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Beirut: il capitalismo è l'assassino, è lui che va combattuto e rovesciato!

 

 

Nel momento in cui scriviamo, una settimana dopo le esplosioni che, il 4 agosto, hanno devastato il porto di Beirut e una gran parte della capitale libanese, il bilancio ufficiale delle vittime è di quasi 170 morti, 30 dispersi e 15.000 feriti oltre a migliaia di senzatetto, le case di oltre 300.000 persone sono state più o meno gravemente danneggiate. Il porto di Beirut, attraverso il quale transita l'80% del traffico marittimo libanese, è fuori servizio per un periodo indefinito mentre la distruzione dei silos avrebbe fatto perdere l'85% delle riserve di grano del Paese, lasciando planare sul paese la minaccia a breve termine della penuria alimentare. Secondo le stime ufficiali del 7 agosto, la cifra dei danni causati dal disastro potrebbe raggiungere i 15 miliardi di dollari, ovvero un terzo del PIL!

Anche se alcuni leader libanesi hanno ipotizzato un attacco aereo (i caccia israeliani hanno ripetutamente violato lo spazio aereo libanese negli ultimi giorni) o un'esplosione di un deposito di armi, sembra che il disastro sia dovuto a lavori che hanno provocato una prima esplosione in un hangar contenente fuochi d'artificio che poi hanno fatto esplodere nei capannoni vicini un deposito di fertilizzante - lo stesso prodotto la cui esplosione nello stabilimento AZF di Tolosa aveva causato 31 morti e centinaia di feriti nel 2001. Ma a Beirut la quantità di prodotto era 9 volte superiore a quella di Tolosa: 2.700 tonnellate, contro 300/400 tonnellate.

Le autorità hanno riconosciuto che non erano state prese misure di sicurezza adeguate per lo stoccaggio di questo fertilizzante, immagazzinato per 7 anni dopo essere stato scaricato da una nave da carico in difficoltà il cui proprietario si è rifiutato di pagare i costi di riparazione e manutenzione. Secondo quanto riferito, i servizi doganali avrebbero avvertito in diverse occasioni del pericolo rappresentato da questo deposito, chiedendo anche una decisione giudiziaria per costringere l'amministrazione portuale a evacuare questo prodotto. Ma non sembra che siano arrivati ​​al punto di mettere in guardia il pubblico e i lavoratori portuali...
Si tratta quindi di un crimine annunciato: la catastrofe doveva accadere un giorno o l'altro! Gli abitanti di Beirut, ben consapevoli della responsabilità penale delle autorità, hanno lasciato esplodere la loro rabbia: si sono svolte a Beirut manifestazioni di protesta per diversi giorni contro i leader politici, durante le quali funzionari governativi sono stati impiccati in effigi e i ministeri furono occupati per breve tempo, nonostante la massiccia presenza di polizia che sparava proiettili di gomma. Gli scontri hanno lasciato diverse centinaia di feriti.

 

LA DEVASTAZIONE DELLA CRISI ECONOMICA

 

La rabbia dei manifestanti è tanto più acuta poiché il disastro portuale si aggiunge al disastro economico in atto da mesi; i proletari e le masse povere sono le prime vittime di questa crisi economica senza precedenti e che è stata ulteriormente aggravata dalle misure prese contro la pandemia Covid. L'inflazione galoppa: 90% a un tasso annuo, (ma per i prodotti di base l'aumento dei prezzi ha raggiunto il 169% da settembre), mentre il tasso di povertà è ufficialmente del 46% della popolazione (potrebbe raggiungere 60% a fine anno). La disoccupazione raggiunge il 35% nel settore formale e fino al 45% nel settore informale. Un libanese su cinque è costretto a saltare un pasto per risparmiare denaro, e questo tasso raggiunge uno su tre per i rifugiati siriani (pari a 1,5 milioni su una popolazione libanese di circa 6 milioni). A fine luglio, l'ONG «Save the Children» ha stimato che quasi un milione di abitanti della grande Beirut, metà dei quali bambini, non disponeva di risorse sufficienti per coprire i propri bisogni vitali di base (cibo compreso). Il 50% dei libanesi, il 63% dei palestinesi (la comunità palestinese, che è composta da diverse centinaia di migliaia di persone - la cifra esatta non è nota - è principalmente limitata ai lavori saltuari a bassa retribuzione nel settore informale) e il 73% dei siriani temevano che non sarebbero stati in grado di mangiare nel prossimo periodo (1)...

 

IL GOVERNO SI DIMETTE PER PROTEGGERE IL SISTEMA CAPITALISTA

 

A seguito delle proteste e del diffuso discredito, il governo ha scelto di dimettersi lunedì 10 agosto, dopo aver cercato di soffocare la rabbia evocando elezioni anticipate; nel suo discorso di dimissioni il Primo Ministro ha avuto persino il coraggio di denunciare la «corruzione endemica all'interno dello Stato»! I manifestanti hanno risposto che le dimissioni del governo non erano sufficienti e che l'intera classe politica doveva andarsene.

Ma in realtà il problema fondamentale non è la presenza di politici ladri o di istituzioni deboli, ma il capitalismo stesso: sono il modo di produzione capitalista e la legge del valore, che trascurano misure di protezione eccessivamente costose e che condannano a morte le popolazioni, a Beirut come a Tolosa. È il modo di produzione capitalista che genera la corruzione, corruzione che è tanto più visibile e intollerabile quando il paese è in difficoltà economiche.

È il modo di produzione capitalistico che fa precipitare i proletari e le masse nella miseria e nella fame per salvare i profitti e che strangola gli Stati più deboli per mantenere la salute degli Stati più potenti.
L'imperialismo francese, per bocca di Macron, ha voluto presentarsi quasi come il salvatore del Libano e dei libanesi; ma ha insistito affinché le autorità accettassero le misure di austerità del FMI prima di sbolccare qualsiasi «aiuto» di cui il paese ha urgentemente bisogno per evitare il fallimento (2). Inoltre, i proletari libanesi non possono aver dimenticato le azioni criminali dell'imperialismo francese durante la colonizzazione (l'era del «Mandato») e il suo ruolo fatale nella confessionalizzazione della vita politica che ancora oggi pesa grandemente sul Libano. 

La crisi economica non colpisce solo i proletari; anche le classi medie sono colpite e minacciate di proletarizzazione. Partecipano al movimento di rivolta, portando inevitabilmente ad esso le loro illusioni democratiche e di riforma dello Stato. Ma tutte le prospettive, anche le più radicali, anche le più «rivoluzionarie», di riforma delle istituzioni, sono solo vicoli ciechi; non possono portare a un miglioramento della situazione dei proletari e delle masse povere. Le dimissioni o la partenza del governo e degli attuali deputati non possono che servire a tutelare il funzionamento del sistema capitalista: il vero colpevole è il capitalismo, è lui che deve «togliersi dai piedi» grazie alla rivoluzione proletaria; lo Stato borghese è il suo baluardo, e perciò deve essere abbattuto, per fondare sulle sue rovine il potere dittatoriale del proletariato, essenziale per espropriare politicamente ed economicamente la borghesia e cominciare a sradicare il capitalismo.
Tutti gli appelli alla «vendetta» delle vittime, tutte le prospettive di «rivoluzione» che voltano le spalle alla lotta di classe rivoluzionaria contro il capitalismo e lo Stato borghese, non possono portare a nulla - come dimostrato dalla pretesa «rivoluzione d'ottobre» che lo scorso anno ha già portato alle dimissioni del governo. 
I proletari d'avanguardia dovranno tirare la lezione da quello che è già accaduto e impegnarsi, in collaborazione con i proletari di tutti gli altri paesi, nella ricostituzione degli organi essenziali per guidare questa lotta proletaria, e in primo luogo il partito di classe, internazionalista e internazionale. È un compito che non può essere svolto dall'oggi al domani, ma deve essere intrapreso senza indugio per poter porre fine per sempre a questo modo di produzione criminale.

  


 

(1) cfr. «Save the Children», comunicato stampa 30/7/2020.

(2) Il governo libanese aveva richiesto una linea di credito di 10 miliardi di dollari al FMI. Il ministro degli Esteri francese, l'ex «socialista» Le Drian, è andato a Beirut l'8 luglio scorso per dire che nulla sarebbe stato sborsato finché non fossero state avviate le «riforme». Quando la borghesia parla di «riforme» vuol dire attacchi antiproletari!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

12 agosto 2020

www.pcint.org

 

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