Dialogato coi Morti

(Sul XX Congresso del Partito Comunista Russo)

( «il programma comunista», nn. 5, 6, 7, 8, 9,10 e 13 del 1956 )

 

 

INDICE

 

--Premessa alla riedizione

--Dialogato coi Morti :

--Viatico per i lettori

--Giornata prima

--Giornata seconda

--Giornata terza :

Antimeriggio

Basso Pomeriggio

Vespro

Sera

--Complementi al "Dialogato coi Morti" :

La Russia nella grande rivoluzione e nella società contemporanea

A) Ripiegamento e tramonto della rivoluzione bolscevica

B) La mentita opposizione tra le forme sociali russe ed occidentali

C) Il sistema socialista alla FIAT?

--APPENDICE :

Plaidoyer pour Staline (1956) 

 

*       *       *

 

La Russia nella grande rivoluzione e nella società contemporanea

 

 

C) Il sistema socialista alla «FIAT»?

 

 

18. UN CENNO ALL'ALMA ITALIETTA

 

Nel quadro non abiamo compresa l'Italia, di cui nel Dialogato al detto luogo è qualche cifra. Anzitutto non abbiamo cifre russe prima del 1929, e su quelle indigene vi è troppo da distinguere e sceverare; cosa da farsi in altro tempo. E poi, quale età dare al capitalismo italiano, e a quale orizzontale collocarlo? È (come in Russia) altro caso di capitalismo nato due volte: non siamo i primi a paragonare il capitale e l’araba fenice: deve averlo fatto babbo Marx. Alla nostra patria spetterebbe il più alto gradino della scala, in omaggio alle grandi e fiere repubbliche marinare e commerciali della costa, e alle città di banchieri dell’interno, per tacere delle prime monarchie a Stato centrale nel Sud e nel Nord, con antichissimi e secolari lignaggi, con nomi altisonanti, Federico di Svevia, Berengario, Arduino, Cesare Borgia...

Poi su tutto questo è passata, più che un ritorno di feudalismo in struttura profonda, la servitù nazionale e provinciale politica; ed il sistema borghese è rinato come pallida importazione politica di Francia nell’aprirsi del XIX secolo, e d’Inghilterra alla metà dello stesso: un capitalismo dalle tonalità coloniali passive, tardi e malamente salito ad imperiali velleità, ed oggi caduto in servitù d’America, e in attitudini da media bottega.

Intrigante non poco, la scaletta storica di questo paese dai lucenti titoli, che ancora più lungi vide vertici del primo capitalismo schiavista, dalla Magna Grecia alla plutocratica Urbe!

Non ci si taccerà di boria nazionale se non lo abbiamo ammesso nei cerchi dell’inferno borghese; resti in attesa del nuovo Dante che l’indulgente zio Engels si spinse a vaticinargli, in omaggio alle sue glorie arrugginite.

Tuttavia leggiamo d’Italia nelle tabelle di Krusciov, che ci fanno da vangelo in questo valico.

Tra il 1929 e il 1937 il mondo borghese fece un’affondata del suo maledetto toboggan [scivolo, NdR]. Rotolò il pendio della crisi 1929-32, e risalì allegramente tra il 1932 e il 1937 verso la guerra. A detta di Krusciov tra questi estremi di 8 anni, mentre la Russia prendeva l’abbrivio quadruplicando la sua produzione al passo di circa il 21 per cento annuo, Satana-Capitale altrove dormiva. E come dormi in America, così fece in Italia: da 100 a 99. La Francia addirittura cedette da 100 a 82, mentre dai termini della stessa tuffata-risalita la Germania dava 100 a 114, la Gran Bretagna 100 a 124, e il fremente Giappone 100 a 169.

Benito, che sognava eclissare Pirgopolinice, fu il solo pacifista serio che mai abbiamo conosciuto. Nel fragore degli anni 1937-46 l’Italia (di cui in altra occasione discuteremo il soggiacere alla crisi 1929 delle allora diffamate “demoplutocrazie”) non calò che da 99 a 72, una bazzecola, un negativo annuo di appena 3,5. Una “guerre en dentelles”.

Dal 1946 al 1955 è una marcia trionfale. Mentre i miserevoli sette od otto partiti e i venti partitini si rinfacciano la rovina della patria, nella gara ad andare a rovinarla loro, i dati dell’euforia (borghese, e quindi di tutti loro) salgono a tempo di galoppo. In tutto il periodo, da 72 a 194, abbiamo un premio del 170 per cento che vale l’annuo medio 12 per cento bello tondo. L’ordine della corsa (alla rovina futura di tutti) si pone oggi così: Germania, Giappone, Russia, Italia, Francia, Stati Uniti, Inghilterra.

I passi intermedi in Italia sono interessanti. Dal 1946 al 1949 si avanza col 14,3 per cento! Poi un po’ meno: 1949-50 all’11,5; 1950-52 al,1; 1952-55 al 9,5

Si ripiega forse? Italia, sirena del mar, sorridi ma non tremar. Il governatore della Banca d’Italia ci ha teste narrato (il che vuol dire che le cifre di Krusciov non procedono poi a vanvera: non ci è accaduto napoletanamente che “si hanno ditte na fesseria a me, ve ne dico doie a vuie”) che la produzione industriale nel 1955 è aumentata dello stesso grado che nel 1954: 9,3 per cento.

Ha aggiunto una cosa notevole: che nello stesso anno 1955 la produzione agricola è salita del sei per cento. In un piano quinquennale (ma in gamba col gelido 1956!) avremmo il 134 contro 100, cui ogni Bulganin metterebbe la firma.

Presto però Menichella si è messo a parlare del piano Vanoni, che più che in termini di indici di produzione industriale parla in termini di reddito nazionale e di occupazione di manodopera. Il confronto tra i due metodi va rinviato al nostro futuro lavoro di partito sull’economia di occidente. In ogni modo per Vanoni in dieci anni si deve avanzare al 5 per cento all’anno (163 contro 100) negli investimenti capitalistici e nell’impiego di operai. Avendo il 1955 visto salire il reddito nazionale totale del 7,2 per cento (primo posto in Europa dopo la Germania, che è a 10), del reddito 1955 si è consumato il 78,8 per cento, investendone in nuovi impianti il 21,2 per cento, se si comprende l’edilizia, e il 15,8 se si esclude. Con tali margini gli impianti fissi nell’industria vera e propria si sono potuti incrementare nell’anno del 6,9 per cento (1,9 per cento più del piano Vanoni) e se sì include l’edilizia di ben il 9,7 per cento.

La questione dell’edilizia è questione chiave dell’economia italiana moderna. La casa è capitale fisso, o è bene di consumo? Ad altra sede l’elegante quesito. Ci basti ora aggiungere che, tornando agli Stalin-Kruscioviani indici industriali di prodotto (fatturato), ci sovviene altro personaggio, Fascetti [presidente dell'IRI dal 1956 al 1960, NdR], con il progresso degli indici delle aziende che gestisce l’I.R.I. Spettacoloso: media nel 1950-55 il 6 per cento, nell’anno finale, 19 per cento.

Ad altra trattazione l’analogia dell’I.R.I. italiano col “sistema” sovietico, per il suo disdegno dei profitti; per il primo anno, è andato oggi in pareggio.

 

19. AUGUSTAE TAURINORUM

 

La capitale industriale d’Italia, che ha ospitata la nostra ultima riunione, ha meritato un trattamento di riguardo.

Il relatore si riferisce al rapporto alla riunione di Asti, tenuta il 26 e 27 giugno del 1954. La FIAT aveva da poco tenuta la sua assemblea annuale degli azionisti, e il prof. Valletta aveva esposto i risultati e bilanci dell’anno 1953. Quest’anno eravamo a breve distanza dall’assemblea e bilanci 1955.

Fu letto alla riunione il brano del rapporto di Asti che illustra il significato di Torino e della FIAT nella storia del movimento operaio e del comunismo italiano. Il titolo generale è “Vulcano della produzione o palude del mercato?”; il paragrafo, nel n. 15 (7-8-1954) de "il programma comunista", era “La mostruosa FIAT”.

Si trattava della critica alla matrice dell’attuale opportunismo comunista italiano: l’ordinovismo, il gramscismo. Ancora un’autocitazione: “Questi gruppi, appena messo il naso fuori dei capannoni ordinati e lucenti della torinese fabbrica di automobili, e preso contatto colla parte meno concentrata in senso industriale di Italia, colle piaghe agrarie e con quelle arretrate, col problema regionale e contadino, caddero di colpo in una difesa delle stesse posizioni dei più scoloriti partiti piccolo-borghesi di mezzo secolo prima, non si occuparono più di rivoluzionare Torino, ma di imborghesire l’Italia, in modo che fosse tutta degna di portare il marchio della fabbrica torinese, di essere amministrata e governata coll’impeccabile stile di essa”.

Torniamo oggi su detto stile, che è lo stile dei miti, dei culti. Il mito di Stalin ha avuto brutti colpi; sta per averne anche quello delle super-aziende, e dell’isterismo motorizzato: già oggi le miracolose “catene” di montaggio della FIAT d’oltre Atlantico, della General Motors, hanno dovuto essere fermate nell’insonne e perpetuo loro rollare.

Per ora qui si erigono nuove fabbriche, e un flusso crescente di macchine si rovescia sulle strade già ingorgate, e sempre più spesso fa pista della carne pedona. Ma il morto consacra se stesso al mito del moderno Jaggernaut gommato. Si bestemmiano i vecchi dèi, non il Progresso!

 

20. VALLETTA-BULGANIN

 

Ci è subito dato allineare le cifre del “fatturato”, ossia del valore della produzione di un anno, e le due relazioni ce le forniscono per quattro annate. Nel 1952, 200 miliardi, nel 1953, 240 miliardi: scatto annuo 20 per cento. Nel 1954, 275: scatto annuo 14,6 per cento. Nel 1955,310 miliardi, scatto annuo 12,7 per cento. Nei tre anni, 155 contro cento: media dell’incremento annuo 15,7 per cento, ben maggiore dell’11,5 per cento russo. Valletta [a.d. e presidente FIAT, NdR] supera Krusciov.

FIAT batte DYNAMO 15 a 11!

Nel rapporto di Asti i dati FIAT non ci servirono per la discussione della pretesa definizione di socialista di ogni sistema industriale ad alto ritmo di progressione incrementale del prodotto, ma alla contrapposizione della terminologia e della calcolazione economica in Marx e nei borghesi.

Il fatturato della FIAT è per noi il “capitale” di essa: oggi 310 miliardi. Dobbiamo, come ad Asti, scomporlo tra capitale variabile, capitale costante, e plus-valore. Allora determinammo, servendoci dei dati Valletta sul personale e sugli investimenti in nuovi impianti, questa partizione: Capitale variabile o spesa personale, 70 miliardi. Capitale costante, ossia materie prime e logorii, 110 miliardi; plusvalore 60 miliardi. Capitale totale o prodotto alla fine del ciclo annuo: 240 miliardi.

Del plusvalore 10 soli miliardi andarono agli azionisti, gli altri 50, come allora annunziò Valletta, a nuovi impianti.

Le cifre del nuovo anno danno analoghi risultati; ma prima ricordiamo come è diverso dal nostro il linguaggio borghese. Il capitale nominale della FIAT, di cui demmo allora la lunga storia, passa oggi a 152 milioni di azioni da 500 ed è di 76 miliardi contro i 57 del 1953 e i 36 del 1952. Ha guadagnato il 58 per cento nel primo dei tre anni, nel secondo ha sostato, nel terzo ha guadagnato il 33,3. Il ritmo medio è stato del 28 per cento all’anno. Ma il capitale effettivo dipende dalla quotazione in borsa delle azioni. La stessa, che era 660 nel 1953, è oggi ben 1354 lire, sempre contro le nominali 500. Il capitale reale, anche nel linguaggio corrente, è dunque andato da 75,5 miliardi a 205 miliardi. Incremento biennale 272 per cento, annuo 65 per cento.

Se questa cifra indica l’effettivo “credito” degli azionisti “contro” l’azienda, di cui sono i “padroni”, il loro dividendo annuo, o profitto nel senso dell’economista ufficiale, avrebbe dovuto crescere del pari. Mai più! I Valletta e C. non hanno elargito agli azionisti che 7,3 miliardi nel 1953 e 10,6 nel 1955. Ossia il profitto azionario è sceso dal 9,7 per cento al 5,1. Frenesia dell’investimento produttivo, legge della discesa del saggio di profitto!

Tutta la FIAT oggi però non vale né il nominale di 76 miliardi né il reale di 205. Ad Asti la “stimammo” non meno di mille miliardi, come patrimonio di immobili e macchine, che noi marxisti chiameremmo: valore dei mezzi di produzione; da non confondersi col capitale costante, prima indicato.

Valletta oggi ha detto che tra il 1946 e il 1955 hanno investito 300 miliardi in nuovi impianti, ed ha annunciato per il 1956 la prestigiosa “Mirafiori Sud”. La cifra di 50 miliardi vale anche oggi come ritmo annuo. La FIAT di oggi varrebbe 1100 miliardi, a colpo sicuro, più e non meno. Fate sparire gli azionisti, che coprono coi loro pezzi di carta meno di un quinto del vero, e passerete dal socialismo-FIAT al più elevato socialismo-IRI.

 

21. L’INSIDIATA FORZA DI LAVORO

 

Ad oggi una cosa è notevole: il personale non è cresciuto che da 71.000 unità a 74.000, ossia del 5 per cento, appena del due e mezzo all’anno! Ed allora il capitale variabile sarà passato da 70 a 80, anche esagerando sulle vantate elargizioni al personale, lodatissimo per non aver fatto in un anno un’ora di sciopero (ah, la rossissima Torino!). Ponendo anche 12 agli azionisti, e 50 agli investimenti in nuovi impianti, il conto “alla Marx” del 1955 diviene: Capitale variabile 80 miliardi. Capitale costante 168 miliardi. Plusvalore 62 miliardi. Totale 310 miliardi, come noto. Il plusvalore si divide in 12 di profitto agli azionisti, e 50 di nuovi impianti; il saggio totale di esso è di 62 contro 80, ossia 78 per cento, nel senso di Marx.

La composizione organica del capitale sarebbe andata da 110/70 (ossia 1,57) nel 1953, a 168/80 (ossia 2,10) nel 1955. Mostrammo che essa è bassa perché la FIAT è un’incastellatura verticale che compra le materie prime originali e le trasforma più e più volte. Comunque, non vi è forse un trucco nelle cifre di Valletta, se il capitale costante, che era il 46 per cento del prodotto nel 1953, è nel 1955 il 64? Cominciamo a vedere i benefici dell’automazione? Anche se una larga fetta di plusvalore da portare a nuovi impianti è stata nascosta (in effetti la cifra 1956 stavolta non è stata detta), resta il fatto che il prodotto sale del 30 per cento, nei due anni in cui la forza lavoro sale del 5 per cento soltanto.

E qui casca l’asino - diremmo l’asino Vanoni, se il poveraccio non fosse morto. Abbiamo certamente superato il 5 per cento di nuovo investimento, ma con l’impiego di lavoro non ci siamo, restiamo al 2,50 per cento, soltanto!

Resta, italiaccia di sotto, a zero, e rimirati l’aristocrazia proletaria di Torino, stretta attorno al suo Valletta! Che poco dopo compie il sovietico miracolo delle ore settimanali e, surclassando ancora una volta i Bulganin, le riduce da 48 a 46, da 45 a 44, e da 42 a 40. Senza diminuire in nulla i salari, viene proclamato; ma anche senza aumentare in nulla il numero dei lavoratori.

 

22. PIANO QUINQUENNALE PER LA GRANDE FIAT

 

Dalla clandestina saletta di Torino partì l’omaggio, ai meriti socialisti degli Alti Amministratori, di un Piano Quinquennale, alla Russa, bello e fatto.

Se il ritmo tenuto nel triennio testé decorso è stato del 15,7 per cento, lo stesso corrisponde in un quinquennio all’incremento della produzione del 106 per cento. Dall’indice cento, si dovrà passare a quello 206. I 200 miliardi-fatturato del 1952 dovranno essere 412 nel 1957, e, se si vuole, nel 1960 i 310 del 1955 dovranno essere ben 640.

I 250 mila mezzi motorizzati di oggi diverranno 515 mila, anche non volendo tenere conto che in un anno sono andati da 190.142 a 250.299, salendo del 30,5 per cento (e come mai le vendite solo del 14 per cento? I depositi sarebbero ingorgati, quanto alla General Motors?)

Sono novecentomila ivi le macchine invendute della produzione 1955. La G. M. ha cinque marche: “Chevrolet”, “Pontiac”, “Oldsmobile”, “Buick” e “Cadillac”. Quattro annate di lavoro Fiat!

Quale il fatturato 1955 G. M.? 9 miliardi e 924 milioni di dollari, oltre 6000 miliardi di lire.

Venti FIAT!

Il personale? 577 mila unità. Otto FIAT.

La composizione organica, la meccanizzazione, l’automatismo, sono solo due volte e mezzo la FIAT.

Come contano fermare questa marcia demente?

1) Duecentomila licenziati a Detroit.

2) Cinque milioni di tonnellate d’acciaio domandati in meno (e lo sciopero dei lavoratori dell’acciaio in mano a traditori!)

3) Il terzo della pubblicità alla televisione lo sborsano le fabbriche di automobili.

4) “Basta essere impiegati da due sole settimane per poter entrare in un negozio a piedi ed uscirne pochi minuti dopo al volante di una fiammante vettura, senza avere versato un solo dollaro di anticipo”.

5) “Il Centro Tecnico della G. M. è costato 10 milioni di dollari; è un monumento al Progresso”.

Ne esce, mentre si pianifica di buttare nella spazzatura un milione di macchine nuove, l’automobile a turbina - disegni segreti - detta “Firebird” Uccello di Fuoco.

Può l’equazione storico-economica di questo Progresso non dimostrare quando viene il nodo, la catastrofe, la Rivoluzione, il sociale “Uccello di Fuoco”?

Non ci interessa ora - tornando alla Fiat - stabilire quanto, giusta il piano, saranno i dividendi del 1960, gli aggiornamenti di capitale nominale, e il suo peso a valori di borsa. E il mistero dell’automazione avanzante ci consente di porre solo le domande: quanti gli operai? quanto la loro remunerazione? quante le ore settimanali?

L’economia borghese sa una cosa sola: che avranno tutti l’utilitaria, il frigorifero, la televisione, e forse un certificato di azioni FIAT.

E faremo tali conti un’altra volta; meglio li faranno i nostri nipoti.

In ragione di cotante prospettive l’economia di stile sovietico sa (è ben chiaro) un’altra cosa; che a Torino si vive in... sistema socialista, alla FIAT si produce col... sistema socialista!

Anzi è il primo posto del mondo sovietico che spetta all’industria giovane e gigante dell’automobile in Italia. Il capitalismo automobilistico, checché ne sia del misterioso anno di nascita del capitalismo italiano, è giovanissimo; il veicolo stradale a motore ha poco più di mezzo secolo: dicemmo ad Asti che la data di nascita della FIAT è 1899 (il capitale di costituzione fu di 800 mila lire! che oggi sarebbero al più 300 milioni, ossia un millesimo di oggi. Mille volte in 56 anni si ottengono col 13 per cento annuo, che in periodo così lungo è altra sconfitta dei ritmi russi; dal 1899 la produzione russa è aumentata solo circa 400, e non 1000 volte).

 

Il confronto decisivo è questo.

Piano quinquennale russo 1955-1960: da 100 a 170, 12 per cento;

Lo stesso, realizzazione; da 100 a 185, 13,1 per cento;

Piano quinquennale russo 1960-1965; da 100 a 165, 11,5 per cento.

Piano quinquennale FIAT 1960-65: da 100 a 206, 15,7 per cento.

E gloria alla grande patria... socialista dell’industria dei motori! E gloria alla non meno grande patria del degenerato comunismo italiano.

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

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