risolveranno il problema del pauperismo crescente.

Un risultato importante, però, la borghesia dominante lo sta ottenendo: il proletariato, grazie a decenni di collaborazionismo interclassista praticato dai sindacati tricolore e dai partiti cosiddetti “operai”, schiacciato nell’impotenza generalizzata tanto da non costituire alcun pericolo per la pace sociale e per l’attività capitalistica in ogni campo, legale o illegale che sia, frammentato e preda di una meschina e cinica concorrenza fra proletari, è spinto sempre più verso il più sordido individualismo, terreno, questo, in cui i pregiudizi piccoloborghesi nascono, atteschiscono e si diffondono con grande rapidità. Il proletario italiano è spinto a non riconoscere il proletario senegalese, eritreo, gambiano, sudanese o tunisino come un fratello di classe, ma come un concorrente, e spesso come un pericoloso concorrente. Perciò si lascia influenzare dalle parole e dalle posizioni che tacciano gli immigrati come un pericolo pubblico da combattere e da cui difendersi; è già successo nei confronti degli ebrei, dei rom, dei gay. Lo straniero è sempre, per la borghesia nazionale, un potenziale pericolo, come d’altra parte, per ogni borghesia nazionale, anche il proletariato, non come somma di individui ma come classe, è stato ed è sempre un potenziale pericolo per i suoi interessi di classe, per il suo potere, per il suo dominio sociale.

Ed è esattamente su questo terreno, sul terreno degli interessi di classe che la questione sociale può e potrà trovare una soluzione. La soluzione borghese si conosce già. Lo sfruttamento del lavoro salariato, che fa da base al dominio del capitalismo sulla società, e il mantenimento di questo sfruttamento sono l’interesse di classe principale della borghesia. Lo sfruttamento del lavoro salariato, d’altra parte, non si basa soltanto sul potere economico e sociale della borghesia, ma anche sulla concorrenza tra proletari: non c’è sfruttamento del lavoro salariato senza concorrenza tra proletari. Ecco perchè il primo passo politico che il proletariato deve e dovrà fare, per combattere efficacemente lo sfruttamento capitalistico, è e sarà la lotta contro la concorrenza tra proletari. Ogni rivendicazione economica proletaria parte da condizioni immediate, parziali, locali, e può riguardare anche la singola fabbrica, la singola azienda, come i proletari sanno bene; per avere più forza nella contrattazione con i padroni, i proletari si sono uniti in organizzazioni sindacali e hanno sempre tentato di forzare la mano ai padroni con le proprie lotte per ottenere dei miglioramenti, o almeno limitare i peggioramenti, nelle condizioni di lavoro e di vita. Questo fa parte delle esperienze che ogni proletario ha fatto e fa. Per avere più forza nella contrattazione con i proletari, i padroni possono mettere in campo molti più mezzi: prima di tutto la concorrenza tra proletari, come detto, e in più la loro forza economica, la forza del loro Stato, la loro forza sociale che si esprime in particolare nella corruzione delle organizzazioni operaie, sindacali e politiche che siano. E questo fa parte delle esperienze che ogni padrone ha fatto e fa. Quel che può stravolgere il rapporto di forza straordinariamente favorevole ai capitalisti non è la contrattazione in sé, e non è nemmeno lo sciopero in quanto tale, anche se generale: è il superamento da parte proletaria della concorrenza tra proletari, è la solidarietà di classe grazie alla quale il proletariato, da somma di individui in balìa delle esigenze e delle volontà dei capitalisti e da massa organizzata al solo scopo di attuare una collaborazione con i capitalisti, diventa classe antagonista, classe per sé e non più per il capitale, classe in grado di imprimere al proprio movimento una prospettiva completamente opposta agli interessi e alle esigenze del capitale, agli interessi della borghesia; classe sociale in grando di esprimere una forza dirompente, una forza positiva e rivoluzionaria.

Per raggiungere questa forza il proletariato deve riconquistare la sua indipendenza di classe come ha già fatto nella sua storia passata, sottraendosi all’influenza del collaborazionismo interclassista; deve lottare in difesa esclusiva dei propri interessi di classe, utilizzando non i mezzi e i metodi della classe borghese (contrattazione ispirata al bene dell’azienda e dell’economia nazionale, negoziati al posto della lotta e degli scioperi, pace sociale al posto della lotta operaia pronta a scontrarsi con le forze borghesi ecc.), ma i classici  mezzi e metodi della lotta di classe per obiettivi di classe, unificanti: sciopero senza preavviso e ad oltranza, contrattazione con la lotta in piedi, contrasto del crumiraggio attraverso la solidarietà di classe e azioni di picchettaggio, sciopero di solidarietà con la lotta dei proletari di altre fabbriche o di altri settori, rifiuto di obiettivi immediati o a più lunga scadenza che dipendano dalle esigenze della produttività e della competitività delle aziende ecc. Per lottare in questo modo i proletari hanno bisogno di organizzazioni indipendenti di classe in cui riunire i proletari di qualsiasi età, sesso, nazionalità. Per combattere in modo efficace contro la concorrenza alimentata dai capitalisti in ogni settore economico e a qualsiasi livello, i proletari italiani devono affratellarsi con i proletari provenienti da qualsiasi altro paese del mondo, lottando perché i proletari immigrati vengano considerati  né più né meno come i proletari italiani, e perché venga eliminato ogni intralcio burocratico che impedisce ai proletari immigrati di uscire dalla “clandestinità”.

 

Proletari!

 

La clandestinità è una condizione sociale in cui è costretta la stragrande maggioranza di proletari che fuggono da situazioni invivibili, di guerra, di miseria, di fame, nelle quali spesso hanno perso tutto e non solo i documenti; la loro condizione “irregolare” secondo le leggi dei paesi in cui si rifugiano è una condizione che fa molto comodo alla borghesia perché getta questi proletari “stranieri” in una situazione di estrema precarietà e debolezza della quale qualsiasi padrone, padroncino o malavitoso può approfittare per sfruttarne la forza lavoro. Dal punto di vista politico, l’arrivo dei “clandestini” è un argomento che i borghesi usano per diffondere il clima di preoccupazione e di paura come se si trattasse di una pericolosa epidemia di fronte alla quale scatta immediatamente l’emergenza e tutte le azioni atte a “sconfiggerla”; brandendo leggi vecchie e nuove, azioni di polizia, retate,  respingimenti o rimpatrii, lo Stato si vuole mostrare il vero difensore dei propri confini e delle proprie leggi in funzione della difesa degli interessi nazionali alla quale i proletari autoctoni vengono chiamati a collaborare e a combattere anch’essi la clandestinità. Poco importa alla borghesia se uomini, donne, bambini immigrati clandestini muoiono nei tremendi “viaggi della speranza”, se sopravvivono miseramente nella condizione di clandestinità mai voluta, se vengono sfruttati bestialmente, maltrattati, emarginati, trasformati in lavoratori invisibili: l’importante è che le sue leggi, cioè le leggi che salvaguardano gli interessi del capitale e che mortificano e schiacciano sistematicamente gli interessi dei proletari, dei senza riserve, dei senza patria, vengano rispettate e accolte come il non plus ultra della giustizia e della civiltà. “La legge è uguale per tutti”, si trova scritto in ogni aula dei tribunali borghesi; i proletari per primi sanno che è una gigantesca menzogna. La borghesia calpesta le sue stesse leggi ogni volta che i suoi interessi vengono messi in pericolo; e ciò riguarda non solo i grandi capitalisti, ma anche tutta quella genia di affaristi, faccendieri, politicanti che sguazzano nella corruzione, corrotti o corruttori, laici o religiosi che siano.

I proletari, proprio perché lavoratori salariati obbligati, per vivere, a vendere ai capitalisti la loro forza lavoro, sono perennemente in loro balìa; cercano lavoro, fin da bambini, e sanno per esperienza diretta che il lavoro – quindi, la possibilità di sostentamento – è difficile trovarlo, lo si trova sempre meno a pochi chilometri da casa, ma sempre più spesso molto, molto più lontano, in altre città, in altre regioni, in altri paesi. Che la loro pelle sia bianca, nera, gialla, olivastra, la propria “patria” non garantisce più il lavoro, e quindi una dignitosa sopravvivenza; la “patria”, da territorio solido in cui piantare radici, diventa un’immagine sbiadita, un fil di fumo che si disperde nell’atmosfera, quando non diventa un luogo messo a ferro e fuoco dalle guerre, o reso invivibile dall’inquinamento sempre più micidiale, o un territorio sottoposto a costante repressione e terrorismo da cui cercare di scappare con ogni mezzo. La “propria” patria diventa la patria “altrui”, un luogo dove gli unici a trarre vantaggio sono i borghesi, i capitalisti, i politicanti, nazionali o di altri paesi. I proletari non hanno patria, e lo dimostrano i milioni di immigrati che sono costretti a fuggire dai loro paesi; i proletari non posseggono nulla se non la loro forza lavoro e spesso anche questa viene loro velocemente consumata, sono dei senza riserve, non hanno nulla da difendere nella società del capitale. Ma, come classe salariata, posseggono una forza sociale di cui non si rendono conto: senza lo sfruttamento della loro forza lavoro il capitale non si valorizzerebbe, il capitale morirebbe. Il denaro non ha cuore, non ha colore: è una potenza nella misura in cui il capitalismo domina la società, ma il capitalismo non può fare a meno del lavoro salariato che è rappresentato non solo dal proletariato di un dato paese, come poteva essere nel Settecento per l’Inghilterra, ma dal proletariato di tutti i paesi, dal proletariato internazionale. I proletari, per “patria” hanno il mondo, non il mondo di oggi, ma il mondo di domani, il mondo in cui la lotta rivoluzionaria dei moderni schiavi salariati ha spezzato tutti gli ostacoli che si frappongono all’emancipazione generale del proletariato, a partire dal potere politico e dallo Stato borghese, per aprire finalmente l’emancipazione dell’intera umanità dalla schiavitù capitalistica.

I proletari che fuggono dai paesi devastati dal capitalismo e dall’imperialismo per raggiungere i paesi d’Europa dove trovare un luogo di sopravvivenza senza la paura di morire di fame o di sete, o morire sotto i colpi della repressione o sotto i bombardamenti, stanno mostrando ai proletari dell’opulenta Europa in quali condizioni il capitalismo, nella sua forsennata e spietata corsa al profitto, può farli precipitare anche nei paesi più ricchi. In cima ai pensieri dei capitalisti e delle forze di conservazione non ci sono le condizioni di vita e di lavoro dei proletari, ma le condizioni più vantaggiose per la lotta di concorrenza in un mercato dove domina Sua Maestà il Capitale. Due guerre imperialiste mondiali e le guerre “locali” che hanno continuato a caratterizzare tutto il periodo seguito al secondo macello imperialistico, stanno a dimostrare che il capitalismo può cambiare “pelle” ma non il suo carattere fondamentale, che è lo sfruttamento senza scrupoli delle risorse vive del mondo: la forza lavoro salariata, sempre più schiavizzata, e la terra, l’abiente, sempre più depredato e stuprato. Soltanto il proletariato, unito sul terreno della lotta di classe, al di sopra di ogni categoria, di ogni nazionalità, di ogni razza, può ergersi a forza contrapposta e vincente contro la forza di conservazione del capitale. Quella forza va organizzata, diretta secondo un programma rivoluzionario che solo il marxismo ha storicamente definito, e guidata da un partito, il partito comunista rivoluzionario che non può che essere internazionale: è una forza che non si costituisce per volontà di gruppi di militanti più o meno cospiratori, ma sulla base di una spinta materiale e oggettiva dei proletari a ribellarsi alla condizione di schiavi salariati e a lottare, non solo contro tutte le forze opportuniste che li tengono avvinti alla collaborazione interclassista, ma contro il loro nemico principale: la classe borghese dominante.  

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

22 marzo 2019

www.pcint.org

 

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